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I commercialisti spiegano il taglio dell’Irpef in Manovra 2026: chi ci guadagna di più

La riforma dell’Irpef inserita nella legge di bilancio 2026 ha acceso il dibattito: i benefici andranno soprattutto a chi dichiara 50mila euro e oltre, fino a un massimo di 200mila euro. Fanpage.it ha intervistato Elbano de Nuccio, presidente dell’ordine dei commercialisti, per spiegare la misura.
Intervista a Elbano de Nuccio
Presidente del Consiglio nazionale dell'ordine dei Dottori commercialisti e degli Esperti contabili
A cura di Luca Pons
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Immagine di repertorio
Immagine di repertorio

La riforma dell'Irpef inserita nella legge di bilancio 2026 ha attirato polemiche: il taglio dal 35% al 33% della seconda aliquota porterà benefici soprattutto ai redditi medio-alti, e dopo gli interventi di diversi esperti è nato uno scontro politico tra chi, nell'opposizione, accusa la riforma di aiutare i "ricchi"; e chi, nella maggioranza, sostiene che invece si tratta di misure per il "ceto medio".

Fanpage.it ha intervistato Elbano de Nuccio, presidente del Consiglio nazionale dei Dottori commercialisti e degli Esperti contabili, per un confronto sulle misure. De Nuccio ha spiegato che effetto avrà il taglio dell'Irpef nel 2026, come va letto insieme alle ultime riforme fiscali e quali sono le altre misure più importanti nella legge di bilancio.

Chi sono i contribuenti che ci guadagnano di più, e di quali cifre parliamo?

Il taglio di due punti dell'aliquota del secondo scaglione favorisce tutti i contribuenti che dichiarano un reddito da 28mila euro in su: sono 13,6 milioni secondo le stime ufficiali. E la maggior parte di questi – 10 milioni di contribuenti,  pari a quasi l'80% di tutti i beneficiari – si trova nel secondo scaglione. Il costo complessivo per le finanze pubbliche è pari a 2,9 miliardi di euro.

Si è parlato molto del fatto che la maggior parte dei benefici andrà ai contribuenti che dichiarano tra 50mila euro e 200mila euro. È così? 

Il guadagno medio è pari a 218 euro annui, mentre il massimo guadagno per chi dichiara 50mila euro e oltre è pari a 440 euro, con uno sbarramento a 200mila euro attuato mediante una clausola di sterilizzazione. È vero che il risparmio è maggiore per i contribuenti che dichiarano da 50mila euro in su, ma questo dipende dal meccanismo stesso dell'imposta.

In che senso?

L'Irpef è un'imposta sul reddito personale ed è progressiva. Il guadagno assoluto massimo è pari a 440 euro, cioè il 2% di 22mila euro, esattamente la fascia di reddito compresa nel secondo scaglione, quello che va da 28 a 50mila euro.

Poi resta costante in valore assoluto, mentre risulta ovviamente decrescente in percentuale man mano che sale il reddito dichiarato.

Cioè, il risparmio è di 440 euro per tutti sopra quella soglia, ma è una percentuale sempre più bassa del reddito?

Sì. A parità di condizioni, e quindi senza considerare detrazioni per carichi familiari e oneri, il guadagno è pari a 440 euro per chi dichiara un reddito di 50mila euro e tale resta fino a 200mila euro. Quindi anche chi dichiara 100mila euro percepisce lo stesso guadagno, che su 50mila euro è pari allo 0,88% del reddito, mentre su 100 mila euro è pari allo 0,44%.

Elbano de Nuccio, presidente dell’ordine dei commercialisti
Elbano de Nuccio, presidente dell’ordine dei commercialisti

Per chiarire, in termini concreti: qual è il reddito netto di dichiara 50mila o 100mila euro lordi all'anno, in Italia? Anche se ci sono ovviamente grandi differenze in base al tipo di lavoro, al luogo di residenza e così via.

Per un contribuente che dichiara 50mila euro di reddito imponibile, in assenza di detrazioni per carichi familiari e oneri, il reddito netto è pari a 35.860 euro. Se, invece, prendiamo un contribuente che dichiara 100mila euro, il reddito netto è pari a 64.360 euro. Nel primo caso, l'aliquota media Irpef è pari al 28,3%, mentre nel secondo caso sale al 35,6%. Le differenze percentuali sono dovute alla progressività della struttura del prelievo Irpef basata su tre scaglioni e tre aliquote diverse.

Cosa ne pensa della polemica tra chi sostiene che gli aiuti vadano ai “più ricchi”, rispetto a chi parla invece di misure per “il ceto medio”?

Come già detto, la maggior parte dei beneficiari si trova sotto i 50mila euro di reddito e quelli sopra i 200mila sono esclusi. Si tratta del primo intervento che riguarda il ceto medio, dopo che le ultime due manovre avevano interessato i redditi medio-bassi attraverso l'accorpamento dei primi due scaglioni di reddito e la stabilizzazione del taglio del cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti. Interventi, questi ultimi, decisamente più costosi per le finanze pubbliche.

Ma, per rispondere più direttamente alla sua domanda, direi che la polemica nasce dal fatto che nel nostro Paese si continua ad equiparare il ceto medio ai ricchi.  Nella realtà dei fatti, il ceto medio, a fronte di stipendi certo non elevatissimi, subisce il carico di una pressione fiscale davvero troppo elevata. È giusto che, con tutti i limiti imposti dalle limitate disponibilità di bilancio, si cominci a guardare finalmente anche a loro.

