Chi vota sì e chi vota no al Referendum dell’8 e 9 giugno 2025: la posizione dei partiti sui quesiti

Domenica 8 e lunedì 9 giugno gli elettori italiani dovranno esprimersi su cinque quesiti referendari abrogativi: uno sulla cittadinanza e quattro sul lavoro. Le urne resteranno aperte domenica dalle 7 alle 23 e lunedì dalle 7 alle 15. Ma la posta in gioco va oltre il merito delle norme da abrogare: la vera battaglia politica si sta infatti consumando sull'affluenza. Se non si raggiunge il quorum, cioè il 50% più uno degli aventi diritto, i referendum verranno dichiarati nulli. E non è un dettaglio, considerando che il governo e i partiti di centrodestra stanno apertamente spingendo per l'astensione. Ma se non si raggiunge il quorum i Referendum non passeranno. I quesiti toccano temi sensibili: il più politico riguarda il dimezzamento (da dieci a cinque anni) del periodo minimo di residenza legale richiesto agli stranieri extra-Ue per richiedere la cittadinanza italiana. Gli altri quattro mirano invece a cancellare o modificare parti del Jobs Act e altre norme su licenziamenti, contratti a termine, tutele per i lavoratori e responsabilità in caso di incidenti sul lavoro. I partiti si dividono in modo netto, e in alcuni casi perfino all'interno dello stesso schieramento.
AVS, PD e M5S votano Sì al Referendum dell'8 e 9 giugno
La forza politica che più chiaramente sostiene tutti e cinque i quesiti è Alleanza Verdi-Sinistra, formata da Sinistra Italiana e Europa Verde. La loro posizione è netta: sì alla cittadinanza dopo cinque anni di residenza legale, sì all'abrogazione delle norme su tutele crescenti e contratti a termine, sì alla responsabilità diretta delle imprese in caso di incidenti sul lavoro, sì a un mercato del lavoro meno precario e più sicuro. Anche il Partito Democratico ha formalizzato una posizione ufficiale a favore del Sì su tutti e cinque i quesiti. Elly Schlein ha definito questi referendum come "una battaglia per la dignità del lavoro e per il diritto di cittadinanza". Nel partito però non mancano voci discordanti: alcuni esponenti, tra cui Guerini, Madia, Gori e Picierno, hanno infatti dichiarato di votare Sì solo sulla cittadinanza e sulla sicurezza sul lavoro, e No sugli altri tre quesiti che toccano il Jobs Act. Il Movimento 5 Stelle ha espresso pieno sostegno ai quattro quesiti sul lavoro, mentre sulla cittadinanza ha lasciato libertà di voto. Giuseppe Conte ha però dichiarato pubblicamente che voterà Sì anche su questo: "Una Repubblica fondata sul lavoro non può accettare precarietà, insicurezza e disuguaglianze", ha dichiarato, invitando gli elettori ad "alzare la voce" nelle urne. Più Europa sostiene due Sì (cittadinanza e sicurezza sul lavoro) e tre No. Azione, pur critica sul ricorso al referendum come strumento, ha annunciato voto favorevole solo sul quesito della cittadinanza.
Chi vota No al Referendum dell'8 e 9 giugno su lavoro e cittadinanza
Il centrodestra è compatto nel dire No a tutti i quesiti. Fratelli d'Italia, Lega e Forza Italia non solo si oppongono alle proposte referendarie, ma hanno scelto la via dell'astensione come strategia politica. Il ragionamento appare estremamente chiaro: se l'affluenza resta sotto il quorum, i referendum decadono automaticamente. Per questo non solo non fanno campagna per il No, ma invitano esplicitamente i cittadini a non votare. La contrarietà è particolarmente marcata sul tema della cittadinanza: la proposta di ridurre da dieci a cinque gli anni di residenza necessari per gli stranieri extra-Ue è vista come una "orzatura ideologica". Ma anche sui quesiti legati al lavoro, soprattutto quelli che smantellano parti del Jobs Act o rafforzano la responsabilità delle imprese in caso di incidenti, i partiti di governo si sono mostrati ostili, rilanciando l'idea che si tratti di "strumentalizzazioni politiche" da parte della sinistra. Italia Viva, su questo, avrebbe adottato una posizione articolata: Matteo Renzi ha infatti invitato a votare Sì solo sul quesito della cittadinanza, No su due quesiti riguardanti licenziamenti e tutele crescenti, e ha lasciato libertà di voto sugli altri due. Una linea che rispecchia l'origine politica del Jobs Act, firmato proprio sotto il suo governo.
La posizione del governo sul Referendum e le polemiche sul silenzio dei media
Il governo Meloni, come detto, ha scelto una linea precisa: non parteciperà al voto. Lo ha detto chiaramente il vicepremier e leader di Forza Italia, Antonio Tajani, parlando di un "astensionismo politico". "Non c'è nessun obbligo di andare a votare", ha dichiarato, "chi non condivide il quesito ha tutto il diritto di non contribuire al raggiungimento del quorum". Una posizione ribadita anche dalla Lega e, per ora implicitamente, da Fratelli d'Italia. Questa scelta ha suscitato critiche durissime, soprattutto da parte dei promotori dei referendum e di alcune forze dell'opposizione, non solo per l'invito a disertare le urne, ma anche per il silenzio mediatico che, in modo più o meno esplicito, ha accompagnato la campagna. I sondaggi mostrano un dato paradossale: oltre il 90% degli italiani sa che si voterà, ma più del 50% non conosce nel merito i quesiti. Una disinformazione che rischia di svuotare di senso lo strumento referendario.
Il sospetto, per molti, è che il silenzio sia voluto. Perché meno se ne parla, più si rafforza la strategia dell'astensione. Ma in gioco c'è un principio democratico fondamentale: il diritto dei cittadini di decidere, informati e consapevoli, sulle leggi che li riguardano.