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Bonus mamme: come il governo Meloni vuole rilanciare le nascite e sostenere il lavoro femminile

Il governo studia una maxi-detrazione riservata alle madri lavoratrici, proporzionale al numero di figli, per contrastare il crollo demografico e incentivare l’occupazione femminile. Una misura fiscale ambiziosa, ma condizionata dai vincoli di bilancio. Il problema della natalità è però parte di una crisi più ampia: servizi, lavoro, parità, futuro.
A cura di Francesca Moriero
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mamme lavoratrici

Il governo sta lavorando a una misura fiscale inedita: una super-detrazione riservata alle madri lavoratrici, crescente in base al numero di figli. L'ipotesi tecnica prevede sconti significativi, fino a 17.500 euro per chi ha quattro figli, con un doppio obiettivo dichiarato: incentivare la natalità e rafforzare l'occupazione femminile, ancora tra le più basse d'Europa. A spingere per l’inserimento del provvedimento nella prossima legge di bilancio è il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti, convinto che la crisi demografica sia prima di tutto una questione economica: meno figli oggi significa meno lavoratori domani, meno contribuenti attivi, meno equilibrio per il sistema pensionistico. Ma può davvero bastare un bonus fiscale per invertire la rotta? Il crollo delle nascite in Italia — meno di 380 mila nuovi nati nel 2024, nuovo minimo storico — è il sintomo evidente di una crisi strutturale che va ben oltre le cifre; diventare genitori, oggi, appare infatti sempre più difficile non per mancanza di incentivi, ma per assenza di condizioni: casa, lavoro stabile, servizi per l’infanzia, asili accessibili, parità sul lavoro, sostegno nella cura. È questa la rete che manca. Per molte madri, o aspiranti tali, il vero ostacolo insomma, non è l'assenza di un bonus, ma la fragilità del contesto in cui si vive.

In uno scenario simile, una misura fiscale ambiziosa potrebbe segnare un cambio di passo, ma come sottolinea chi già la critica, solo se parte di un disegno più ampio, altrimenti rischia di restare un palliativo, utile forse a chi già lavora e ha un reddito stabile, ma incapace di rimuovere gli ostacoli che oggi frenano davvero la natalità. Quel che è certo è che i margini per agire sono strettissimi; l'Italia è infatti vincolata a un percorso di contenimento della spesa pubblica concordato con Bruxelles: nel 2025 le uscite correnti non potranno superare l’1,5% del PIL. A questo si aggiunge un secondo vincolo: gli impegni assunti in sede NATO, che prevedono un aumento progressivo delle spese militari fino al 5% del PIL nei prossimi dieci anni.

In questo scenario, insomma, ogni nuova misura sociale dovrà confrontarsi con risorse limitate e priorità concorrenti.

Come funziona oggi il sistema: tra detrazioni e "quoziente familiare"

La proposta del 2025 si inserisce nel solco di un intervento fiscale già avviato lo scorso anno, con l'introduzione del cosiddetto "quoziente familiare": una riforma passata un po' in sordina, ma che ha cambiato il meccanismo di calcolo delle detrazioni per i contribuenti con redditi superiori a 75mila euro. Oggi, infatti, l'ammontare massimo delle spese ammesse in detrazione si riduce progressivamente con l'aumentare del reddito, ma tutela maggiormente le famiglie numerose e quelle con figli con disabilità. Il meccanismo è basato su due parametri: il reddito complessivo e il numero di figli a carico. Più figli si hanno, più aumenta la detrazione massima. Ma si tratta ancora di una protezione più che un incentivo: le famiglie con figli non guadagnano davvero di più, semplicemente vengono meno penalizzate rispetto a chi non ha prole.

Nel dettaglio, chi ha tra i 75mila e i 100mila euro di reddito può ottenere fino a 14mila euro di detrazione, ma solo se ha più di due figli o un figlio disabile. Chi non ha figli si ferma a 7mila euro, mentre sopra i 100mila euro la detrazione massima è di 8mila euro con figli, e 4mila senza. In pratica, la differenza la fa il numero dei figli, ma l'impianto rimane difensivo.

La nuova proposta: più figli, più detrazione (ma solo alla madre)

La novità allo studio del Ministero dell'Economia sarebbe quella di introdurre una detrazione aggiuntiva e strutturata, riservata alle madri lavoratrici. La scala, ancora in fase tecnica, potrebbe essere così articolata:

  • 2.500 euro per il primo figlio;
  • 7.500 euro per il secondo (in aggiunta ai primi 2.500);
  • 12.500 euro per il terzo;
  • 17.500 euro per il quarto.

Un incentivo pensato per essere cumulativo, e che premi chi ha più figli con una riduzione significativa della pressione fiscale personale. Una madre con due figli avrebbe diritto a 10mila euro di detrazioni totali, con tre figli salirebbe a 22.500 euro. Un beneficio che aumenterebbe la capienza fiscale, cioè la possibilità di abbattere l'imponibile e trattenere più reddito netto.
Ma ci sarebbe un aspetto chiave: la misura, per ora, sarebbe riservata solo alla madre. Il padre infatti potrebbe beneficiarne solo in caso di "incapienza" della donna, cioè se non ha abbastanza reddito per sfruttare tutta la detrazione. L'intento dichiarato sarebbe quello di rafforzare l'indipendenza economica femminile, e incoraggiare l'occupazione delle donne con figli.

Le incognite: risorse, priorità politiche e altre misure in scadenza

Ma quanto costa questa super-detrazione? E dove trovare le risorse? Nessuno, per ora, ha fornito stime ufficiali: quel che è certo è che il provvedimento dovrà competere con altre priorità politiche, come la promessa riduzione dell'Irpef per la classe media, con il taglio del secondo scaglione dal 35% al 33%, anch'essa attesa nella prossima legge di bilancio. C'è poi il tema della sovrapposizione con misure già esistenti: in particolare, la decontribuzione per le madri con due o tre figli introdotta a inizio 2024 (che consente un abbattimento dei contributi fino al 100% per chi lavora) scadrà tra fine 2025 e fine 2026. Non è escluso che venga assorbita, modificata o sostituita dalla nuova detrazione. Anche qui, però, servirà una scelta politica chiara su quali misure mantenere, riformare o abbandonare.

Asili, servizi, lavoro stabile: senza rete sociale, il bonus non basta

Accanto alla detrazione, il governo starebbe valutando anche interventi sui servizi per l'infanzia, a partire dal potenziamento del bonus nido e dalla revisione delle soglie ISEE per renderlo più accessibile. Attualmente il bonus erogato dall'Inps raggiunge circa 480 mila famiglie, ma l'offerta di nidi pubblici è ancora insufficiente, con profonde disparità territoriali. Il vero salto di qualità, avvertono esperti e associazioni, non può essere solo fiscale; senza una rete stabile di welfare, senza orari compatibili con il lavoro, senza servizi educativi di qualità, nessuna detrazione può bastare. Il rischio, altrimenti, è che il bonus vada a beneficio solo delle madri che già lavorano, lasciando fuori proprio chi oggi è più penalizzata da precarietà e carenza di tutele.

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