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Perché l’esito delle elezioni regionali era previsto e qual è stato il punto più interessante della campagna

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L’elemento sorpresa sicuramente non è stato il tratto distintivo di questa campagna elettorale, in tutte e tre le Regioni al voto. I sondaggi fino all’ultimo hanno parlato chiaro e in tutti e c’è sempre stato un candidato nettamente in vantaggio rispetto all’altro, sia in Veneto, che in Puglia, che in Campania. Non ha sorpreso nemmeno la bassa affluenza, in tutti i casi lontana dal 50% e, anche questa volta, in calo.

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Allora in Veneto ha vinto il candidato del centrodestra, Alberto Stefani, esponente della Lega che ha confermato quindi il colore politico della Regione dopo 15 anni di Carroccio al comando. In Campania ha vinto Roberto Fico, candidato del centrosinistra ed esponente del centrosinistra: in questo caso quindi la Regione è rimasta all’area di riferimento, quella progressista, però il governatore non sarà più un uomo del Partito democratico, ma appunto, dei Cinque Stelle. In Puglia, infine, a vincere è stato Antonio Decaro, assicurando così che la Regione rimanesse al centrosinistra e, nello specifico, al Pd.

Chi ha vinto alle elezioni regionali in Veneto, Puglia e Campania

Tutti e tre hanno vinto con un margine decisamente ampio. I numeri si andranno aggiornando, ma già quelli degli exit poll e delle prime proiezioni parlavano chiaro. In Veneto Stefani era da subito in vantaggio circa al 60% contro il 30% del candidato del centrosinistra, Giovanni Manildo. In Campania anche Roberto Fico fin dai primi exit poll sfiorava il 60% mentre lo sfidante di centrodestra Edmondo Cirielli (il viceministro degli Esteri, di Fratelli d’Italia) non raggiungeva il 40%. E in Puglia la situazione era fin da subito molto simile, con i voti per Decaro che doppiavano quelli per Luigi Lobuono, il candidato di centrodestra.

Insomma, non è stato uno spoglio entusiasmante. Si è capito subito come sarebbe andata a finire. Dal punto di vista politico, più che altro, è stato interessante vedere il percorso interno alla coalizione vincitrice, che ha portato a quel nome. Perché in tutti e tre i casi non è stata proprio una passeggiata. E spesso l’ego del singolo ha tenuto in ostaggio la partita.

L'enigma del terzo mandato

In Veneto e in Campania i governatori uscenti, Luca Zaia e Vincenzo De Luca, fino all’ultimo non hanno ceduto e hanno provato a ricandidarsi, nonostante il vincolo del terzo mandato non lasciasse alcun margine al dubbio. Nessuno dei due poteva presentarsi un’altra volta alle elezioni, la legge lo ha sempre detto chiaramente: eppure entrambi hanno provato ad aprire le trattative, a trovare dei cavilli, degli escamotage per restare inchiodati lì dove stavano. Era chiaro a tutti che non sarebbe potuto succedere, fin dall’inizio, eppure loro non hanno mollato, si sono impuntati e ovviamente questo ha pesato sulla campagna elettorale. Banalmente anche solo perché ha ritardato poi tutto il resto, lasciando al candidato effettivo meno margine (e tempo) per organizzare comizi e strategia.

E anche dopo essersi dovuti arrendere, anche dopo aver dovuto lasciare il posto da candidato governatore, sia De Luca che Zaia hanno reso le cose difficili. De Luca criticando apertamente alcune posizioni di Fico, definendo alcune sue dichiarazioni come delle “banalità”, ad esempio. Zaia continuando a fare un one-man-show, lanciando slogan elettorali comunque con il suo nome – “Dopo Zaia scrivi Zaia” – e facendo campagna più che altro per sé stesso che per la coalizione.

Le trattative interne alle coalizioni

Nello specifico, lo stallo è stato superato in modi diversi. In Campania De Luca ha fatto un vero e proprio accordo con il vertice del suo partito. Cioè con Elly Schlein, la segretaria del Pd. Lui, almeno ufficialmente, non si è messo di traverso con Fico e in cambio lei ha fatto eleggere suo figlio, Piero De Luca, alla segreteria del partito in Campania. Un accordo che tra l’altro non è piaciuto ad alcune anime del partito, secondo cui non è stato giusto venire a patti con De Luca e farlo mettendo sul tavolo incarichi all’interno del Pd nella Regione. Ma alla fine, è stato il modo per trovare la quadra.

