Gaza, spari e caos durante la distribuzione degli aiuti: la popolazione disperata lotta per un pacco alimentare

C'è una parola che da sola non basta più a raccontare Gaza: disperazione. Da più di un anno e mezzo la popolazione vive sotto assedio, e da mesi sotto un embargo totale. Nessun accesso al cibo, all'acqua, ai medicinali, nessuna via di fuga. La carestia è entrata nelle case come ospite fisso. A nulla sono serviti gli appelli dell'Onu, i comunicati dei medici, le denunce delle ONG: la fame è diventata una condizione strutturale, quotidiana, visibile nei corpi smagriti, nei bambini disidratati, negli occhi vuoti degli adulti. Non si muore solo di malnutrizione: si muore anche di umiliazione, quando la sopravvivenza passa per il riconoscimento facciale di chi ti fa la guerra.
Ieri a Rafah, nel sud della Striscia, è cominciata la distribuzione dei primi aiuti da parte della controversa Gaza Humanitarian Foundation (Ghf), un'organizzazione privata con sede a Ginevra, sostenuta degli Stati Uniti e dallo stesso Israele. Qui, nei punti di Tel Sultan e Rafah, migliaia di persone si sono radunate sperando di ricevere un pacco alimentare, l'unico sostegno concreto disponibile in questo momento. I video e le immagini che circolano in rete raccontano di lunghe attese sotto un sole cocente, famiglie affamate e fragili che si accalcano per un po' di cibo. Poi i varchi si aprono, e allora quelle immagini cambiano ancora una volta: la folla si riversa nell'area, le barriere vengono abbattute. Migliaia di persone affamate si gettano verso i pacchi di cibo, mentre lo staff della Ghf fugge e gli elicotteri dell'esercito israeliano sorvolano l'area. L'Idf, intanto, spara colpi di avvertimento, almeno tre i feriti, ma è solo un miracolo. In quella nuova immagine c'è un'intera società civile al collasso, sospesa tra il bisogno assoluto e la totale assenza di strutture capaci di gestirlo.
La battaglia sul pane

La Ghf dice di aver distribuito 8mila pacchi, equivalenti a poco più di 460mila pasti, ogni scatola dovrebbe bastare cioè a cinque persone per tre giorni e mezzo. Ma a Gaza ci sono 2,2 milioni di persone, il conto è semplice: la fame vince. Non solo, questo nuovo piano di distribuzione non consente a tutti di poter accedere al cibo. Hamas accusa la fondazione di voler schedare la popolazione con riconoscimento facciale, mentre la Ghf accusa Hamas di impedire ai civili l'accesso agli aiuti. L'Onu, nel frattempo denuncia l'operazione come "una distrazione" e chiede l'apertura vera dei valichi, non soluzioni tampone sotto scorta armata. Intanto, però, i camion restano fermi e la fame, ancora una volta, si inserisce nella frattura geopolitica.
L'80% della popolazione è a rischio di fame acuta
Secondo le ultime stime, oltre il 80% della popolazione è a rischio di fame acuta; i medicinali però scarseggiano, così come i carburanti necessari per far funzionare ospedali e infrastrutture. Le Nazioni Unite e le organizzazioni umanitarie lanciano allarmi continui, denunciando la difficoltà di garantire un passaggio libero e sicuro degli aiuti. La mancanza di neutralità nella distribuzione rappresenta un ostacolo fondamentale: l'intervento della GHF, percepita come parte di un disegno politico, alimenta sospetti e divisioni, rallentando la consegna dei beni essenziali. Da parte israeliana, la scelta di affidare la distribuzione degli aiuti a organizzazioni vicine ai propri interessi rientrerebbe in una "strategia più ampia": togliere ad Hamas il controllo del territorio e ridurre il potere politico e militare del movimento. Il ministro delle Finanze israeliano ha infatti definito la situazione un "punto di svolta" nella guerra, ma sul campo la realtà è ben diversa. Le famiglie continuano a essere costrette a spostarsi forzatamente, gli sfollamenti si moltiplicano e il rischio di una vera e propria catastrofe umanitaria è alle porte da tempo.
Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha definito "strazianti" le immagini della distribuzione di cibo avviata dalla Gaza Humanitarian Foundation: "Sono scene strazianti, per non dire altro", ha dichiarato il portavoce di Guterres, Stephane Dujarric. L'Onu ha inoltre ribadito di non essere coinvolta in questa operazione a Gaza. Anche Juliette Touma, direttrice delle comunicazioni dell'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (UNRWA), ha dichiarato che l'Onu non è al corrente di che cosa venga effettivamente distribuito: "Non abbiamo alcuna informazione in merito. Ma sappiamo bene cosa è necessario, sappiamo cosa manca e siamo molto, molto lontani da quell'obiettivo quotidiano. Il fabbisogno è di almeno 500-600 camion che dovrebbero entrare a Gaza, carichi di rifornimenti. Non solo cibo, ma anche medicine, forniture mediche, vaccini per i bambini, carburante, acqua e altri elementi di base per la sopravvivenza delle persone. Abbiamo oltre 3mila camion, non solo di cibo, ma anche di medicinali che si stanno allineando in luoghi come la Giordania, come l'Egitto, che stanno aspettando il via libera per entrare, e stanno trasportando medicinali e questo sta per scadere". Medici Senza Frontiere parla invece apertamente di una "campagna di pulizia etnica" e chiede con forza la fine degli sfollamenti e l'apertura di corridoi umanitari sicuri: "Le evacuazioni forzate, la distruzione sistematica di abitazioni e infrastrutture mediche costituiscono di fatto una pulizia etnica in piena regola. I civili, che già soffrono la fame e la mancanza di cure, sono ora ulteriormente esposti a rischi che mettono a repentaglio la loro stessa sopravvivenza".
Pd, M5s e Verdi-Sinistra in piazza contro il massacro a Gaza
E mentre le immagini drammatiche dalla Striscia di Gaza scuotono il mondo, in Italia si organizza una risposta politica e sociale coordinata: Pd, Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi-Sinistra hanno infatti lanciato un appello comune per una manifestazione unitaria che si terrà a Roma sabato 7 giugno. Una mobilitazione contro quella che definiscono una "strage di civili" e i "crimini del governo Netanyahu". Il messaggio è stato lanciato congiuntamente da Elly Schlein, segretaria del Pd, Giuseppe Conte, presidente del M5S, e dai leader di Alleanza Verdi-Sinistra Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni.
I promotori della manifestazione hanno sottolineato che le richieste della piazza saranno chiaramente legate alla mozione parlamentare presentata unitariamente la scorsa settimana, ma bocciata dal centrodestra; nel documento, Pd, M5S e Avs avevano già chiesto allora al governo Meloni di prendere una posizione netta, imponendo sanzioni a Israele e sospendendo immediatamente le forniture di armi a Tel Aviv. Non solo: si sollecitava il riconoscimento dello Stato palestinese nei confini del 1967 e la condanna esplicita del piano militare israeliano noto come ‘Carri di Gedeone', che ha portato all'invasione su larga scala della Striscia, ormai privata di acqua, cibo e medicinali da settimane. L'obiettivo dichiarato sarebbe ora dunque chiaro: inviare un segnale all'esecutivo italiano, che finora ha mantenuto una linea di ambiguità nel conflitto. Nonostante le recenti critiche alla nuova offensiva israeliana, il governo Meloni ha infatti continuato a sostenere implicitamente la posizione di Netanyahu, confermando la prosecuzione del commercio militare con Israele; in Parlamento, poi, si è opposto alle sanzioni e, a livello europeo, ha respinto anche l'idea di rivedere gli accordi commerciali con Tel Aviv.
Insomma, questa manifestazione vorrebbe farsi portavoce di una richiesta di cambiamento netto nella politica estera italiana, contro la guerra e a favore della protezione dei diritti umani in una delle crisi più drammatiche degli ultimi anni.