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Prima il bilaterale tra Trump e Putin a Ferragosto. Poi oggi un faccia a faccia Trump-Zelensky a cui seguirà un incontro più ampio con gli europei. E poi, forse, se le cose dovessero andare in un certo modo, un incontro a tre Zelensky-Trump-Putin entro la fine della settimana. Ma ci sono ancora mille nodi da sciogliere, moltissimi punti di cui discutere e su cui le posizioni non sono chiarissime. Partiamo da una premessa: l’incontro tra Trump e Putin si è concluso senza un cessate il fuoco, che era l’obiettivo che il presidente statunitense sperava di portare a casa e che avrebbe reso più semplici i negoziati allargati.
Quindi, quello in Alaska è stato un fallimento di incontro?
Per Vladimir Putin sicuramente no. Il presidente russo è finalmente uscito dall’isolamento in cui i leader occidentali lo avevano messo, è stato riconosciuto da Trump come un interlocutore legittimo e trattato in modo decisamente benevolo. Trump gli ha dato un benvenuto fin troppo caloroso, facendogli addirittura un applauso al suo arrivo, e poi accogliendolo nella limousine presidenziale. Una cosa decisamente insolita, al di fuori dei protocolli per cui i capi di stato e di governo di solito viaggiano separati.
Durante la conferenza stampa congiunta al termine del bilaterale, Trump ha avuto solo buone parole per Putin, pur dovendo ammettere, di fatto, di non essere arrivati a nulla, di non essere riuscito a portare a casa quel cessate il fuoco tanto sperato. E Putin, da parte sua, lo ha adulato (oppure, si potrebbe usare un’altra parola, lo ha manipolato) parlando in inglese e invitandolo a Mosca per un futuro incontro e ripetendo quella cosa che Trump ama ripetere, cioè che se ci fosse stato lui alla Casa Bianca la guerra in Ucraina non sarebbe mai cominciata. Insomma, tutta la frustrazione che Trump aveva manifestato nei confronti di Putin nelle ultime settimane è sembrata svanire a Ferragosto, dove c’è stata solo cordialità a non finire. Una cosa che ovviamente preoccupa Zelensky e gli europei. Che ora temono di dover negoziare una resa, più che una pace.
Perché in quell’incontro Putin avrebbe presentato delle condizioni per far finire la guerra estremamente favorevoli a Mosca. A partire dalla questione territoriale. Senza dare praticamente nulla in cambio, se non la sua parola che non attaccherà più. Una promessa che, vale la pena ribadirlo, ha già infranto in passato.
Secondo varie ricostruzioni Putin avrebbe preteso l’intero Donbass, non solo le province occupate – cioè l’intero Lugansk e parzialmente la regione di Donetsk – ma anche i territori che la Russia non ha conquistato. Anche se Trump non ha ufficialmente accettato (per ora) ha aperto a questa possibilità. E poi, sul suo social Truth ha scritto che Zelensky può mettere fine alla guerra “quasi immediatamente” se accetta di cedere la Crimea, occupata dal 2014, e rinuncia a qualsiasi ambizione di entrare nella Nato.
E qui veniamo al secondo punto cruciale di queste trattative, oltre alla questione territoriale: il tema delle garanzie di sicurezza. Secondo l’inviato speciale statunitense, Steve Witkoff, un’importantissima novità emersa dall’incontro in Alaska sarebbe la disponibilità di Putin a una garanzia sulla scia di quanto previsto dall’articolo 5 della Nato: cioè il principio per cui se attacchi uno, tutti i membri dell’Alleanza rispondono. Ora, chiaramente questo si applicherebbe senza che l’Ucraina entri per davvero nella Nato, ma il meccanismo sarebbe lo stesso.
Questo è uno dei punti cruciali che discuteranno oggi i leader europei a Washington. Prima, verso le 7 di stasera, ora italiana, Trump riceverà Zelensky da solo e poi si aprirà anche ai leader europei. In particolare ci sono: il cancellieree tedesco Friedrich Merz, il premier britannico Keir Starmer, il presidente francese Emmanuel Macron, la nostra presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il presidente finlandese Alexander Stubb, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e infine il segretario generale della Nato, Mark Rutte.
Tutta questa delegazione dovrà capire bene fino a che punto gli Stati Uniti sono disposti a partecipare a queste garanzie di sicurezza – una cosa affatto scontata se si pensa al disimpegno di Washington per il sostegno dell’Ucraina in questi ultimi mesi – e poi in che termini Trump ha parlato con Putin di concessioni territoriali.
Chiaramente Zelensky teme un’altra imboscata, come quella di febbraio nello Studio Ovale, quando Trump e JD Vance lo umiliarono dicendogli che non lo avevano nemmeno sentito dire grazie per le armi e gli aiuti degli Stati Uniti. E gli avevano detto, in sostanza, che non aveva le carte in mano per potersi permettere di chiedere di più. Questa volta però Zelensky non sarà da solo. Ci sono i leader europei a scortarlo, letteralmente. Il punto è quanto, anche loro, resisteranno alle pressioni di Trump, se manterranno il punto o finiranno per piegarsi.
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