Dazi Usa al 15%: quali prodotti italiani sono a rischio a causa dell’intesa Trump–Von der Leyen

Dovrebbe essere un grande successo diplomatico, almeno nelle intenzioni di Donald Trump e Ursula von der Leyen. Un accordo “riequilibratore”, pensato per correggere quelle che Washington definisce storture strutturali nei rapporti commerciali con l’Europa. Ma per l’Italia, che ha fatto dell’export uno dei principali motori economici, il nuovo patto transatlantico è tutt’altro che indolore; l'intesa siglata ieri prevede infatti l’introduzione di una tariffa generalizzata del 15% su gran parte delle esportazioni europee verso gli Stati Uniti. A compensazione, sono previsti regimi speciali con dazi azzerati o ridotti per determinati prodotti e settori “strategici”. Ma i dettagli sono ancora in discussione, e il rischio è che si apra una trattativa serrata tutta da giocare – e da vincere – per non lasciare indietro i settori trainanti del Made in Italy. Restano poi anche altre diverse incognite, come il destino della web tax italiana, a lungo nel mirino di Washington, su cui ieri non è stata spesa una parola. Ma il punto più critico sarebbe un altro: l’Italia arriva a questo tavolo negoziale in una posizione particolarmente vulnerabile: l'export verso gli Stati Uniti è cresciuto in modo massiccio negli ultimi anni, con settori, come l’alimentare, la farmaceutica, l’automotive, che ora rischiano invece di trovarsi schiacciati da tariffe doganali triplicate. Sarà davvero, come dicono Trump e von der Leyen, un accordo “equilibrato”? O un compromesso in cui alcuni Paesi, come l’Italia, rischiano di essere penalizzati più di altri?
Un colpo al Made in Italy in piena corsa
Negli ultimi cinque anni, le esportazioni italiane hanno registrato una crescita robusta: +30%, con un valore complessivo di 623 miliardi di euro nel 2024. Di questi, ben 65 miliardi derivano dal mercato statunitense. Il surplus commerciale ha raggiunto i 55 miliardi, con un incremento di quasi 20 miliardi in un solo anno. In questo contesto, l’arrivo di una tariffa standard del 15% sugli scambi con gli Stati Uniti rischia di frenare la corsa delle imprese italiane. Per molte categorie merceologiche, il dazio triplica rispetto all’attuale media del 4,8%, con la possibilità concreta che i prodotti italiani diventino meno competitivi sul mercato americano. La scelta sarà tra due strade: alzare i prezzi e rischiare di perdere quote di mercato, o assorbire il costo extra, riducendo i margini di profitto. Nessuna delle due opzioni è indolore.
L’impatto stimato: limitato sul PIL, pesante per alcuni settori
Secondo le proiezioni degli istituti economici, le nuove tariffe Usa avranno un impatto macroeconomico contenuto: una flessione del PIL italiano stimata in circa 0,1 punti percentuali annui nel 2026 e 2027. Ma le conseguenze si faranno sentire a livello settoriale e aziendale, con comparti più esposti al rischio di perdere miliardi di euro di esportazioni. Alcuni analisti stimano che fino a 10 miliardi dell’export italiano verso gli Stati Uniti siano a rischio, a meno di riuscire a riconvertire rapidamente verso nuovi mercati di sbocco.
Alimentare: un comparto d’eccellenza sotto minaccia
Le esportazioni agroalimentari italiane negli Stati Uniti valgono circa 8 miliardi di euro; il settore è insomma tra i più delicati: i nuovi dazi potrebbero penalizzare fortemente prodotti iconici come pasta, olio d’oliva, conserve e vini. Parmigiano e Grana Padano, ad esempio, già scontavano dazi del 15% e quindi non subiranno ulteriori aggravi, ma molti altri prodotti sì. Rimane aperta la possibilità che per alcuni alimenti scatti un’esenzione, ma la lista non è ancora stata definita. La speranza è che l’Italia riesca a far inserire buona parte delle sue specialità nei regimi a dazio zero, ma al momento è tutto ancora da negoziare.
Auto: dazi in calo, ma non per meriti nostri
L’industria automobilistica italiana può invece tirare un parziale sospiro di sollievo: i dazi, per questo settore, scendono infatti dal 25% attuale al 15%. L’Italia esporta ogni anno circa 75 mila vetture negli Usa, per un valore di 4 miliardi di euro, più altri 1,2 miliardi in componentistica. Rispetto alla Germania, la presenza italiana nel settore auto americano è modesta, quindi l’impatto sarà contenuto, ma la riduzione del dazio è frutto di un compromesso negoziale più ampio, non di una particolare tutela verso il nostro settore.
Farmaceutica: 10 miliardi esposti
Quello della farmaceutica è invece uno dei settori più redditizi per l’export italiano, ma anche tra i più colpiti. La farmaceutica esporta negli Usa circa 10 miliardi di euro l’anno; fino all’ultimo si temeva un’esclusione totale dal nuovo accordo, ma alla fine si è optato per l’applicazione del dazio standard al 15%; una parziale consolazione arriva per i farmaci generici, che potrebbero essere esclusi dalla tariffazione, aprendo una finestra di opportunità per le aziende specializzate in questo segmento.
Semiconduttori e tecnologia: dazi sì, ma anche qualche esenzione
Anche i semiconduttori sono un settore strategico; l’aliquota del 15% si applica alla maggior parte dei componenti, ma sono previste esenzioni importanti, ad esempio per le apparecchiature impiegate nella produzione di chip. Un tentativo di non ostacolare l’industria ad alta tecnologia, considerata cruciale sia in Europa che negli Stati Uniti.
Terre rare: esenzione strategica
Tra i pochi ambiti dove l’intesa appare invece pienamente cooperativa, c’è quello delle materie prime critiche: terre rare e litio saranno esenti da dazi. La ragione appare chiara: sono indispensabili per la difesa, l’aerospazio e la transizione digitale. Ue e Usa si sono impegnati a garantire uno scambio fluido e senza ostacoli per queste risorse.
Energia: una dipendenza imposta
L’accordo prevede poi che l’Europa acquisti 750 miliardi di euro di energia statunitense in tre anni. In pratica, si tratta di 250 miliardi l’anno di gas naturale liquefatto (GNL) e petrolio americano; una scelta politica, oltre che commerciale, che punterebbe a sostituire l’energia russa con quella statunitense, ma che rischia forse anche di cristallizzare una nuova dipendenza energetica, spostando solo il baricentro geopolitico.
Siderurgia: il settore resta ai margini
Per acciaio e alluminio, invece, nessuna novità: i dazi rimangono alti, rispettivamente al 50% e 25%. Trump ha confermato infatti che "non cambia niente". Per l’Italia, il danno è ormai limitato: l’export siderurgico verso gli Usa si è già contratto di due terzi dopo l’introduzione delle tariffe nel 2018. L’alluminio, nonostante tutto, continua a trovare qualche sbocco, ma resta un mercato marginale.
Web tax: silenzio e incertezza
Un grande assente nella conferenza stampa è stato il tema della web tax italiana, più volte criticata da Washington. Fino a poco tempo fa sembrava destinata a essere smantellata per evitare ritorsioni, ma ieri non se n’è parlato. Un silenzio che lascia aperti molti interrogativi su come evolverà la posizione dell’Italia e dell’Unione Europea nei confronti dei colossi del digitale a stelle e strisce.