Cosa cambia per i pazienti con la riforma dei medici di famiglia, divisi tra ambulatorio e studio privato

La riforma dei medici di famiglia che il governo Meloni discute da mesi con le Regioni sembra arrivata a un compromesso definitivo: i dottori potranno scegliere se restare dei liberi professionisti convenzionati con il Ssn, che visitano i pazienti in uno studio privato, oppure se diventare direttamente dipendenti della sanità pubblica. A quel punto probabilmente saranno tenuti a lavorare in altre strutture, ad esempio le Case di comunità costruite con i soldi del Pnrr. Per i pazienti questo potrebbe significare avere sempre a disposizione un professionista sanitario, ma anche non essere certi che sarà il proprio medico a fare la visita.
La scelta dei medici: continuare come privati o diventare dipendenti pubblici
L'idea iniziale del governo era di trasformare tutti i medici di base in dipendenti, ma dopo l'opposizione della categoria e delle amministrazioni regionali è arrivata una via di mezzo. "Credo che sul tema del contratto dei medici di famiglia sia giusto lasciar scegliere i medici se continuare ad essere liberi professionisti o diventare dipendenti del Ssn", ha detto ieri il ministro della Salute Orazio Schillaci all'evento sulla sanità di Rcs Academy. La soluzione arriverà "in tempi brevi", ha aggiunto il ministro, che però non ha dato scadenze precise.
Schillaci ha confermato anche che i luoghi di lavoro dei medici potrebbero cambiare: "Credo sia fondamentale che i medici di medicina generale", ha detto, senza differenziare tra chi sarà dipendente e chi privato, "passino una parte del loro tempo all'interno delle strutture della medicina del territorio previste dal Pnrr. Faccio riferimento alla Case di comunità, dove il medico di famiglia è una figura fondamentale all'interno dei team multidisciplinare previsti".
Cosa cambia per i pazienti
Dunque, concretamente, cosa cambierebbe per i pazienti? L'idea è che tutti i cittadini continueranno a potersi scegliere un medico di famiglia di riferimento, a prescindere che questo sia un privato convenzionato oppure un dipendente pubblico. Nel primo caso, la situazione sarà uguale a oggi: ci sarà uno studio privato a cui rivolgersi, che sarà aperto con gli orari decisi dal medico. In più, ci sarà l'obbligo per il dottore di lavorare alcune ore nelle strutture pubbliche di medicina territoriale, ovvero nelle Case di comunità: potrebbe trattarsi di almeno 18 ore a settimana, ma non c'è ancora una decisione definitiva su questo punto della riforma.
Nel secondo caso, invece, il proprio medico di famiglia lavorerà nelle strutture pubbliche. Potrebbe trovarsi in una delle Case di comunità, che dovranno essere aperte per dodici ore al giorno. All'interno di quell'orario, il medico potrebbe essere sostituito da un altro collega, che potrebbe comunque prendere in carico i pazienti che ne hanno bisogno.
I possibili rischi e i lati positivi
Sulla carta, quindi, potrebbe anche esserci un miglioramento per i cittadini nella situazione in cui il proprio medico di famiglia non è disponibile. Normalmente, se si parla di un libero professionista, i pazienti potrebbero decidere di rivolgersi ai Pronto soccorso per avere assistenza. Se invece il medico è un dipendente pubblico, a sostituirlo potrebbe essercene un altro nella stessa struttura.
Il possibile lato negativo, lamentato dalle associazioni di categoria, è che potrebbe venire meno il più stretto rapporto medico-paziente: invece di concordare una visita, si va in ambulatorio e per la visita chi c'è c'è. Ma naturalmente molto dipende da come sarà messa in atto concretamente la riforma.
L'obiettivo, per Schillaci è "rendere nuovamente più facile e attrattivo fare il medico di famiglia", dato che oggi "nei concorsi non c'è una ampia partecipazione". Servono più medici di base, "che sono il primo punto di contatto tra cittadini e Ssn2". E questo non passa solo dalla possibilità di essere dipendenti, ma anche da una nuova "scuola di specializzazione universitaria su base nazionale".