C’eravamo tanto armati: quanto costa prepararsi alla guerra?

La spesa militare aumenta in tutto il mondo. Cerchiamo allora di capire come priorità di tutti i Paesi stanno cambiando, arricchendo in modo estremo una manciata di imprese del settore tecnologico. Quelle che producono le armi.
A cura di Annalisa Girardi
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Ci stiamo preparando alla guerra. E per farlo stiamo spendendo tanti, ma davvero tanti, soldi. Miliardi. Anzi, trilioni. Nel 2024 si è raggiunto il picco, il valore più alto mai registrato di spesa militare globale: 2,7 trilioni. Che sono 2.700 miliardi di dollari. Una cifra difficile anche solo da immaginare. Ma dove finiscono, concretamente, questi soldi? Nelle tasche di quali aziende produttrici di armi? E l’Italia, quanti ne spende?

Di solito, quando si parla di spesa pubblica, si parla sempre di tagli. Tagli alla scuola, alla sanità, alle pensioni. È stato il ritornello degli ultimi decenni, dalla crisi del 2008 in poi praticamente. Ma c’è una voce di spesa che non ha fatto che crescere: quella della spesa militare. Da anni cresce, sempre di più.

Il record di spesa militare globale

E non solo in Italia. Nel 2024 è stato toccato il record di spesa militare globale, 2,7 trilioni di dollari, al decimo anno consecutivo di aumenti. Il 9,4% in più sull’anno precedente. Il 37% in più se facciamo un confronto con dieci anni prima. Ma in alcune regioni questa crescita è stata più marcata che in altre: in una ha toccato addirittura l’83% in più. E no, non sto parlando del Sahel o dell’America Latina. Sto parlando dell’Europa.

In numeri assoluti, l’Europa non è la regione che spende di più in Difesa. Viene ampiamente superata dal Nord America, più precisamente dagli Stati Uniti, che da soli spendono quasi come Europa, Africa e Asia messe insieme. Però il Vecchio Continente è la regione che, rispetto a dieci anni fa, ha aumentato di più la sua spesa militare. Un segnale di come le cose siano rapidamente cambiate. Nel secondo Dopoguerra l’architettura dell’Unione europea, che è nata come un progetto politico di pace, aveva fatto sì che gli investimenti in armi e difesa calassero drasticamente. E, parallelamente, salissero quelli nel welfare, in istruzione, sanità, coesione sociale.

Ora le voci di spesa ci raccontano una realtà diversa. Ci dicono che la pace non è più così scontata. Che per troppo tempo non ci siamo chiesti se siamo in grado di difenderci dagli attacchi esterni. E che ora bisogna rimediare, in fretta.

La corsa al riarmo

Quindi riarmarsi, comprare quelle armi che per decenni pensavamo non ci sarebbero mai servite. Però, chiaramente, le armi costano. Tanto.  E quando si tratta di spendere di più, per l’Italia arrivano subito i problemi. La coperta è corta, è un mantra che sentiamo ripetere tutti gli anni. Il miracolo economico nel nostro Paese è acqua passata, l’economia italiana non cresce abbastanza e i soldi, semplicemente, non ci sono per tutto. Bisogna fare delle scelte, stabilire le priorità.

La spesa militare è diventata una priorità, su questo non c’è dubbio. Basta dare un occhio alla Legge di Bilancio per il 2026 per rendersene conto. Nel testo del governo, i numeri sono messi nero su bianco. Se andiamo a guardare il budget del ministero della Difesa, vediamo stanziati circa 31 miliardi di euro, una cifra in crescita rispetto a quella spesa quest’anno.

È un aumento costante, che va avanti da anni, ma che ora sta subendo un’accelerata in questo nuovo Ventennio. La guerra in Ucraina e il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca hanno spinto la crescita esponenziale.

Cosa ci dicono i dati

Andiamo a vedere i dati dell’Osservatorio Milex, un osservatorio che monitora appunto l’andamento delle spese militari. Nel 2017, quindi circa dieci bilanci fa, il budget del ministero della Difesa era di 19,7 miliardi di euro. Nel 2022, cinque bilanci fa, era salito a 25,9 miliardi. Quindi stiamo parlando di un aumento decennale di oltre 12 miliardi e mezzo, il 63,8% in più, in soli cinque anni di 6,4 miliardi, il 25% in più.

Non ci si fermerà ora che sono stati raggiunti i 30 miliardi. Anzi. Gli obiettivi della Nato parlano chiaro: entro il 2035 i Paesi membri dell’Alleanza Atlantica dovranno spendere il 5% del loro Pil in Difesa. Quel 2% che per anni ha rappresentato l’obiettivo – così faticoso da raggiungere, a cui ci stavamo avvicinando nell’ultimo anno – nell’arco di qualche incontro è diventato la base di partenza. Da questa base bisogna salire, arrivando a stanziare il 3,5% del Pil in spesa militare pura e l’1,5% in voci più ampie legate alla sicurezza.

