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Le donne della politica denunciano la valanga di insulti sessisti che ricevono sui social: anche questa è violenza

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Una donna che si espone in pubblico è fondamentalmente una donna che verrà insultata, che dovrà sorbirsi i commenti dei sessisti più beceri online. E non è per cadere nel fatalismo, ma per renderci conto di quanto alcune dinamiche siano normalizzate e diffuse. L’ultima a denunciare è stata Matilde Siracusano, sottosegretaria del governo Meloni per i Rapporti con il Parlamento: in un video pubblicato sui social ha letto la valanga di commenti machisti e molesti che riceve ogni giorno proprio su quelle piattaforme. Non sono commenti che criticano le sue idee politiche, la sua attività di governo: no, semplicemente sono commenti violenti che la insultano in quanto donna. Perché ancora ci sono soggetti che evidentemente non riescono ad accettare una donna in una posizione di potere. Una donna che fa politica, che usa la propria voce, che occupa uno spazio pubblico. Una donna, che fa cose che un tempo avremmo definito “da uomini”. Ma i tempi cambiano, e non accetteremo più nulla di tutto questo.

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La denuncia della sottosegretaria Siracusano

Non è la prima e non sarà l’ultima. Matilde Siracusano è un’altra donna, l’ennesima, che occupa uno spazio pubblico, che fa politica, e che riceve ogni giorno una valanga di insulti sessisti. Soprattutto sui social, dove non viene criticato il suo lavoro, la sua prospettiva su un tema o le sue dichiarazioni, nel merito: viene presa di mira in quanto donna, da uomini che vomitano online il machismo più violento nei suoi confronti. Come nei confronti di tante altre.

Matilde Siracusano fa la sottosegretaria del governo Meloni per i rapporti con il Parlamento. E come moltissime altre donne che si espongono pubblicamente, che occupano delle posizioni apicali, è semplicemente inaccettabile per l’uomo medio di turno. Che allora la insulta, le dice di tornare in cucina, la chiama cagna, e così via. Non serve ripetere questi insulti: tanto davvero sono sempre gli stessi.

Siracusano ha scelto di leggerli ad alta voce, in un video sui social, per denunciare quanto tutto questo sia quotidiano e pervasivo. Accade ogni singolo giorno: ogni ora, ogni minuto, sconosciuti vomitano sessismo sui suoi profili. È la reazione automatica di uomini incapaci di accettare che questa o quell’altra donna occupi uno spazio pubblico, non sia solo una presenza gradevole all’occhio, ma una presenza attiva. Autodeterminata, che non esiste lì solo in funzione loro, di ciò che vogliono vedere o ascoltare.

La violenza di genere online

La violenza online non è innocua, solo perché accade online. Solo perché quelle migliaia di uomini – che sono tutti il padre, il fratello, il compagno, l’amico o il parente di qualcuna – magari si vergognerebbero (giustamente) a dire quelle stesse cose di persona, usando la loro voce invece che una tastiera. La violenza online è violenza, non c’è altro modo per chiamarla, e in quanto tale non va accettata e sminuita: va denunciata.

Negli ultimi mesi – tra i gruppi come Mia Moglie o Phica.eu, o i siti per spogliare le donne con l’intelligenza artificiale – ci stiamo rendendo sempre più conto di quanto la violenza di genere online sia normalizzata. Ma non è normale che una donna debba leggere fiumi e fiumi di commenti sessisti e violenti sotto qualsiasi cosa pubblichi sui suoi profili social. Non è normale che migliaia di uomini online si sentano in diritto di scrivere cose del genere sotto ai post di sconosciute. Tutto questo non va sminuito, non bisogna pensare che solo perché accade online faccia meno danni delle molestie ricevute per strada, o in altri contesti.

L'impatto sulla vita e sulle scelte di esporsi

Qualche giorno fa a Bruxelles ho intervistato l’eurodeputata Alessandra Moretti, al termine della Gender Equality Week, un’iniziativa del Parlamento europeo per promuovere appunto la parità di genere. E parlando appunto della violenza di genere online, mi ha raccontato di uno studio, pubblicato recentemente, secondo cui molte delle donne che vorrebbero avvicinarsi alla politica ci rinunciano proprio a causa dei commenti che ricevono sul web. E questo perché – mi ha spiegato sempre Moretti che purtroppo lo sa bene, perché lo ha vissuto sulla sua pelle – ogni volta che una donna si espone e occupa uno spazio pubblico, facendo sentire la sua voce, viene ricoperta di insulti sessisti.

Per cui a volte si rinuncia prima ancora di cominciare. Che è gravissimo, vista la già di per sé scarsa rappresentanza delle donne in politica.

La denuncia di Silvia Salis

Ma tutte o quasi sembrano costrette a vivere e sopportare le stesse dinamiche. La settimana scorsa era stata Silvia Salis a denunciare. Durante il consiglio comunale a Genova, la sindaca aveva detto: “Vi dico cosa succede ogni giorno sui miei social. È sotto gli occhi di tutti. C’è questo signore che ha in braccio sua figlia e sotto un mio post ha scritto: ‘Sei proprio una gran putt**'. C'è nome e cognome e per lui è una cosa normale dare della putt** alla sindaca, non mi ha detto incapace, perché alle donne dici putt**, non dici incapace e questo ce lo dobbiamo ricordare”.

Per Salis la soluzione è chiara: ripartire dall’educazione. “Viviamo in una società che normalizza la violenza, che sessualizza le donne e giustifica la mancanza di rispetto. È per questo che serve l'educazione affettiva e sessuale nelle scuole. Per insegnare ai ragazzi a riconoscere i confini, a rispettare le persone, a capire cosa significa consenso".

Serve l'educazione sessuale ed affettiva a scuola

Torniamo sempre lì, all’educazione nelle scuole. Questo terreno di infinita polemica politica che è però il primo strumento che abbiamo per innescare quel cambiamento culturale, sociale e collettivo che alla fine – e succederà, ne sono sicura – sradicherà questa violenza così pervasiva e soffocante nei confronti delle donne. Dobbiamo educarci tutti, fino a quando non avverrà quell’alterazione di coscienza collettiva per cui non sarà più normale lasciare commenti sessisti sotto ai post di sconosciute.

Così come non lo è più fare catcalling per strada per esempio, urlare alle donne di tutto e pensare di fare complimenti. Chiariamoci, non sto dicendo che questo non avvenga più. Magari. Però la percezione è cambiata, se dieci anni fa magari non avevamo quasi reazioni di fronte a quel fischio o quel commento, tanto ne eravamo assuefatte, tanto ci pareva normale, oggi monta il fastidio, la rabbia. Perché riconosciamo come quella sia una molestia, riconosciamo che non è normale per nulla.

Questo cambiamento non avverrà dall’oggi al domani, ma soprattutto non avverrà affatto se non riconosciamo che l’educazione a scuola non è uno strumento di propaganda, non è il canale distopico di qualche lobby per plasmare le menti delle nuove generazioni. Prima diremo chiaramente che il dibattito politico attuale su questo fronte è surreale, prima ci renderemo conto di quanto sia anche dannoso. Perché ci toglie la chance più grande che abbiamo di fare in modo che le donne del domani non si debbano sorbire tutto ciò con cui siamo cresciute noi.

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