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Sono 339 i giorni di silenzio. Se si esclude una brevissima apparizione in cui ha concesso appena due risposte, Giorgia Meloni si è sottratta sistematicamente al confronto con la stampa e alle domande dei giornalisti. L'ultima vera occasione è stata il 9 gennaio scorso; da allora, il vuoto. In generale, da quando è stata nominata Presidente del Consiglio, sono pochissime le occasioni nelle quali Meloni ha risposto alle domande dei giornalisti e lo ha fatto soprattutto quando non poteva sottrarsi: incontri con i leader di altri Stati o alla fine del G20, quello organizzato in un luogo della Puglia dove lei stessa trascorre le vacanze. Oppure nella consueta conferenza stampa di fine anno, quando ha sempre mostrato insofferenza e espressioni tutt’altro che simpatiche nei confronti dei giornalisti.
Il discorso di Meloni
Ieri, però, è tornata in scena la Meloni in versione "di lotta". È la veste che la Presidente del Consiglio indossa per parlare direttamente alla pancia del suo elettorato, tirando fuori temi che nella gestione ordinaria del Governo sembrano scomparire. Ha parlato di giustizia citando Garlasco, di “bambini che sono dei genitori e non dello Stato”, solleticando così quella simpatia dell’estrema destra refrattaria al troppo statalismo che in queste settimane si è schierata con la cosiddetta “Famiglia del bosco”, ha parlato ovviamente della sinistra e delle sue responsabilità nel fenomeno della criminalità, declinata questa volta sul tema dei cosiddetti maranza. Dal palco di Atreju, divenuto ormai evento nazional-popolare, ha rilanciato sui CPR in Albania. Esattamente un anno fa, il 15 dicembre 2024, dallo stesso luogo ne garantiva il successo. Oggi sappiamo che quel modello non funziona, ma per la Premier la colpa è dei giudici, non di una legge capestro con cui il governo ha tentato di piegare il potere giudiziario.
Il ruolo del giornalismo e il rapporto con il potere
Meloni fugge dalle domande perché teme il giornalismo fatto bene. Sebbene in Italia gli esempi virtuosi scarseggino – e la copertura mediatica su Gaza o gli attacchi scomposti di Fabrizio Roncone sul Corriere a Francesca Albanese ne sono la prova – esiste ancora chi fa inchiesta rigorosa. Il compito della stampa è fare le pulci al potere, qualunque esso sia. Senza questo filtro, i governi possono narrare la loro realtà alternativa, lasciando campo libero alla propaganda o agli influencer sui social network, costretti ad inseguire l’hype ogni giorno per allargare il proprio bacino al fine di una popolarità personale.
La bussola del giornalismo deve essere invece la rigorosità, perché il giornalismo neutrale non esiste, ogni notizia o anche la selezione delle notizie come avviene da sempre nelle rassegne stampa, sono già una scelta profondamente politica. Quello che proviamo a fare con Scanner e in generale con Fanpage.it è esattamente questo: essere rigorosi, cercare le notizie, fare le pulci al potere, essere scomodi.
Questa è la nostra bussola. E oggi Scanner parte da qui.