Forum Disuguaglianze: “Al Referendum cittadinanza ha vinto la propaganda della destra, ora smontiamola”

I referendum su lavoro e cittadinanza non sono passati, l'affluenza si è fermata attorno al 30% e il quorum non è stato raggiunto. Ma se per i quattro quesiti lanciati dalla Cgil i consensi sono stati quasi del 90%, tra chi ha votato, il referendum sulla cittadinanza ha visto una percentuale ben più bassa di Sì: il 65%, più o meno due su tre. Un segnale che, anche tra chi si è mobilitato per andare alle urne, il tema resta divisivo. Fanpage.it ha intervistato Andrea Morniroli, co-coordinatore nazionale del Forum disuguaglianze e diversità, per provare a spiegare il perché di questo risultato deludente, e come bisogna muoversi da qui in avanti.
L'ha stupita il risultato del quesito sulla cittadinanza?
Fino a un certo punto. Ci dice che la propaganda di questi anni, che si è ostinata a dipingere l'immigrazione non come risorsa per il Paese, ma come un problema di ordine pubblico, di insicurezza, di allarme, ha funzionato. Siamo un Paese spaventato, sempre più vulnerabile. Penso che se la destra avesse detto di andare a votare, su questo referendum avremmo perso.
Addirittura?
Questa propaganda è passata anche in ambienti che sono andati a votare. Sono anni che lo stesso Landini dice che è una parte significativa degli iscritti alla Cgil, o comunque di coloro che riconoscono la Cgil come luogo identitario sul posto di lavoro, poi fuori votano a destra. Così come sappiamo che c'è una parte di elettorato del Movimento 5 Stelle che sull'immigrazione ha posizioni dubbiose. Il voto al referendum ci dice che una parte dei cittadini che si riconoscono nel campo democratico e progressista, su questo tema, è spaventata tanto quanto l'altra parte. Magari non è organicamente ‘cattiva' con gli immigrati, ma è preoccupata.
Come si reagisce davanti a questa situazione?
Non possiamo snobbare o giudicare chi pensa così. Non possiamo neanche pensare di cavarcela dicendo che sono tutti razzisti – ci saranno anche i razzisti ‘militanti', ma non basta. Dobbiamo rimboccarci le maniche e fare quello che abbiamo fatto nell'ultimo periodo con questo referendum: tornare nei quartieri, nelle strade, nelle piazze. Parlare con la gente normale e provare a smontare la propaganda, costruire una narrazione più concreta, più vera, più giusta. Spiegare a quelli che hanno votato No che sbagliano a preoccuparsi, e che anzi, se questo Paese può avere un futuro, ce l'ha solo se siamo più pragmatici e meno semplicistici su questo tema.

Qual è la base di questa nuova narrazione da costruire?
La verità è che in questo Paese dovremmo fare ponti d'oro all'immigrazione. L'Italia ne ha bisogno dal punto di vista demografico, dal punto di vista del lavoro, dell'economia, per pensare di poter pagare le pensioni tra trent'anni. E tutto questo senza considerare che è semplicemente giusto, perché io penso che l'incontro tra culture sia il modo in cui un Paese si sviluppa e si innova.
Lei dice che è il momento per rilanciare il discorso sull'immigrazione e sulla cittadinanza. Ma non c'è il rischio che proprio adesso la politica si ‘raffreddi' su questo? I partiti potrebbero decidere che puntare sullo Ius soli o lo Ius scholae non è conveniente, a livello elettorale, vedendo com'è andato il voto.
Il rischio c'è. Già si vedono alcuni che dicono che addirittura dovremmo lavorare per rendere la cittadinanza più complicata. Penso che sia l'esempio di quanto oggi la politica sia molto spesso incapace di affrontare la complessità. Ragiona sul qui e ora, per avere consenso senza preoccuparsi del futuro. E infatti la colpa non è solo della propaganda della destra, ma anche delle troppe volte che la sinistra ha rincorso la destra sul tema della sicurezza.
Tuttavia, e anzi proprio per questo, noi dobbiamo ritornare a parlare con le persone. Se c'è un elemento nuovo emerso da questo referendum è che io raramente negli ultimi anni ho visto una tale mobilitazione giovanile intorno a una scadenza elettorale o referendaria. Se siamo davvero intenzionati a costruire un'alternativa, dobbiamo ripartire da lì. Cercare di rendere questo entusiasmo costante, costruire un legame tra la politica e chi si è mobilitato. Perché comunque 14 milioni di persone non sono poche. Mi sembra un politicismo eccessivo dire ‘abbiamo vinto lo stesso perché è andata a votare più gente di quanta ha votato il governo di destra‘. Ma comunque è un punto di partenza.
È vero che molti giovani si sono mobilitati per i referendum, soprattutto sulla cittadinanza. Cosa direbbe a chi ora si sente deluso e sconfitto?
Che ha messo in moto un meccanismo importante, perché era da tempo che non si discuteva di questo tema così. E che ora dobbiamo costringere la politica a continuare a impegnarsi. Pochi giorni fa Elena De Filippo, presidente della cooperativa Dedalus, che lavora sull'immigrazione, ha risposto a chi le chiedeva se ora il loro lavoro sia più difficile: "No, non è più difficile, è solo più necessario". Ed è così. Il referendum rischia di dare forza a chi vuole chiudere definitivamente la discussione, ma mai come oggi è necessario mobilitarsi come abbiamo visto.
Un ultimo passaggio più politico in senso stretto: dopo il referendum è scattata la discussione su come affrontare il problema della scarsa affluenza, e sono arrivate due proposte. Da una parte, c'è chi nell'opposizione chiede di eliminare il quorum. Dall'altra, Forza Italia ha proposto di raddoppiare il numero di firme necessario per indire un referendum. Cosa ne pensa?
Io sarei per tenere insieme due cose. Va bene raccogliere un milione di firme, perché soprattutto adesso con la firma online è più semplice. Però togliamo di mezzo il quorum, perché se se la gente ormai ha accettato che che vada a votare il 50% per eleggere un sindaco, un parlamentare, un presidente di Regione, non si capisce perché 14 milioni di persone che sono il 30% non possono decidere di abolire norme sul lavoro o sulla cittadinanza. Non vuoi andare a votare? Bene, è un'espressione legittima se ritieni che non ti interessi, ma ti assumi la responsabilità senza impedire a me di decidere.