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Opinioni

Riforme, promesse e avversari: così Giorgia Meloni si prepara alla fase due

Gli errori nella vicenda Cutro, il lavoro alle corde di Matteo Salvini, la distanza sull’Ucraina con Silvio Berlusconi, la riorganizzazione dell’opposizione: così Giorgia Meloni prova a uscire dalla prima vera crisi della sua reggenza a Palazzo Chigi.
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L’intervento di Giorgia Meloni al congresso della Cgil è stato giustamente al centro del dibattito politico degli ultimi giorni. Prima ancora che sui contenuti, la discussione si è concentrata sulla ratio delle scelte, tanto della Presidente del Consiglio che del segretario della Cgil Maurizio Landini. Se ci sono pochi dubbi sul fatto che per il sindacato si sia trattato di un ulteriore passo in avanti nel percorso di legittimazione come attore centrale nel panorama pubblico (che aveva subito qualche arretramento nel periodo del dirigismo draghiano), più interessante è capire come la leader di Fratelli d’Italia abbia scelto di affrontare una platea certamente non ben disposta, soprattutto nel pieno della rottura sulla delega fiscale.

Meloni era convinta di poter arrivare all’appuntamento di Rimini in un contesto ben diverso. Del resto, non sembravano esserci ostacoli al prosieguo della sua luna di miele col Paese: gli altri leader della maggioranza erano alle prese con problemi interni ai loro partiti e da tempo non avevano il favore dell’opinione pubblica; l’opposizione era divisa e frammentata, l’unico leader in campo, Giuseppe Conte, su temi di grande impatto aveva (ha) margini di manovra dimezzati, condizionato com’è dalle sue precedenti esperienze di governo; il suo governo si era trovato con percorsi avviati e decisioni già prese sui principali dossier (politiche fiscali, guerra in Ucraina, gestione della pandemia e soprattutto Pnrr).

Invece, dopo anni di confusione, esperimenti e contraddizioni, il quadro politico italiano sembra investito da un rapido processo di "normalizzazione", destinato probabilmente a ridisegnare equilibri consolidati. A fungere da catalizzatore è stata senza dubbio la sua presenza a Palazzo Chigi, a un tempo conseguenza delle trasformazioni degli ultimi anni e causa di cambi di strategia e riposizionamenti tanto dell'elettorato quanto di parte consistente della classe politica che ha tenuto le redini del Paese negli ultimi decenni. La vittoria di Elly Schlein alle primarie del Partito democratico, il percorso comune di Carlo Calenda e Matteo Renzi, il lento ma chiaro disimpegno di Silvio Berlusconi dalla politica attiva: tutti elementi che sembrano poter concorrere a una trasformazione importante del panorama politico. Una vera destra conservatrice, un contenitore in grado di tenere insieme i vecchi liberali/reazionari con i populisti/sovranisti, fino ad arrivare ai teo-con e alle nuove leve dei circuiti che orbitano intorno a Fratelli d’Italia. Un centro liberal e liberaldemocratico, che riesca finalmente a costruire l’ormai leggendaria “grande casa dei moderati”, con una chiara connotazione europeista e governista, che sia funzionale ad attrarre elettorato e classe dirigente in uscita dagli altri partiti e movimenti. Un’area di sinistra con una piattaforma programmatica laburista e ambientalista, che cerchi di tenere insieme le componenti movimenti e radicali con le strutture tradizionali, non solo di partito ma anche delle amministrazioni territoriali.

A questo scenario, si sono aggiunti elementi contingenti: i primi errori politici e comunicativi; il cambio di strategia di Matteo Salvini, abile nell’eclissarsi nei momenti di difficoltà e pronto a prendersi la scena con provvedimenti-spot (Ponte sullo stretto e promessa della flat tax); i passi falsi su questioni di grande rilevanza per gli italiani (accise, pensioni, ma anche migranti); l’urgenza di mettere pezze a livello internazionale dopo le esternazioni non sempre lucidissime di Silvio Berlusconi.

Per farla breve, Meloni ha capito rapidamente di non potersi più permettere di vivacchiare, o meglio, di gestire il consenso degli italiani senza perseguire quella discontinuità che è stata alla base della sua propaganda elettorale.

In fondo, il suo obiettivo di medio e lungo periodo è sempre stato più ambizioso: rendere chiaro che questo è il tempo della destra e che la portata della sua azione va ben oltre il campo dell’amministrazione della cosa pubblica. Meloni e i suoi fedelissimi inseguono il sogno di un’egemonia politica e culturale, certo da attuare anche per il tramite dell’azione di governo.

Perché è chiaro che rimarrà fondamentale l'impatto che il governo Meloni avrà nella quotidianità delle persone (insomma, come e quanto cambierà la vita degli italiani). La delega fiscale e la ridefinizione del sostegno alla povertà saranno banchi di prova importanti proprio per questo motivo. Ma anche gli interventi di amministrazione e gestione vanno inquadrati in un progetto più ampio. Uno dei pilastri consiste proprio nello svuotamento progressivo di tutti gli altri “competitor” a destra, che siano partiti o corpi intermedi, nel solco della riorganizzazione e centralizzazione di tutte le energie e le componenti per anni ai margini della politica italiana. Così come centrale è la battaglia nel campo dei diritti, parte di una guerra più ampia fra idee diverse di società e vita, che per ora Meloni sta affidando ai suoi fedelissimi, ma che diventerà a breve tratto distintivo dell'intero governo.

Il palco della Cgil è servito anche per mandare un messaggio: siamo qui per restare, siamo noi la controparte, dovreste abituarvi. 

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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