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Fratoianni a Fanpage: “Solo Renzi non capisce che un senatore non può essere pagato da stati esteri”

In un’intervista a Fanpage.it il leader di Sinistra italiana Nicola Fratoianni rilancia la proposta di legge contro i finanziamenti ai partiti politici da parte di privati e Stati esteri.
A cura di Annalisa Cangemi
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La proposta di legge di Sinistra italiana contro i finanziamenti ai partiti politici da parte di privati e Stati esteri è stata ripresentata ad aprile 2021. Si tratta di un testo molto snello, composto da un solo articolo e 2 commi.

Nel primo si legge: "È vietato il finanziamento sotto qualsiasi forma diretta o indiretta da parte di persone fisiche o giuridiche che abbiano in essere concessioni dello Stato, delle regioni, degli enti locali, di enti pubblici ovvero di società a partecipazione pubblica diretta o indiretta", e di coloro che in queste società occupano posizioni apicali, a favore di partiti e movimenti politici, parlamentari italiani o europei (che abbiano ricoperto questo incarico nei 10 anni precedenti), di eletti in comuni, province o regioni, di membri del governo o di coloro che abbiano fatto parte del governo nei dieci anni precedenti. Il divieto di ricevere denaro si estenderebbe anche alle fondazioni collegate ai soggetti politici.

Nel secondo comma si includono anche i finanziamenti da stati esteri, che diventerebbero così incompatibili a tutti gli effetti con l’attività politica. La proposta è stata depositata poco dopo l’emersione dei rapporti opachi tra Renzi e l’Arabia Saudita, caso sollevato dal ‘Domani', che ha acceso i riflettori sugli affari che il senatore e fondatore di Iv porta avanti in quel Paese, dietro lauti compensi.

Abbiamo chiesto al segretario di Sinistra italiana Nicola Fratoianni di spiegarci perché è urgente riaprire il dibattito su questa proposta di legge, che era stata presentata già nella scorsa legislatura, e che in queste ultime settimane è diventata materia di scontro nella maggioranza: "La democrazia dovrebbe dotarsi di anticorpi, perché non importa tanto il giudizio sul singolo comportamento. L’obiettivo deve essere costruire anticorpi, in modo che si possa intervenire subito con una norma di legge qualora un politico agisca perseguendo scopi personali".

Fino ad ora le altre forze politiche sono rimaste abbastanza fredde davanti alla vostra proposta. Conte pochi giorni fa ha rilanciato una proposta simile del M5s. C’è la possibilità di fare questa battaglia insieme?

Io ne sarei felice, con il M5s o con ogni altra forza disponibile. Ho accolto molto positivamente le parole del presidente Conte, ribadendo però che esiste già una proposta da molto tempo, si parta da lì, sarebbe anche più semplice. L’importante è che se ne discuta in Parlamento, perché è chiaro che il meccanismo attuale non funziona.

L’occasione per ripresentare la pdl è stata offerta in primavera dal caso Renzi, e proprio il senatore in questi giorni ha avuto modo di difendersi, sostenendo che nessun suo voto a Palazzo Madama sarebbe in conflitto di interessi.

Continuo a opporre a questo tipo di argomentazione un ragionamento di altra natura. Se non ha un problema di conflitto di interessi a maggior ragione dovrebbe essere favorevole all’approvazione di questa norma. Qui il punto non è se qualche suo voto o qualche sua scelta abbia avuto o meno come obiettivo quello di rispondere a richieste di qualcun altro, questo non ci compete, o almeno non sul piano dell’accertamento dei singoli profili e dei singoli comportamenti. Dovrebbe essere abbastanza immediato però rendersi conto che svolgere una funzione pubblica di particolare rilevanza, come quella di un senatore della Repubblica, dentro la dialettica democratica, non è compatibile con la possibilità di ricevere finanziamenti da parte di stati esteri. Nel caso specifico, ma questo è un giudizio politico, è un’aggravante che si parli di uno stato estero la cui natura è particolarmente illiberale, a livello interno ma anche sul piano internazionale. Che l’Arabia Saudita non possa essere definita un ‘nuovo Rinascimento’ lo capisce chiunque, tranne Matteo Renzi probabilmente.

Il punto però è che la democrazia dovrebbe dotarsi di anticorpi, perché non importa tanto il giudizio sul singolo comportamento. L’obiettivo deve essere costruire anticorpi, in modo che si possa intervenire subito con una norma di legge qualora un politico agisca perseguendo scopi personali. Ed è proprio questo il senso della nostra proposta di legge.

