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Fratelli d’Italia propone un fondo pensione per i neonati: cosa prevede la misura

Fratelli d’Italia propone un contributo per aprire un fondo pensione a ogni neonato. Ma mentre la politica pensa al futuro, le famiglie italiane continuano a fare i conti con le difficoltà del presente.
A cura di Francesca Moriero
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Mentre a Roma si discute di fondi pensione per i neonati, molte famiglie italiane sono alle prese con questioni più immediate: l'attesa per un posto al nido, il costo crescente dei pannolini, le difficoltà logistiche e finanziarie legate alla cura di un neonato. In questo contesto si inserisce una proposta avanzata da Fratelli d'Italia che, pur essendo pensata come misura strutturale a sostegno della natalità e del futuro dei più piccoli, potrebbe apparire distante dalla quotidianità di chi i figli li ha oggi; si tratta dell'introduzione di un incentivo economico all'iscrizione dei nuovi nati a forme di previdenza complementare. L'idea prende spunto da un modello già attivo in Trentino Alto Adige, dove viene riconosciuto un contributo pubblico ai genitori che aprono un fondo pensione a nome dei loro figli. L'obiettivo sarebbe duplice: sostenere la natalità e, allo stesso tempo, sensibilizzare sull'importanza di iniziare il prima possibile un percorso di risparmio previdenziale.

Va però precisato che, se la misura nazionale si dovesse ispirare fedelmente al modello trentino, l'accesso ai contributi pubblici sarebbe subordinato a un versamento minimo annuo da parte delle famiglie, requisito che potrebbe limitarne l'efficacia e la diffusione, rendendola più accessibile a chi ha una certa capacità di spesa. Diversamente, qualora l'incentivo fosse concepito come un contributo "puro", cioè davvero senza obblighi di investimento da parte delle famiglie, potrebbe rappresentare un aiuto più diretto e immediato, anche per nuclei con minori disponibilità economiche.

Come funziona la proposta: un investimento "a lungo termine"

La proposta prevede un versamento iniziale di 300 euro da parte dello Stato o della Regione alla nascita, all'adozione o all'affidamento del minore. A questa somma, si aggiungerebbero altri 200 euro ogni anno, per quattro anni, ma a una condizione: che la famiglia versi almeno 100 euro all'anno nel fondo intestato al figlio. In cinque anni, quindi, si arriverebbe a un contributo totale pubblico di 1.100 euro, cui si sommerebbero 400 euro versati dai genitori; il totale dell'investimento iniziale salirebbe così a 1.500 euro. A prima vista, la cifra non sembra esorbitante. Ma per molte famiglie con redditi bassi o in condizione di fragilità economica, anche 100 euro all'anno possono rappresentare un ostacolo: le spese per i neonati sono già significative, e spesso il reddito disponibile è assorbito da necessità più urgenti: spese sanitarie, alimentari, bollette, costi di trasporto, senza dimenticare che i costi dei servizi educativi per l'infanzia, nidi in primis, restano elevati soprattutto in alcune aree del Paese.

Se quella somma restasse investita fino ai 65 anni del bambino, e se fosse collocata in un comparto a rendimento medio del 5% annuo, potrebbe crescere a circa 20mila-25mila euro. Si tratta però di un investimento "a lunga scadenza", i cui frutti non si vedrebbero né nell'infanzia né nell'adolescenza, ma nella lontana età pensionistica. E la condizione per accedervi, anche solo per ottenere i contributi pubblici, resta comunque quella di poter mettere da parte denaro fin dai primi anni.

Un modello che piace a più Regioni

Il Trentino ha fatto da apripista con questo meccanismo, avviato alcuni mesi fa. Lì, l'incentivo copre anche i bambini già nati, fino ai 5 anni, ed è stato pensato come una sorta di "dote previdenziale" da far maturare nel tempo. Altre regioni, come il Piemonte, stanno valutando misure simili, cercando un'alternativa più strutturale rispetto ai bonus una tantum come il contestato "Vesta", che aveva generato polemiche per il sistema a click-day e l'esclusione di molte famiglie; l'idea ha un suo valore simbolico e finanziario, soprattutto se letta come un tentativo di invertire il paradigma: non più solo incentivi al consumo o sussidi temporanei, ma uno strumento di accumulo con un ritorno nel tempo.

L'altro lato della medaglia: nidi che mancano e fondi che tardano

Mentre si propone un incentivo alla previdenza a lungo termine per i neonati, molte famiglie sono però alle prese con la mancanza di servizi essenziali nel presente. I fondi del PNRR destinati all'infanzia ne sono un esempio: la misura che avrebbe dovuto creare circa 264mila nuovi posti nei nidi è stata ridotta a 150.480, con una scadenza ora fissata a giugno 2026. Dei fondi previsti, inizialmente oltre 4,6 miliardi, sono rimasti disponibili circa 3,2 miliardi dopo le revisioni. Ma al di là delle cifre stanziate, il problema è quello della realizzazione: a fine 2024, i fondi effettivamente spesi erano ancora inferiori al previsto, con molti cantieri in ritardo e posti non ancora attivati. Secondo le ultime stime, oltre 17mila posti nei nidi sono a rischio, in particolare nel Mezzogiorno, dove la copertura resta drammaticamente bassa rispetto al Nord.

In questo scenario, insomma, per molte famiglie la priorità potrebbe non essere quella di avviare un fondo pensione per i figli, ma trovare un posto al nido oggi, per poter tornare al lavoro. Un'urgenza che pesa in modo particolare sulle madri, spesso costrette a scegliere tra carriera e cura dei figli in assenza di servizi adeguati. La mancanza di posti negli asili nido non è solo un problema educativo, ma un ostacolo diretto alla partecipazione femminile al mercato del lavoro, soprattutto nel Mezzogiorno, dove i tassi di occupazione femminile restano tra i più bassi d'Europa. Anche chi, in teoria, sarebbe favorevole all'iniziativa previdenziale, rischierebbe quindi di dovervi rinunciare per motivi di budget o per una gestione quotidiana troppo complessa e carente di supporti.

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