L’intervento di quest’anno è evidentemente soltanto un primo passo rispetto al tema della diminuzione del potere d’acquisto, ma va considerato che si aggiunge agli interventi degli scorsi anni.

Che effetto hanno avuto le ultime leggi di bilancio (già il governo Draghi intervenne sull'Irpef)?

Per fare un esempio, un lavoratore dipendente con reddito di 30mila euro ha già beneficiato di un guadagno di mille euro grazie alle manovre precedenti. A questo si somma l’ulteriore beneficio della nuova manovra che impatta sui redditi da 28 a 50mila euro.

Negli ultimi anni quindi, per quanto riguarda le imposte sul reddito, la situazione è migliorata o peggiorata?

Come già detto, le ultime manovre – a partire da quella del governo Draghi che ha ridotto gli scaglioni da cinque a quattro, a cui è seguita l'ulteriore riduzione a tre attuata dal governo Meloni – hanno favorito prima i redditi medio-bassi e poi in misura minore i redditi medi. Questo ha portato benefici un po’ a tutti, ma maggiormente concentrati nei redditi medio-bassi, favorendo una maggiore progressività dell'imposta.

Cosa servirebbe, ora?

Sarebbe auspicabile un ulteriore intervento sul ceto medio attraverso l'innalzamento del limite superiore del secondo scaglione, oggi fermo a 50mila euro, anche per tenere conto dell'inflazione che c'è stata negli ultimi anni.

Il governo Meloni ha fissato tra i suoi obiettivi anche quello di semplificare il Fisco. Le ultime riforme dell'Irpef hanno avuto questo effetto?

La riforma fiscale del governo Meloni è il primo, meritorio intervento organico sul nostro sistema tributario dopo oltre cinquant’anni di misure stratificatesi nel tempo che hanno creato una giungla normativa nella quale è difficile districarsi sia per gli operatori del settore che per i cittadini. Una riforma, alla quale noi stessi abbiamo fornito un significativo contributo di idee in uno spirito di collaborazione costante con l’esecutivo e con il Parlamento, che introduce importanti novità nel rapporto tra fisco e contribuenti, superando finalmente una logica punitiva ex post, privilegiandone una di collaborazione preventiva.

In questo quadro, la stabilizzazione del cuneo fiscale attuata dalla precedente manovra e gli interventi di sterilizzazione delle ultime manovre hanno però introdotto alcuni elementi di complicazione nel calcolo dell'imposta, rendendo la stessa meno trasparente. È il motivo per il quale a nostro avviso occorrerebbe semplificare il quadro normativo di riferimento per il calcolo dell'Irpef, al fine di rendere più immediatamente percepibile da parte del contribuente l’imposta effettivamente dovuta in corrispondenza di un determinato ammontare di reddito

Nella legge di bilancio non c'è solo l'Irpef: cosa cambierà per i cittadini l'anno prossimo?

In uno scenario geopolitico complesso e con limitate risorse a disposizione, l’impianto complessivo della manovra deve considerarsi comunque soddisfacente. Oltre alla riduzione della pressione fiscale nei confronti del ceto medio, la legge di bilancio contiene infatti misure di sostegno al reddito dei lavoratori dipendenti.

Quali?

La riduzione dal 5% all'1% dell'imposta sostitutiva sui premi di risultato e sulle partecipazioni agli utili d'impresa, con l'incremento da 3mila a 5mila euro delle somme agevolabili a tale titolo. Nonché la detassazione degli aumenti scaturenti da rinnovi contrattuali dei lavoratori dipendenti con retribuzioni inferiori a 28mila euro.

Per quanto concerne le misure a sostegno delle imprese, la reintroduzione degli iper-ammortamenti per gli investimenti in beni strumentali funzionali alla trasformazione tecnologica e digitale è un segnale importante perché rilancia una misura che, in passato, ha già dato buoni risultati. Occorre tuttavia compiere uno sforzo ulteriore, per rendere strutturale l’incentivo, così da favorire una migliore programmazione degli investimenti e la loro più efficace sostenibilità economica.

Un buon segnale per la fiducia delle imprese arriva anche dalla conferma, per il triennio 2026-2028, del credito d'imposta per le imprese stabilite nelle zone economiche speciali (Zes), e del credito d'imposta per le zone logistiche semplificate (Z). Si tratta di misure che vanno nella giusta direzione di garantire occupazione, continuità aziendale e un futuro più solido per la crescita dell’economia nazionale, che danno anche la possibilità di trasformare le situazioni di crisi ancora in atto in un’opportunità di ripartenza.

C'è qualcosa che, secondo voi, deve essere cambiato, ora che il testo è in Parlamento?

Sì, ci sono ovviamente norme che crediamo vadano modificate. Ne cito una: quella che introduce ulteriori limiti alla compensazione dei crediti di imposta.

È una norma che limita molto la possibilità di usare eventuali crediti fiscali per saldare debiti con l’Agenzia delle Entrate. Perché siete contrari?

È una misura che risulta ingiustamente penalizzante, perché limita il diritto alla compensazione. In più pregiudica il principio della tutela dell’integrità patrimoniale, sancito dallo Statuto dei diritti del contribuente.

Noi chiediamo di eliminarla. Se si ritenesse di confermarla, ne andrebbe comunque limitato l’ambito soggettivo di applicazione alle imprese di grandi dimensioni, e andrebbe in ogni caso applicata ai soli crediti maturati dopo l’entrata in vigore della legge di bilancio.

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