Cosa ne pensa della proposta di Letta di far sedere al tavolo i leader dei partiti di maggioranza con Draghi per fare un accordo sulla legge di bilancio?

È un’iniziativa che sta dentro il perimetro della maggioranza, al quale come è noto io non appartengo. Il fatto che la maggioranza provi a costruire meccanismi di coordinamento sui passaggi più delicati dell’azione di governo, come la manovra, non mi pare particolarmente innovativo. Segnala però ulteriormente le difficoltà di questo esecutivo, che stanno nella sua natura. Ed è proprio una delle ragioni per cui noi abbiamo scelto di stare all’opposizione: un governo al cui interno si trova tutto e il contrario di tutto non può dare risposte utili al Paese, ed è invece condannato a un continuo esercizio di mediazione al ribasso. Ed è precisamente quello che sta accadendo anche sulla manovra.

Come vanno impiegati questi 8 miliardi per il taglio delle tasse previsti dalla legge di bilancio?

Intanto è discutibile che la scelta sia stata questa, legata alla convinzione che le tasse siano il male, e che quindi bisogna semplicemente abbassarle a tutti e indistintamente. Il punto vero è che servirebbe un’iniziativa sul piano fiscale mirata alla redistribuzione della ricchezza, che in questo Paese è sempre distribuita in modo talmente ineguale da fare della disuguaglianza una vera emergenza.

Questi soldi potevano essere impiegati per altro, potevano essere impiegati per l’introduzione del salario minimo legale. In Italia negli ultimi 30 anni gli stipendi sono andati indietro, mentre il resto delle voci di spesa dei cittadini è andato avanti. Questi 8 miliardi potevano essere impiegati per la sperimentazione sulla riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, come avviene in molte parti d’Europa con successo, intervenendo in questo modo sia sul lavoro sia sulla riorganizzazione del rapporto tra tempi di vita e tempi di lavoro, un tema che la pandemia ci ha messo davanti.

Le ipotesi in campo sono ancora molto fumose, non c’è nessuna indicazione. C’è chi vuole tagliare l’IRAP, e sarebbe sbagliato perché si rischia di colpire uno dei fattori di finanziamento della sanità pubblica. Bisogna concentrare il più possibile le risorse sui redditi bassi da un lato e sui lavoratori dall’altro. La mia impressione, guardando la composizione del governo, è che poco o nulla verrà a fatto e che ci troveremo davanti a misure inefficaci.

Come giudica le modifiche fatte fino ad ora al reddito di cittadinanza?

Sono sbagliate ed eccessivamente punitive nei confronti dei percettori del reddito di cittadinanza. Il reddito, per come era stato pensato dal governo giallo verde, aveva un difetto, quello di collegare in modo quasi meccanico l’erogazione del sussidio alla costruzione di nuova occupazione. Le politiche attive del lavoro sono una questione seria, per le quali serve un grande intervento strategico. Il reddito di cittadinanza è prima di tutto uno strumento di contrasto della povertà e della fragilità sociale. L’idea di collegare l’erogazione del reddito all’obbligo di accettare una proposta di lavoro purchessia è francamente molto discutibile. La questione centrale è la qualità nell’offerta di lavoro che si riceve, bisogna capire con quali condizioni, con quale stipendio, con quali diritti.

È saltata poi la norma che avrebbe consentito al percettore di Rdc che accetta un lavoro di far pesare solo parzialmente lo stipendio sul calcolo del sussidio, perché prevedeva di considerare il reddito da lavoro solo per l’80%, come Draghi aveva annunciato. Secondo lei è possibile ripristinare questa norma in fase di discussione della manovra in Parlamento?

Vedremo cosa accadrà, mi pare però evidente che l’asse di una destra allargata che comprende in modo sempre più esplicito Italia viva, sulle questioni sociali in particolare, vada verso un’altra direzione, cioè verso un’ulteriore indebolimento del reddito di cittadinanza, in nome di un’offensiva esclusivamente di natura ideologica. È un atteggiamento punitivo nei confronti delle fasce più deboli. Quando Giorgia Meloni definisce ‘metadone di Stato’ il reddito di cittadinanza sta dicendo questo, che se sei povero o marginale in realtà la colpa è tua. La Lega annuncia un emendamento per eliminare il reddito e portare la flat tax, abbassando significativamente le tasse a chi guadagna tra i 65mila e i 100mila euro l’anno, il doppio di quanto guadagna un insegnante. Questo mostra molto bene quale sia l’idea della destra. Il reddito di cittadinanza può essere certamente migliorato, ma chi interviene in modo restrittivo lo fa perché guarda ad altri interessi, e questo è inaccettabile.

