Affitti brevi, cosa cambia con la Manovra: la nuova tassa taglia i guadagni per la classe media

Negli ultimi anni, l’Italia ha visto crescere in modo esponenziale il fenomeno degli affitti brevi. Complici la ripresa del turismo post-pandemia e la diffusione capillare di piattaforme digitali come Airbnb e Booking, sempre più proprietari hanno scelto di mettere a reddito seconde case, appartamenti ereditati o stanze libere per brevi periodi. Questo trend ha trasformato profondamente il tessuto urbano di molte città: nei centri storici, un tempo abitati da famiglie e residenti stabili, si moltiplicano oggi le serrature elettroniche, le scatole per le chiavi appese ai portoni e il via vai continuo di turisti con i trolley al seguito. Una rivoluzione silenziosa che ha portato ricchezza per alcuni, ma anche squilibri per altri, sollevando interrogativi sulla disponibilità di case per l’affitto residenziale e sull’equilibrio sociale dei quartieri.
È in questo contesto che il governo ha deciso di intervenire, inserendo nella legge di Bilancio 2026 una misura fiscale ancora molto discussa: l'aumento della cedolare secca al 26%, applicabile fin da subito anche al primo immobile messo in affitto breve. L'obiettivo dichiarato è quello di scoraggiare l’eccessiva diffusione delle locazioni turistiche, a favore di un ritorno agli affitti lunghi. Ma secondo le principali associazioni del settore, si tratta di una misura che rischia di colpire non tanto i grandi investitori o i "professionisti" dell’ospitalità, quanto le famiglie della classe media che — per necessità o per integrare il reddito — hanno invece trovato negli affitti brevi un'opportunità di sostegno economico.
Cosa cambia davvero con la nuova tassa sugli affitti brevi
Fino ad oggi, la cedolare secca al 26% si applicava solo a partire dal secondo immobile messo in affitto breve. Il primo godeva ancora dell’aliquota ridotta al 21%, pensata per non gravare sui piccoli proprietari. Ora, però, con la nuova manovra, questa distinzione scompare: l’aliquota del 26% sarà applicata fin dal primo appartamento destinato alla locazione turistica. Un cambiamento che rappresenta un salto significativo e che potrebbe ridefinire la convenienza economica dell’intero sistema.
Chi rischia di più: non gli speculatori, ma i piccoli proprietari
I numeri parlano chiaro: secondo il Centro Studi Aigab, il 96% delle case affittate su piattaforme online appartiene a proprietari singoli, non a grandi gruppi. In quasi un terzo dei casi si tratta di immobili ereditati, spesso mantenuti per non lasciarli vuoti, mentre un altro 28% è composto da case un tempo abitate dai proprietari, oggi messe a reddito per motivi economici. In altre parole, sono le famiglie comuni, non i fondi immobiliari, a essere coinvolte.
Un peso non indifferente: fino a 1.300 euro in meno all'anno
L'aumento dell’aliquota fiscale comporta una riduzione netta del guadagno per chi affitta. Con l’attuale cedolare al 21%, un proprietario medio riesce a trattenere circa il 34% dell’incasso, al netto delle spese (pulizie, portali web, tassa di soggiorno, Imu, utenze): con l’aliquota al 26%, il margine netto scende al 28%.
In termini pratici, per un immobile medio in zona semiperiferica, questo si traduce in una perdita di circa 1.300 euro all'anno, secondo le stime di Aigab. Un dato che potrebbe spingere molti a rinunciare all'affitto breve.
Gli effetti collaterali: meno turismo e più mercato sommerso
Le associazioni di settore temono che la nuova norma possa avere effetti controproducenti, sia sul turismo che sull’economia locale. Meno immobili disponibili significa inevitabilmente prezzi più alti per i visitatori, e quindi un possibile calo della competitività turistica delle città italiane rispetto ad altre mete europee. Inoltre, c’è il rischio che alcuni proprietari decidano di aggirare la normativa, aumentando l’irregolarità del mercato.
Le proposte alternative
Chi opera nel settore non contesta l'esigenza di regolamentare il mercato, ma chiede misure più equilibrate: Giorgio Spaziani Testa, presidente di Confedilizia, propone ad esempio un taglio dell’Imu del 50% per chi affitta a lungo termine, o l’ampliamento della cedolare secca al 10% per gli affitti residenziali, con maggiori garanzie per i proprietari. Incentivare l’affitto stabile è possibile, dicono, ma senza demonizzare chi offre ospitalità turistica.