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La campagna di Russia non è andata bene né a Napoleone né a Hitler, figuriamoci se potranno avere successo i leader europei attuali. Questa raffinata analisi geopolitica non è opera di un commentatore provocatorio, uno di quelli che vanno in televisione con la precisa intenzione di dire la cosa che più aizza e fomenta gli animi. No, è una dichiarazione del vicepresidente del Consiglio dei ministri, Matteo Salvini. Che tra l’altro è stata molto apprezzata dal Cremlino, con la portavoce del ministero degli Esteri russo che ha detto che Salvini ha tracciato un giusto paragone tra Hitler e i leader europei. Un attestato di stima che ovviamente mette in imbarazzo Giorgia Meloni e tutto il governo italiano, tra l’altro proprio alla vigilia di un Consiglio europeo dove si parlerà prima di tutto dei negoziati di pace in Ucraina.
E per questo non deve essere stato semplice per Giorgia Meloni andare in Parlamento oggi a spiegare la posizione che terrà al Consiglio europeo, in un contesto di negoziati delicatissimi, e trovarsi di fianco Matteo Salvini, fresco fresco di apprezzamenti da parte della portavoce del ministero degli esteri russo, Maria Zakharova. Il leader della Lega – che, non è un segreto, ha un passato di posizioni apertamente filorusse – aveva detto: “Se Hitler e Napoleone non sono riusciti a mettere in ginocchio Mosca con le loro campagne in Russia, è improbabile che Kaja Kallas, Macron, Starmer e Merz abbiano successo”.
Ora, quello di Salvini non è solo un paragone abbastanza ingeneroso, per dirla con un eufemismo, nel mettere sullo stesso piano dei leader politici democratici e Adolf Hitler, il dittatore dell’Olocausto e di una guerra che ha devastato l’Europa. Ma è anche un’affermazione imbevuta di propaganda russa, che vede Mosca come invincibile, come una potenza senza pari, con cui bisognerebbe trattare in modo pragmatico, facendo un po’ i conti con questa superiorità. In altre parole, tra le righe: Zelensky dovrebbe accettare le condizioni del Cremlino per mettere fine alla guerra, perché tanto non la vincerà mai.
Ovviamente questa non è solo una posizione apertamente in contrasto con il diritto internazionale, perché di fatto apre a una resa all’aggressore, ma è anche contraria alla linea di Giorgia Meloni, che anche oggi ha ribadito il sostegno a Kiev senza se e senza ma. La presidente del Consiglio ha detto che il percorso verso la pace deve tenere conto di quattro fattori:
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Lo stretto legame tra Europa e Stati Uniti, che non sono competitor in questa vicenda, atteso che condividono lo stesso obiettivo, ma hanno sicuramente angoli di visuale non sovrapponibili, dati soprattutto dalla loro differente posizione geografica
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Il rafforzamento della posizione negoziale ucraina, che si ottiene soprattutto mantenendo chiaro che non intendiamo abbandonare l’Ucraina al suo destino nella fase più delicata degli ultimi anni
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La tutela degli interessi dell’Europa, che per il sostegno garantito dall’inizio del conflitto, e per i rischi che correrebbe se la Russia ne uscisse rafforzata, non possono essere ignorati
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Il mantenimento della pressione sulla Russia, ovvero la nostra capacità di costruire deterrenza, di rendere cioè la guerra non vantaggiosa per Mosca.
E qui Meloni ha lanciato la sua stoccata a Salvini, dicendo che nei fatti sta accadendo questo, la pressione sul Cremlino si sta sentendo, perché “oltre la cortina fumogena della propaganda russa, la realtà sul campo è che Mosca si è impantanata in una durissima guerra di posizione, tanto che, dalla fine del 2022 ad oggi, è riuscita a conquistare appena l’1,45% del territorio ucraino, peraltro a costo di enormi sacrifici in termini di uomini e mezzi. È questa difficoltà l’unica cosa che può costringere Mosca a un accordo, ed è una difficoltà che – lo voglio ricordare – è stata garantita dal coraggio degli ucraini e dal sostegno occidentale alla Nazione aggredita”.
Insomma, Meloni non si è trattenuta dal mettere in chiaro a Salvini cosa è propaganda e cosa no, cosa sia da considerare e cosa no. A maggior ragione quando ci sono dei negoziati in corso che finalmente coinvolgono l’Europa, che finalmente vedono Bruxelles e Washington dalla stessa parte. Meloni dovrebbe chiedere a Salvini se lui sta dalla sua.
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