È vero che parlare di Quirinale ora ha solo l’effetto di bruciare i nomi migliori, come dice Di Maio?

Ogni volta che si apre una discussione sul Quirinale prima che arrivi il momento in cui si elegge il nuovo Presidente della Repubblica ci si espone a un dibattito astratto e poco efficace, rischiando di bruciare i nomi in corsa. Arriverà il momento in cui questa discussione entrerà nel vivo e lì vedremo quello che succederà.

Perché secondo lei Berlusconi ha detto di volere Draghi a Palazzo Chigi anche oltre il 2023?

Berlusconi sta giocando la sua partita a carte scoperte, è un candidato in campo, come è noto. È un candidato che sulla carta ha anche molti voti, forse è l’unico candidato politico ad avere un così alto numero di consensi. Si tratta di una partita legata all’elezione del Presidente della Repubblica ma anche alla ridefinizione del quadro politico. C’è chi spera che Mario Draghi e più in generale la sua agenda politica abbiano una vita più lunga di questa legislatura, che proseguano oltre questo governo, che era stato definito alla sua nascita dalla stragrande maggioranza dei suoi partecipanti una parentesi. Io sono tra coloro che si augurano che questa parentesi si chiuda e ritorni nella politica italiana una dialettica che mostri chiaramente cosa è destra, cosa è sinistra, cosa è centrodestra e cosa è centrosinistra. Si può in momenti particolari costruire la convergenza attorno ad alcune scelte specifiche, come è accaduto durante la prima fase della pandemia, in presenza di governi che non avevano la natura dell’unità nazionale, ma questo non dovrebbe mai far perdere di vista il fatto che la democrazia ha bisogno di alternative.

C’è però un problema in Parlamento, che è sintetizzabile nella parola ‘peones’. La Lega è il partito che ne conta di più, ma è un gruppo abbastanza trasversale, che non vuole le elezioni anticipate…

Questo è un argomento che ha una sua verità, e che emerge ogni volta che si discute di un passaggio in cui è possibile che la legislatura subisca qualche interruzione. Ma io diffido dal sopravvalutare la questione. La politica ha una sua forza di inerzia. Dopo aver quasi santificato Mario Draghi sarebbe difficile per quasi chiunque pensare di sacrificare quel nome sull’altare di qualche tattica nel segreto nell’urna per l’elezione del Presidente della Repubblica. Ci sono talvolta in politica dei momenti in cui il peso degli interessi, delle aspirazioni, delle paure individuali, esiste, ma raramente è in grado di orientare fino in fondo le scelte.

L’accordo raggiunto alla Cop26 è stato definito un compromesso al ribasso, dai suoi stessi organizzatori. In Italia il ministro della Transizione ecologica Cingolani se l’è presa con gli attivisti, perché non comprendono la portata dei problemi. C'è una distanza siderale dalle istanze dei giovani da parte dei decisori politici?

Non c’è dubbio, ma non è neanche la prima volta. Cingolani passa con grande disinvoltura dal rilancio del nucleare pulito all’idea che il problema della transizione sia rappresentato dagli ambientalisti ‘radical chic’. Qui misuriamo non solo il distacco da quello che per fortuna cresce nel Paese e nel Mondo, cioè da una grandissima mobilitazione e da una grande sensibilità per questi temi. Qui si misura soprattutto la distanza tra gli annunci trionfalistici del governo dei migliori e la realtà. Basterebbe ricordare che pochi giorni prima di Cop26 c’è stato un G20, che ha anticipato gli scarsi risultati della conferenza di Glasgow, considerato uno straordinario successo da parte del governo, e che invece è stato altamente deludente. Anche su un tema decisivo come quello della lotta ai cambiamenti climatici giocano altri interessi. La disuguaglianza funziona anche su questo fronte. Oxfam ci racconta con uno studio che un viaggio spaziale di 10 minuti inquina dal punto di vita delle emissioni nell’atmosfera come farebbe in 70 anni il miliardo più povero della popolazione mondiale. Queste cifre danno il senso di quello di cui stiamo discutendo. Siamo drammaticamente in ritardo, servono scelte, che riescano a rovesciare la piramide degli interessi, per rimettere al centro l’interesse generale della grande maggioranza del Pianeta.

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