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Di nuovo un femminicidio. Ancora un uomo che ammazza una donna perché non ne accetta la libertà. Perché non si comporta come lui voleva che si comportasse. Pamela Genini aveva 29 anni, viveva a Milano in zona Gorla, e faceva la modella e l’imprenditrice. È stata uccisa in casa sua martedì sera da Gianluca Soncin, 52 anni. I vicini hanno sentito le urla, hanno visto l’aggressione sul terrazzino dell'appartamento. Hanno chiamato la polizia, così come ha fatto anche l’ex fidanzato, a cui Pamela aveva raccontato le violenze che subiva da tempo e con cui era al telefono quella stessa sera. Gli ha potuto raccontare che Soncin si era fatto una copia delle chiavi di casa sua e che stava entrando.
Il femminicidio di Pamela Genini a Milano
Erano circa le dieci di sera. I carabinieri sono arrivati, hanno sfondato la porta, ma proprio in quei momenti l’uomo l’ha accoltellata. Un coltello che si sarebbe portato da casa. Secondo le prime ricostruzioni, lei sarebbe riuscita a rispondere al citofono, fingendo che fosse un rider di Glovo, venuto a consegnare la cena. Lui però avrebbe capito che si trattava della polizia, così l’ha trascinata in terrazzo dove l’ha finita. Ha poi ferito anche sé stesso: è stato arrestato e portato prima in ospedale e poi al carcere San Vittore.
Per Pamela non c’è stato nulla da fare. È morta lì, in casa, uccisa da 24 coltellate.
Dai racconti dell’ex e delle amiche sappiamo che la violenza andava avanti da tempo. Che Gianluca Soncin tentava di isolare Pamela Genini, le impediva di vedere la famiglia, la picchiava e la minacciava. Quando lei gli aveva detto di voler porre fine alla relazione lui le aveva risposto che avrebbe ammazzato lei e la madre.
Ora dovrà rispondere dell’accusa di omicidio, con le aggravanti di premeditazione e stalking. Nella richiesta di convalida del fermo, firmata dalla pm, si legge anche di un’aggressione avvenuta la scorsa estate, mentre Pamela Genini era in vacanza con Soncin all’isola d’Elba. Lui l’aveva aggredita con calci e pugni, l’aveva minacciata con dei cocci di vetro e poi avrebbe anche provato a buttarla dal balcone dell’albergo.
Bisogna affrontare il problema dalla radice: gli uomini
È frustrante dire che siamo di fronte all’ennesimo femminicidio annunciato, all’ennesima violenza che si poteva evitare. Perché continueremo ad esserlo finché non interverremo alla radice del problema. Che sono gli uomini, il modello patriarcale che non viene decostruito e che continua invece indisturbato a basarsi sul dominio maschile. Un modello in cui il rispetto dell’altra, della sua autodeterminazione e libertà, non esistono, o sono comunque in secondo piano.
Una precisazione, prima di scatenare discussioni e dibattiti che ci porterebbero a perdere il punto centrale di tutto, su cui invece è importante focalizzarsi. Non si sta dicendo che gli uomini sono tutti degli esseri cattivi e violenti. Siamo tutte e tutti impregnati di patriarcato, perché ci piaccia o no è la cultura e la società in cui siamo cresciuti e cresciute: non si tratta di puntare il dito contro ogni singolo uomo sulla faccia della terra, si tratta di riconoscere il nucleo del problema. La maschilità così come l’abbiamo sempre concepita ed esplicitata. C’è una differenza abissale tra colpa e responsabilità: oggi è responsabilità di tutte e tutti e in particolare degli uomini trovare un nuovo modello di maschilità, che abbia decostruito e abbandonato la violenza patriarcale che lo alimentava.
Da decenni i movimenti femministi lavorano e lottano per un cambiamento culturale che definisca una società equa e paritaria, dove i rapporti di potere siano riequilibrati, dove si riesca a sradicare il controllo, la sopraffazione e la violenza di una parte sull’altra. Negli ultimi anni in Italia, dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin, c’è stata una presa di consapevolezza collettiva che ha in qualche modo accelerato il cambiamento. Ma quasi esclusivamente per una parte.