Cosa vuol dire questo? Che nei prossimi anni l’Italia dovrà spendere decine e decine di miliardi in più. Soldi che – a meno di non riuscire a far lievitare le entrate – dovranno essere tolti da altre voci di spesa.

Tagli e aumenti: l'impatto delle nuove politiche militari

E questo è il grande punto del dibattito politico. Cosa comporta, concretamente, aumentare la spesa militare? Su cos’altro pesa questa decisione? Su quali altri investimenti: istruzione, sanità, infrastrutture, servizi?

Ovviamente è un punto centrale, è chiaro. L’Europa sta cambiando la sua natura, la sua essenza: da patria del welfare a continente che stanzia 800 miliardi di euro per riarmarsi, per comprare missili e munizioni. Andando anche, potenzialmente, a recuperare fondi dalle politiche di coesione. E cosa significa questo? Che dei soldi che oggi vengono spesi per ridurre le diseguaglianze, per colmare i divari nell’occupazione ad esempio o per collegare una periferia remota con i centri urbani, domani potrebbero essere usati per comprare carri armati e bombe.

È un aspetto cruciale di tutta questa vicenda, ma non è l’unico. Il punto non è solo come recuperare questi soldi, per aumentare la spesa. Il punto è anche dove vanno a finire. Parliamo di miliardi e miliardi di euro: nelle tasche di chi finiscono?

Chi si arricchisce con le armi

Delle aziende produttrici di armi, è ovvio. In questo clima di profonda incertezza geopolitica, di tensioni che si fanno sempre più acute, c’è chi sta prosperando. Come durante la pandemia le imprese farmaceutiche portavano a casa enormi profitti, in tempi di guerra sono i colossi delle armi a riempirsi la pancia. E la guerra può essere anche solo paventata, anche solo in prospettiva: quanto basta da innescare la corsa al riarmo.

L’Italia, che di solito non occupa mai i primi posti delle classifiche, questa volta sì che è in cima agli elenchi. Siamo tra i principali produttori di armi e tra i principali esportatori. Quando si cercano informazioni su questo campo, la Bibbia di riferimento è il report annuale del SIPRI, un istituto di ricerca svedese che si dedica appunto di conflitti, controllo delle armi e spesa militare.

I dati del Sipri ci dicono che  le cento maggiori aziende produttrici di armi e fornitrici di servizi militari nel 2024 hanno raggiunto ricavi per 679 miliardi di dollari, il 5,9% in più di quanto guadagnato nel 2023. Nella decade, tra il 2015 e il 2024, i ricavi sono cresciuti del 26%.

I guadagni che si fanno con la guerra

Sul podio ci sono sempre gli Stati Uniti. Le loro aziende hanno generato la metà del fatturato complessivo di queste prime 100: 41 imprese che contano su 317 miliardi di euro. L’Italia viaggia su altre cifre, ma questo non vuol dire che il settore non sia prospero. Ci sono due aziende con sede in Italia nella top 100 del Sipri e insieme, nel 2024, hanno totalizzato 16,8 miliardi di dollari, il 9,1% in più dell’anno prima. Leonardo, che si posiziona al 12esimo posto ed è la seconda azienda europea in classifica, da sola arriva a 13,8 miliardi di dollari, con un 10% in più sull’anno prima. La seconda azienda italiana nella classifica, che produce materiale bellico, è Finacantieri, al 53esimo posto.

Non sta aumentando solo la produzione. Crescono anche le esportazioni. Se guardiamo al Dopoguerra, solo tra la metà degli anni Settanta e gli anni Ottanta, si esportavano più armi. In quel momento, la Guerra Fredda era all’apice, e si temeva che potesse diventare calda da un momento all’altro. Per cui ci si preparava. Anche oggi i conflitti armati e le tensioni tra gli Stati chiaramente spingono molti governi a voler acquistare più armi.

I produttori e gli esportatori di armi

Da chi?

L’Italia è il sesto Paese al mondo a esportare più armi. Prima di noi ci sono solo gli Stati Uniti, la Francia, la Russia, la Cina e la Germania. Va precisato che del totale di armi esportate, il 43% sono statunitensi, il 9% francesi, il 7% russe, il 5,9% cines e il 5,6% tedesche. Quelle italiane sono il 4,8%. E dove vanno a finire, in generale, queste armi? Chiaramente al momento il principale Paese esportatore è l’Ucraina, seguito in questa classifica da India, Qatar, Arabia Saudita e Pakistan.

Insomma l’industria delle armi, di questi tempi, non rischia la crisi.

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