In Veneto le cose sono andate un po’ diversamente, nel senso che Zaia a un certo punto si è dovuto rassegnare al fatto di non potersi più candidare presidente della Regione, perché la legge molto banalmente non glielo permetteva e a Roma Giorgia Meloni non aveva alcuna intenzione di rivedere quella legge. Non era d’accordo Fratelli d’Italia così come non lo era Forza Italia, lasciando in sostanza la Lega da sola a fare battaglia per il quarto mandato. Tra l’altro, Fratelli d’Italia era ben consapevole di quanto il partito stesse crescendo nella Regione, mangiandosi i voti della Lega, come è accaduto ad esempio alle elezioni europee del 2024. Per cui non mandava nemmeno giù l’idea che il candidato del centrodestra dovesse per forza essere un esponente del Carroccio, come se gli spettasse di diritto. Perché, appunto, nella Regione gli equilibri sono cambiati.

Personalismi vari ed ego ingombranti

Zaia, però, ha sempre mantenuto un altissimo consenso personale, arrivando a toccare percentuali del 77% alle ultime regionali. Insomma un plebiscito dall’eredità pesante. Lui stesso aveva minacciato di poter “diventare un problema” per il centrodestra, ma alla fine il gioco-forza non è riuscito. Arrivare allo scontro frontale avrebbe creato una frattura nella Lega e nella maggioranza di governo difficile da risanare. Per cui alla fine si è riusciti a tenere insieme la baracca. Ma sicuramente Zaia non ha tenuto nascosto di voler fare la campagna elettorale più che altro per sé stesso: era una presenza ingombrante in questa campagna lampo – durata appena un mese e mezzo, proprio perché la coalizione ci ha messo moltissimo a trovare un nome da presentare – e si è comportato in quanto tale. Essendosi candidato come capolista in ogni provincia, ora più che altro bisognerà capire se continuerà con questa modalità anche una volta insediatosi in Consiglio regionale. Sempre che ci vada veramente, sul suo futuro personale ci sono ancora moltissime incognite.

In Puglia ci sono stati problemi di altro tipo, ma per certi versi simili. Non erano legati alla questione del terzo mandato, ma sempre al candidato e alle sue richieste. Non è stato poi così complesso per il Pd imporre il nome di Decaro, oggi deputato europeo ma già sindaco di Bari ed ex presidente dell’Anci, l’Associazione che riunisce i sindaci dei Comuni italiani. Decaro ha sempre potuto contare su un consenso molto forte sul territorio e non è un caso che alle Europee dell’anno scorso sia stato il candidato del Pd più votato in tutta Italia. Insomma, alle Regionali si è presentato come un candidato abbastanza naturale. Il problema è che forte di questa posizione, ha iniziato a dettare una serie di condizioni non sempre semplici per il partito. Ad esempio, ha messo un veto in Consiglio regionale al governatore uscente, Michele Emiliano, impedendogli di candidarsi per timore che continuasse a esercitare un’influenza troppo importante.

E quello ad Emiliano non è nemmeno stato l’unico veto che Decaro ha cercato di imporre. Ha anche chiesto che rimanesse fuori dai giochi pure Nichi Vendola, che è stato governatore della Puglia prima di Emiliano. Anche lui un politico molto influente, molto radicato nel territorio, che probabilmente per Decaro rischierebbe di oscurarlo o di rendergli le cose più difficili. In questo caso, però, dovrà mandare giù il rospo: Vendola infatti non si è candidato con il Pd, ma con l’Alleanza Verdi e Sinistra, che non ci pensava nemmeno di sottostare ai dettami di Decaro e ritirare un nome dei suoi solo perché lo chiedeva il candidato governatore.

Le incognite future

Come noterete, in ognuno di questi tre casi, il problema non è mai stato lo sfidante principale. Ma quelli interni. Perché il punto, come vi dicevo all’inizio, non è mai stato il confronto con l’altra parte. Ma sempre quello con la propria coalizione, con personalismi vari ed ego difficili da ridimensionare. Tutti ego maschili, sottolineo.

Ora non resta che lasciare che le operazioni di spoglio si concludano, e poi ci sarà tempo per fare un po’ di valutazioni sull’impatto che queste elezioni avranno anche a livello nazionale. Bisognerà capire il futuro di Zaia, e cosa questo comporta per la Lega. Bisognerà capire se, con la guida di Fico in Campania, si rafforzerà l’alleanza tra il Pd e il Movimento Cinque Stelle. Bisognerà capire tante cose, insomma. Chi avrebbe vinto queste elezioni, invece, lo si capiva da subito.

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