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Perché i risultati delle elezioni nelle Marche sono così importanti per Meloni

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Le Marche andranno nuovamente al centrodestra. O almeno così ci dicono le proiezioni, che mostrano il governatore uscente Francesco Acquaroli, in grande vantaggio sul candidato del centrosinistra, Matteo Ricci con uno stacco di circa 7 punti. Nelle Marche si è giocata una partita molto importante da cui dipendono future scelte e rivendicazioni, soprattutto tra i partiti di governo. Allora dobbiamo prima fare un piccolo disclaimer. Nel momento in cui stiamo registrando ancora non abbiamo i risultati definitivi ma delle proiezioni, che mostrano (citando Swg) Acquaroli attorno al 52% e Ricci al 45%. Stando a questi numeri Acquaroli sarà riconfermato e il centrosinistra esce abbastanza sconfitto. Sono dati parziali ottenuti sulla base delle prime schede scrutinate, ma su cui possiamo comunque provare a ragionare.  Anche perché diciamocelo, le elezioni regionali non sono mai soltanto delle “elezioni regionali”. Spostano equilibri, alterano i rapporti tra i partiti, creano tensioni, innescano discussioni e dibattiti interni. È stato il caso delle Marche che nel weekend è andata al voto, assieme alla Valle d’Aosta, inaugurando questa tornata di elezioni che coinvolgerà altre cinque Regioni (nell’ordine Calabria, Toscana, Campania, Puglia e Veneto).

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Per quanto riguarda la Valle d’Aosta sappiamo che l’Union Valdotaine e i suoi alleati (tra cui Il Pd) sono in leggero vantaggio sul centrodestra. Ma qui la legge elettorale non consente ai cittadini di votare direttamente il Presidente, ma solo i consiglieri regionali che a loro volta sceglieranno a chi affidare il governo della Regione. Ma sicuramente, un dato importante di cui dobbiamo parlare è il crollo dell’affluenza. Nelle Marche si è fermata circa al 50% quasi 10 punti in meno rispetto alle precedenti. È un dato che ci stupisce? No, perché purtroppo è in linea con il trend negativo degli ultimi anni. E i motivi più o meno li conosciamo (torniamo a parlarne a quasi ogni appuntamento elettorale): molti meno cittadini vanno a votare perché non sentono di potersi fidare delle istituzioni, sono disinteressati nei confronti della politica o ancora, non riescono ad identificarsi nei partiti dell’asse destra-sinistra. Tra l’altro, il calo della partecipazione è un aspetto che rende sempre un po’ complicato leggere i risultati elettorali perché, che si tratti di una vittoria schiacciante o di una sconfitta, tutto va poi rapportato a quanti elettori sono effettivamente andati a votare.

Come dicevo all’inizio, la sfida principale è stata tra Acquaroli e Ricci. Il primo è un meloniano di ferro, con alle spalle già un mandato, il secondo un esponente di spicco del Partito democratico, prima sindaco di Pesaro e oggi eurodeputato. È una partita che ha avuto una valenza anche nazionale. Per una serie di motivi. In primis perché il risultato dà un segnale anche a Roma: una vittoria del centrodestra significa che gli equilibri non sono cambiati e che i consensi sono stabili. Rispetto invece a una sconfitta che avrebbe costretto la maggioranza a una riflessione interna. Anche perché, al di là della Valle d’Aosta, se guardiamo un attimo alle 6 Regioni al voto questo autunno, le Marche sono sembrate fin dal principio quella più in bilico. Stando agli equilibri attuali e fermo restando che le cose potrebbero cambiare, da una parte abbiamo Veneto e Calabria, che secondo i sondaggi dovrebbero riandare al centrodestra, dall’altra Toscana, Campania e Puglia, che dovrebbero riconfermare il centrosinistra. In un certo senso le Marche rappresentavano un po’ l’ago della bilancia.

In generale, l’esito del voto influenza anche i rapporti tra i partiti. Nel centrodestra dove Fratelli d’Italia governa in solo due Regioni – Abruzzo e Marche appunto –  perdere significherebbe  lasciare il primo partito italiano alla guida di una sola Regione. Meloni lo sa bene e non è un caso che durante la campagna elettorale abbia annunciato insieme ad Acquaroli, l’ingresso delle Marche nella Zes (la Zona economica speciale) di cui fanno parte già altre Regioni e che riconosce incentivi fiscali alle imprese che decidono di investirvi.

Ma questo risultato è importante anche perché potrebbe sbloccare le trattative in corso nelle altre Regioni in cui ancora il centrodestra non è riuscito a mettersi d’accordo per un candidato. Parlo del Veneto, dove la Lega vorrebbe un proprio nome per il successore di Luca Zaia (che non potrà ricandidarsi avendo raggiunto i due mandati). Ma in Veneto pure Fratelli d’Italia rivendica un proprio candidato con la motivazione che in questi anni i rapporti di forza nel centrodestra sono cambiati e oggi FdI è al 30%, non è più un piccolo partito. La maggioranza non ha trovato ancora una quadra nemmeno in Campania, dove invece il centrosinistra appoggia l’ex presidente della Camera Roberto Fico. E non c’è nulla di ufficiale neanche in Puglia, dove finora sono circolate parecchie ipotesi su chi potrebbe essere lo sfidante di Antonio Decaro, l’europarlamentare del Pd che ha trovato l’appoggio del cosiddetto campo largo.

Insomma, se non si fosse capito, le regionali rappresentano un test decisivo. Sia per il centrodestra, per i motivi di cui abbiamo parlato, che per il centrosinistra, che in questo momento si trova a fare prove di alleanza. Lo ricordiamo, i risultati di queste elezioni vanno presi con le pinze, non possono essere interpretati come un dato assoluto, ma comunque ci diranno qualcosa su come se la passano i partiti, sui rapporti di forza tra gli alleati e sulla tenuta delle coalizioni in vista di un appuntamento molto più grande e atteso: le politiche 2027.

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