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Cosa c’è nella proposta dell’Ue contro Israele e perché l’Italia potrebbe opporsi

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Il 40 per cento di Gaza City è ora sotto il controllo delle Forze di Difesa Israeliane. La principale città della Striscia, la più popolosa, è attaccata dal cielo e via terra, con i tank che sono entrati anche nei quartieri a nord della città. L’offensiva finale è arrivata dopo giorni di pesanti bombardamenti, i tetti delle case si sono trasformati in un rogo dietro l’altro. “Pioveva fuoco dappertutto”, raccontano i palestinesi in fuga. Si calcola che quasi 400 mila gazawi siano riusciti a partire, ma altri 600 mila – forse anche di più – sono rimasti. È chiaro che a Gaza City non ci sono più speranze, ma nessun luogo della Striscia può considerarsi sicuro. E poi partire costa, per tanti non è un’opzione percorribile. Senza contare che molte persone sono ferite, o talmente deperite dalla fame che non riescono a muoversi.

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Per l’Onu a Gaza City ci sono 10 mila bambini che hanno bisogno urgente di cure, che sono stremati da mesi di carestia. Come faranno loro a intraprendere un viaggio verso una destinazione non meglio precisata a sud? A spostarsi da un furgone all’altro?

La situazione a Gaza City non è mai stata così drammatica. Eppure Israel Katz, il ministro della Difesa, esulta: “Gaza brucia”, scrive sui suoi social, annunciando l’intensificarsi delle operazioni militari di terra e confermando che non si fermeranno, perché quella città e il simbolo per eccellenza di Hamas e loro sono convinti che almeno duemila miliziani si nascondano tra le sue vie. Nel frattempo i cumuli di macerie aumentano, i morti sono sempre di più.

Benjamin Netanyahu ha smesso da tempo di nascondere le sue vere intenzioni, cioè sfollare completamente il popolo palestinese e prendere il controllo delle loro terre. Dice che chi lo accusa di crimini di guerra è un’ipocrita, perché prima radere al suolo la città ha aperto delle vie di fuga. Ma nel primo giorno dell’assalto finale a Gaza City oltre cento persone sono state uccise: sono una ogni quarto d’ora. Come possiamo considerare che quegli avvisi di evacuazione lanciati dal cielo siano delle vie di fuga efficaci, se ogni quarto d’ora una persona viene uccisa?

La situazione è già di per sé drammatica, ma rischia di peggiorare ancora. Le IDF hanno detto che ci vorranno ancora mesi per prendere il controllo totale della città: cosa deve succedere ancora in questi mesi perché la comunità internazionale si risvegli dall’immobilismo degli ultimi due anni?

L’Alta rappresentante per la politica estera dell’Unione europea, Kaja Kallas, ha detto che l’offensiva non farà che peggiorare una situazione già disperata, che significherà più morte, più distruzione e più sfollamenti. E oggi ha presentato la proposta, approvata dalla Commissione Ue, che prevede vari punti rispetto a Israle: si parla di imporre sanzioni ai coloni violenti in Cisgiordania e ai ministri israeliani estremisti, di sospendere alcune disposizioni commerciali presenti nell’accordo di associazione tra l’Ue e Israele, e di sospendere anche il sostegno bilaterale al Paese, al netto dei fondi destinati alla società civile al memoriale dell’Olocausto.

Kallas poi ha detto che l’obiettivo non è punire Israele, ma migliorare la situazione umanitaria a Gaza. Qui secondo me va fatta una riflessione: non è possibile parlare di come migliorare la situazione a Gaza, se non si affronta anche un discorso di giustizia. Giustizia per il popolo palestinese, per la terra che gli è stata sottratta, per la guerra che è stata scatenata contro i civili, per la fame indotta, per una generazione cancellata.

Al di là di questo, quella della Commissione è solo una proposta. Ora dovrà passare al vaglio del Consiglio europeo, cioè l’organo in cui siedono i capi di Stato e di governo. Ed è qui che di solito emergono i problemi. A quanto ci raccontano i giornali oggi, uno degli ostacoli a questa proposta potrebbe anche essere il veto dell’Italia e della Germania. Stamattina su Repubblica è uscito un articolo in cui vengono citate delle fonti governative, per cui Giorgia Meloni sarebbe pronta a dare il via libera alle sanzioni verso i coloni e i ministri, ma non sarebbe favorevole alla sospensione degli accordi commerciali. Inoltre ci sarebbe un dossier interno di Fratelli d’Italia in cui si specifica che comunque il governo italiano esaminerà il pacchetto di sanzioni una volta che questo sarà effettivamente sul tavolo.

Per la segretaria del Partito democratico, Elly Schlein, la contrarietà dell’Italia è tra le cause dell’immobilismo europeo. E ancora: “L’Europa ha iniziato a reagire dopo più di 60 mila morti palestinesi, Meloni sceglie ancora Trump e Netanyahu e frena una dura reazione europea. Non possiamo accettare che l’Italia sia complice, perché siamo davanti a una delle pagine più buie della storia contemporanea”.

Nel momento in cui sto registrando questa puntata, Meloni non si è ancora espressa a riguardo. Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha detto che alcune sanzioni potrebbero essere accolte, altre no. E poi che il governo che anche lui rappresenta è contrario all’offensiva su Gaza, per i rischi che corre la popolazione civile. E fino a qui, ci mancherebbe. Ad esporsi un filo in più è stato il ministro della Difesa, Guido Crosetto, che ha detto che per quanto la lotta ad Hamas sia sacrosanta, non possa essere fatta in questo modo, deportando il popolo palestinese. Se però il suo governo si comporterà di conseguenza, allineandosi con il resto d’Europa nell’imporre sanzioni e nel rivedere gli accordi con Israele, non lo sappiamo.

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