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Referendum 2025

Castelli (ScN): “Votiamo no al referendum cittadinanza, ma andiamo alle urne: mai rinunciare ai diritti”

Laura Castelli, presidente di Sud chiama Nord, intervistata da Fanpage.it spiega la posizione del partito in vista dei referendum dell’8 e 9 giugno: no sulla cittadinanza, libertà di coscienza sul lavoro. Ma invita comunque gli elettori ad andare alle urne: “Quando si ha diritto al voto non ci si deve rinunciare mai”.
A cura di Luca Pons
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Tra pochi giorni, domenica 8 e lunedì 9 giugno, si voterà per i cinque referendum su cittadinanza e lavoro. Laura Castelli, presidente di Sud chiama Nord, ha risposto alle domande di Fanpage.it sulle posizioni del partito: la scelta di votare ‘no' sulla riforma della cittadinanza – perché servirebbe una seria lotta alla burocrazia, al suo posto- e la libertà di coscienza nei quesiti sul lavoro, che andrebbero sostituiti con una vera riforma del Parlamento. In più, Castelli ha commentato la manifestazione di sabato 7 giugno per chiedere la fine degli attacchi militari di Israele a Gaza, e ha contestato l'Agcom: il Garante delle comunicazioni non è intervenuto, nonostante ScN sia stato ‘oscurato' nel periodo pre-referendum.

Prima di entrare nel merito del referendum: in questo caso le polemiche politiche si sono concentrate molto sull'invito a votare o meno. Lei andrà alle urne?

Sì, siamo convinti che non si possa non esercitare il diritto al voto. Diciamo ai nostri elettori che riteniamo che si debba andare a votare, anche se i quesiti sono discutibili, perché quando si ha diritto al voto non ci si deve rinunciare mai.

Pensa che arriverà il quorum?

Ho paura che non si raggiungerà. Devo dire che non sono mai stata d'accordo con il principio del quorum, in altri momenti politici presentai insieme ad altri delle proposte di quorum zero. Detto questo, anche se ho il dubbio che non sarà raggiunto, dire cosa si pensa è sempre un modo per esercitare il proprio pensiero democratico. Quando una percentuale così alta delle persone si astiene, tutte le forze politiche dovrebbero dire ai cittadini di andare a votare. E poi bisogna giustificare i sì o i no, entrando nel merito. Far maturare a tutti un'idea rispetto ai quesiti sarebbe stato un bell'obiettivo per chi fa politica.

Il quesito sulla cittadinanza prevede di dimezzare i tempi legali per diventare italiani: non più dieci, ma cinque anni di residenza continuativa nel Paese. Cosa ne pensate?

Siamo rimasti basiti perché il dibattito su questo quesito non ha riguardato quanto tempo serve per maturare il sentimento di essere cittadino del luogo dove vivi da più anni: chi l'ha proposto ha spiegato subito che lo faceva in quanto ad oggi, dopo i dieci anni di attesa, ce ne vogliono altri cinque, sei o sette solo per il lato burocratico.

Questa è la follia l'italiana. Un problema di questo genere si risolve con un forte impegno contro la burocrazia, ci si siede e si capisce insieme ai tecnici e i politici come sburocratizzare un processo che per molti è importante. Su questo referendum invitiamo a votare no, perché è assurdo che la soluzione per un tema così rilevante sia di ridurre gli anni, e non invece battersi per diminuire la burocrazia.

Quindi bisognerebbe accorciare i tempi effettivi per la cittadinanza, ma non riducendo il requisito per legge, piuttosto tagliando quelli ‘extra' legati alla burocrazia?

Sì, ridurre i tempi in questo modo vuol dire alzare le mani al problema più annoso e più costoso dell'Italia. Si vuole utilizzare un tema che sappiamo essere anche molto ideologico per alcune forze politiche, non per risolverlo ma per fare propaganda.

I quattro quesiti sul lavoro sono diversi: dall'ex articolo 18 ai subappalti. Qual è la vostra posizione?

Lasciamo libertà di coscienza al nostro elettorato, però c'è una grande verità che nessuno dice. Innanzitutto, si parla di modifiche normative che si potrebbero discutere in un normale processo parlamentare, senza utilizzare un referendum. E soprattutto: il Jobs Act è stato modificato più volte, anche dopo il Covid, ma non c'è mai stato il coraggio di strutturare una nuova vera riforma sul lavoro al passo coi tempi. Il Paese è cambiato moltissimo, ma il Parlamento e il governo non sembrano volerne prendere atto. Guardo alla Spagna, che in questi anni ha portato avanti una riforma coraggiosa, in cui ha cambiato molto anche alcuni punti fondamentali.

La nostra impressione è che alcuni sindacati, non tutti, invece di far progredire questo Paese lo rallentino senza ascoltare le nuove generazioni. Quelle che vedono l'Italia cambiare, e capiscono bene che questi strumenti non sono più adeguati. Si parla di sindacati che probabilmente sono in crisi sui propri valori e le proprie proposte, che tornano a ridiscutere continuamente su aspetti che possono essere importanti per i lavoratori – infatti lasciamo libertà di coscienza – ma non sono quello su cui un Paese come l'Italia dovrebbe concentrarsi.

Dice che le opposizioni avrebbero potuto discutere questi temi in Parlamento, invece di lanciare un referendum. Ma se la maggioranza non è disposta a intervenire, rivolgersi ai cittadini non è una buona alternativa?

Io credo che questi temi siano stati voluti solo da alcuni sindacati. Non dai gruppi parlamentari, che possono scrivere emendamenti e proposte di legge. Non mi sembra che oggi ci sia un ddl di un gruppo di opposizione che contenga le modifiche portate avanti dai referendum sul lavoro, per esempio.

Sabato 7 giugno a Roma si svolgerà una manifestazione nazionale per Gaza. Parteciperete?

Da sempre la nostra posizione è chiara: non è possibile giustificare le morti di migliaia di bambini, uomini e donne coinvolte in una guerra per cui non hanno colpe. Siamo arrivati a un punto di non ritorno, ma il punto non è ‘con chi stai', se ‘ti piace' di più un Paese o un altro. Di fronte alle immagini di morte bisogna schierarsi dalla parte del cessate il fuoco.

Invece l'estremizzazione dei concetti nel dibattito diventa, secondo noi, intollerabile. Sud chiama Nord non apprezza per niente questo modo di fare politica. Ci sono estremisti da una parte e dall'altra. Non ci si può guardare negli occhi e ammettere che non bisogna più accettare le morti, e che bisogna cercare una soluzione diplomatica che coinvolga diversi Paesi? Che bisogna sostenere il diritto internazionale e proteggere vite umane? La piazza di sabato, in sé, è anche corretta. Ma il problema è quello che c'è in mezzo: voler cogliere in fallo i partiti di maggioranza a tutti i costi, su una posizione piuttosto che un'altra.

Di recente avete contestato l'Agcom, il Garante delle comunicazioni, perché non è intervenuto sul referendum: sostenete che la vostra posizione sia stata di fatto oscurata, e che l'Autorità avrebbe dovuto correggere la situazione.

Esatto. Siamo un partito nazionale, abbiamo eletto parlamentari, abbiamo fatto le europee, siamo nei sondaggi, siamo il primo partito in Sicilia. Ma non basta. Oggi, come è successo anche alle europee, l'Agcom si dimentica che noi esistiamo. Quindi siamo purtroppo obbligati a ricordargli che il pluralismo è un principio sacrosanto. Non far esprimere un partito che è all'1,5% è inaccettabile, diventa difficile fare politica in questo modo.

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