Corte Ue: Paesi membri devono riconoscere matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati all’estero

La decisione della Corte di giustizia che impone agli Stati membri di riconoscere i matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati all'estero non è un fulmine a ciel sereno né una rivoluzione totale. Ma è qualcosa di più interessante: un'accelerazione silenziosa, che sposta l'asse del dibattito dai simboli ai diritti concreti delle persone. E, soprattutto, mette gli Stati davanti a una contraddizione che non possono più ignorare. Non cambia il matrimonio nazionale, ma cambia la quotidianità delle coppie.
La decisione nasce dal caso di due cittadini polacchi sposati in Germania, ai quali in patria è stata negata la trascrizione dell’atto. Un rifiuto che la Corte ha definito illegittimo perché viola la libertà di circolazione e nega la dignità familiare costruita in un altro Paese Ue. È un principio chiaro: una coppia sposata non può diventare "non sposata" solo attraversando un confine.
Cosa dice la Corte di Giustizia
La Corte non obbliga nessun Paese a introdurre il matrimonio egualitario nel proprio ordinamento. L'Italia resta insomma così com'è: unioni civili sì, matrimonio no. Ma la sentenza obbliga lo Stato a fare una cosa molto precisa e molto concreta: e cioè riconoscere come valido un matrimonio tra due persone dello stesso sesso se è stato celebrato in un altro Paese europeo.
Nella pratica significa che, quando una coppia omosessuale italiana si sposta o rientra in Italia dopo essersi sposata all'estero, le istituzioni non possono più far finta che quel matrimonio non esista. Non possono ignorarlo all'anagrafe. Non possono negarlo per permessi di soggiorno, accesso a prestazioni, tutela previdenziale, ricongiungimenti. Non possono disfare lo status familiare acquisito altrove. È qui che sta il passo avanti: il confine nazionale smette di essere il punto in cui i diritti si spengono.
La contraddizione italiana: le "unioni civili" non bastano più
Per anni l'Italia ha sostenuto che bastavano le unioni civili, che erano "equivalenti", che potevano sostituire il matrimonio. Questa sentenza smonta quel ragionamento in modo elegante ma netto. Perché? Perché se un cittadino europeo si sposa legalmente altrove, lo Stato non può offrirgli una "versione ridotta" dei diritti quando entra nel proprio territorio. Non può dire: "Qui da noi non vale, però puoi fare un'unione civile". Troppo tardi: lo status coniugale è già acquisito, e il principio europeo è chiaro, il matrimonio non si può dissolvere per ragioni politiche interne. È come se l'Europa dicesse all'Italia: "Puoi ancora decidere cosa chiamare matrimonio, ma non puoi giocare con i diritti delle persone ogni volta che attraversano il confine".
La Corte, in sostanza, afferma questo: uno Stato può essere conservatore nelle sue leggi interne, ma non può essere ostile quando un cittadino europeo esercita un suo diritto fondamentale. Con questo principio, le zone grigie italiane, dalla residenza alla previdenza, dalle decisioni sanitarie al riconoscimento familiare nei procedimenti amministrativi, diventano sempre più difficili da sostenere.
Cosa potrebbe accadere adesso
Il primo effetto, probabilmente, non sarà legislativo ma amministrativo. Ministero dell'Interno, prefetture e Comuni dovranno probabilmente aggiornare le prassi: modulistica adeguata; circolari che obbligano gli uffici a registrare i matrimoni esteri tra persone dello stesso sesso; lo stop ai rifiuti motivati da "incompatibilità con l'ordinamento". Già questo, da solo, rivoluziona la vita di migliaia di famiglie italiane e straniere che vivono qui.
Una sentenza che espone l'Italia
Il punto centrale è che la decisione europea mette a nudo una discrepanza; da una parte l'Italia riconosce le unioni civili e dice di essere un Paese che tutela le coppie omosessuali. Dall'altra rifiuta ancora il matrimonio egualitario e mantiene una distinzione che, dopo questa sentenza, appare sempre meno sostenibile. Perché se siamo costretti a riconoscere come "matrimoni" quelli celebrati altrove, allora perché non riconoscerli anche qui? Perché creare cittadini di serie A quando vivono fuori e di serie B quando tornano? Perché offrire un'unione civile a chi è già sposato?
Questa sentenza non introduce automaticamente il matrimonio egualitario in Italia. Non trasforma magicamente i diritti delle persone LGBT+. Non toglie ai Parlamenti la propria competenza. Ma cambia la direzione di marcia. Perché da oggi un principio è stabilito: un matrimonio tra persone dello stesso sesso è un matrimonio. E una volta esistente, non lo puoi cancellare. Non è poco. È l'inizio di un allineamento inevitabile tra realtà sociale, diritti europei e istituzioni nazionali.