Servono nuovi modelli di maschilità
Chi lavora nelle scuole, e riesce a fare quell’educazione sessuale ed affettiva che è così necessaria, ce lo racconta sempre più spesso. Le ragazze, le giovani donne, sono sempre più consapevoli delle istanze femministe, rivendicano la propria autonomia, la propria libertà nell’autodeterminarsi, vogliono distruggere gli stereotipi di genere perché si rendono conto dell’impatto assolutamente negativo che hanno sulla loro identità, sulla loro vita. In tutto questo, però, i ragazzi fanno fatica: perché stiamo dicendo loro che i modelli che hanno avuto fino adesso, le certezze di cui sono circondati, non sono più accettabili. Ma non li stiamo accompagnando verso l’alternativa. E cosa resta, allora? Resta la frustrazione, l’aggressività, il sentirsi colpevolizzati mentre si resta senza riferimenti.
Quindi no, non si tratta di colpevolizzare tutti gli uomini, ma si tratta di dire chiaramente che il problema è la maschilità e che dobbiamo lavorare insieme per affrontarlo e cambiare le cose. Ma bisogna spostare il focus. Perché di fronte all’ennesimo femminicidio continuiamo a leggere e ascoltare la narrazione per cui non bisogna accettare l’incontro chiarificatore (non che in questo caso Pamela avesse accettato nulla, lui si è introdotto in casa sua con una copia delle chiavi), bisogna subito riconoscere i primi campanelli d’allarme, bisogna denunciare alla prima manifestazione di violenza.
Basta dire alle donne come non finire vittime, educhiamo gli uomini a non diventare carnefici
Al di là del fatto che anche qui, per quanto riguarda le denunce, abbiamo un gigantesco problema, sia tra le forze dell’ordine che nei tribunali, perché spesso non viene fatta formazione adeguata e la violenza viene minimizzata, viene scambiata per un litigio di coppia, o si finisce per fare vittimizzazione secondaria. Ma il punto è che continuiamo a concentrarci sulle donne, a insegnare alle donne come evitare di diventare delle vittime. Ma quando inizieremo a educare gli uomini perché non diventino carnefici? Quando inizieremo a educare le nuove generazioni di maschi alla cultura del rispetto? Quando inizieremo a picconare la cultura dello stupro, che confonde la relazione con il posseso, la gelosia e il controllo con il sentimento, con l’amore?
Sostenere i centri antiviolenza è importantissimo, il sostegno alle vittime, alle sopravvissute, alle loro famiglie, è fondamentale. Ma tutto questo non basterà mai se non si interviene alla radice. Torniamo sempre allo stesso punto: quello della violenza di genere è un problema culturale e va affrontato con l’educazione, partendo dalle giovani generazioni, a cui bisogna dare modelli e strumenti diversi da quelli con cui tutte e tutti noi siamo cresciuti.
La maggioranza vieta l'educazione affettiva alle scuole medie
Da questo punto di vista, però, i segnali sono deludenti. Perché c’è una parte politica che continua a opporsi, a strumentalizzare la questione dell’educazione a scuola per fare propaganda. Mentre registravamo l’ennesima vittima di femminicidio in commissione Cultura alla Camera veniva approvato un emendamento della Lega al ddl Valditara sul consenso informato che vieta l’educazione sessuale e affettiva nelle scuole medie. Si potrà solo alle superiori, ma comunque solo con il consenso dei genitori che dovranno anche conoscere i temi e il materiale didattico.
Come se i genitori avessero più conoscenze di psicologi, sessuologi, esperti. Come se l’Italia non fosse già fanalino di coda d’Europa per quanto riguarda l’educazione sessuale a scuola. Come se a 12 o 13 anni non fosse importante insegnare la cultura del rispetto, parlare di relazioni. Come se in Italia da inizio anno non ci fossero già stati oltre 70 femminicidi.
I leghisti parlano di “indottrinamento da parte di attivisti di estrema sinistra Lgbt”, una narrazione surreale, che non è solo follia pura su un piano teorico, ma che ha conseguenze gravissime sul lato pratico. Perché ci priva di uno strumento importantissimo, ci priva della possibilità di intervenire alla radice del problema, restringe ulteriormente lo spazio dell’educazione, minando così alla prevenzione della violenza, alla lotta contro le discriminazioni e i soprusi.
Se non riconosciamo il problema per quello che è, se non iniziamo a contrastarlo alle radici, in ogni sua forma, non solo non scalfiremo mai il patriarcato in cui siamo immersi. Ma continueremo a proteggerlo, a tutelare un sistema violento, basato su soprusi e dominazioni. E le donne continueranno a essere uccise, fino a quando ci sarà un’assuefazione tale che penseremo che tutto questo è normale. È davvero questo il mondo in cui vogliamo vivere?
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