
DIRECT è il Podcast in cui cerchiamo di analizzare le cose che accadono, assieme, partendo dalle domande che mi arrivano. È dedicato agli abbonati di Fanpage (ci si abbona qui). ma abbiamo reso alcuni episodi disponibili per tutti su Spotify a questo link.
Partiamo come sempre, dalle domande. Oggi dalla domanda del nostro Sostenitore Andrea:
“Chi sono i fornitori di armamenti e tecnologie da cui comprare il 5% di spesa per la difesa che abbiamo appena approvato?”
Partiamo dall’inizio, Andrea. Ossia dal vertice Nato dell’Aja, che si è tenuto lo scorso 25 giugno.In quel vertice si scontrano due visioni completamente diverse dell’alleanza tra Stati Uniti ed Europa.
La dico più brutale che posso
Quella di Trump: l’Europa deve armarsi, per difendersi da sola.
Quella dell’Europa: l’America ci deve difendere, se la Russia attacca.
In questi casi, vince il più forte.
E infatti, ha stravinto l’America.
Trump ha firmato un documento in cui si dice che “l’attacco a un membro della Nato è un attacco a tutti”. Un documento che ribadisce l’ovvio, visto che è l’articolo 5 della Nato, che in teoria sancisce questo principio.
E non si capiscono due cose: perché ci sia stato bisogno di ribadirlo. E perché lo stesso Trump, che potrebbe non rispettare lo Statuto Nato, dovrebbe essere vincolato al documento conclusivo di un vertice.
Comunque.
Noi abbiamo ottenuto questa firma, per quel che vale. Trump invece ha sbancato, e ha ottenuto che i Paesi Nato aumentino al 5% del PI la loro spesa per armamenti e strumenti di difesa.
Si tratta di una cifra altissima, l’asticella che Trump aveva messo in campagna elettorale per convincere i Paesi europei ad arrivare a spendere almeno il 3% del PIL. E invece ci siamo arrivati, senza colpo ferire, al primo vertice utile.
Veniamo a noi. Se per tutti è una cifra molto alta, per l’Italia lo è ancora di più.
Facciamo due conti:
Il PIL Italiano è pari a circa 2200 miliardi di euro.
Lo scorso anno abbiamo speso per la difesa l’1,5% del PIL, quindi 33 miliardi di euro.
Per arrivare al 5% dovremmo spenderne, ogni anno tra i 75 e gli 80 in più. Di fatto, dovremmo più che triplicare la spesa militare.
In realtà quella cifra sarà più bassa. L’accordo Nato prevede infatti che la spesa per la difesa vera e propria raggiunga il 35% del PIL, mentre il restante 1,5% dovrebbe essere spesi per la sicurezza in termini generale. Un ambito talmente generico che dentro ci si può mettere di tutto, dalla cybersicurezza alla sistemazione delle reti ferroviarie, persino il ponte sullo Stretto di Messina.
Concentriamoci sul 3,5% quindi. Che per l’Italia, in teoria, vuol dire andare spendere circa 40, 45 miliardi in più all’anno.
Anche qui, in teoria.
Perché i nostri in realtà hanno pianificato circa 33 miliardi di spesa aggiuntiva, in dieci anni.
Di base, circa 3,2 miliardi di euro all’anno. 3,2 miliardi di tasse in più, o di spese in meno, o di debito aggiuntivo.
Ma non è questo il punto della domanda.
Come spenderemo quei soldi?
Primo dato: non assumendo nuovo personale, che è già fin troppo. L’Italia spende in personale militare circa il 60% della spesa complessiva. Il resto della Nato circa il 40%. Tocca davvero comprare sistemi d’arma, insomma.
E da chi li compriamo, questi sistemi d’arma?
In teoria, se usiamo i 150 miliardi di euro di debito comune messi a disposizione dalla Commissione Europea dovremmo necessariamente comprare, almeno in parte, europeo.
Si prevede infatti che di ogni cosa che compriamo – anche qui semplifico molto – solo il 35% debba provenire da Paesi extra-europei.
Ma questi sono tecnicismi. La risposta è molto semplice: compreremo dagli Stati Uniti d’America. Cioè da chi ci ha imposto di raddoppiare la nostra spesa militare.
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