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Opinioni

Piaga stupri in Repubblica Centroafricana, l’allarmante rapporto di Human Rights Watch

Stupri come “arma da guerra”. Donne e ragazze violentate davanti a mariti e figli, costrette a diventare le schiave sessuali dei loro stessi aguzzini. E’ quanto accade nella Repubblica Centroafricana dove le fazioni islamiche e cristiane in lotta tra loro in una guerra dimenticata si sono macchiate di crimini contro l’umanità.
A cura di Mirko Bellis
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Josephine, una delle vittime degli stupri nella Repubblica Centroafricana (Smita Sharma - Human Rights Watch)
Josephine, una delle vittime degli stupri nella Repubblica Centroafricana (Smita Sharma – Human Rights Watch)

“La prima volta mi hanno violentata in cinque. Gli stupri sono continuati tutti i giorni per sei mesi. Non avevamo neanche il tempo per riposare; quando un combattente arrivava alla base, abusava di noi e, se cercavamo di resistere, ci picchiavano”. La brutale esperienza di Jeanne (nome di fantasia) è solo una tra le tante testimonianze raccolte da Human Right Watch (Hrw) sulle violenze sessuali subite dalle donne nella Repubblica Centrafricana. In un rapporto, l’organizzazione per i diritti umani denuncia gli stupri avvenuti negli ultimi cinque anni ad opera dei gruppi armati che si contendono il potere nel Paese africano.

A macchiarsi di quella che secondo Hrw è da considerarsi una vera e propria “arma da guerra” sono stati entrambi gli schieramenti: gli ex-Séléka – formati da guerriglieri musulmani – e le milizie cristiane e animiste degli anti-Balaka. Una guerra senza esclusione di colpi, dove gli abusi sessuali alle donne dello schieramento rivale sono stati tollerati e, in alcuni casi, ordinati dai stessi comandanti.

Violenze avvenute davanti ai loro stessi figli o mariti, come nel caso di Irene. “Quando uno dei Séléka mi ha presa con la forza mio marito ha cominciato ad urlare ‘E’ solo una povera donna, lasciatela stare’. Mia figlia stava piangendo così uno di loro disse ‘Perché piange in questo modo?’, subito dopo ho sentito uno sparo, poi il silenzio. A mio marito hanno sparato due pallottole in testa…Prima di violentarmi, ho visto come lo torturavano. Ho implorato Cristo ‘Perché permetti tutto questo?’”.

Human Rights Watch ha intervistato quasi 300 sopravvissute agli stupri, 52 delle quali all’epoca delle violenze erano solo delle bambine. “Uno degli anti-Balaka mi disse che dovevo spogliarmi”, ricorda Priscille di 16 anni. “Gli ho detto che ero vergine ma mi hanno strappato i vestiti di dosso, mi hanno afferrato per la gola, buttata per terra e, tappandomi la bocca perché non urlassi, mi hanno violentata”. La ragazza ha raccontato che a subire la sua stessa sorte è stata anche la sorella di 10 anni.

Schiave dei violentatori

In alcuni casi, le donne centroafricane sono state obbligate a diventare le “mogli” dei loro violentatori; tenute come schiave costrette a cucinare, pulire o a raccogliere cibo e acqua. “Dovevo cercare legna da ardere – racconta Jeanne – oppure andare al fiume a prendere l’acqua e preparare da mangiare. Tutte le donne lo facevano e ogni notte venivano a violentarci”. Gli aguzzini spesso torturavano le loro vittime solo per il gusto di infliggere dolore. Human Right Watch ha potuto documentare che le superstiti hanno riportato lesioni interne, traumi cranici, ossa e denti rotti. Tredici di loro, tre delle quali poco più che bambine, sono rimaste incinte.

Le conseguenze fisiche e sociali degli stupri

A seguito delle violenze, molte donne e ragazze si sono ammalate: alcune hanno contratto l’Hiv, altre hanno pensato al suicidio. Oltre a queste conseguenze fisiche e psicologiche, le vittime degli stupri sono state emarginate dalle loro stesse famiglie o abbandonate dai mariti. “Per la strada la gente mi diceva ‘Eccola, la donna che è stata violentata dai Séléka‘. A casa, mio marito mi ha detto, ‘Hai permesso che ti violentassero. Perché non hai gridato? Prendi le tue cose e vattene”, il trauma vissuto da Yvette.

Crimini contro l’umanità

“I gruppi armati stanno utilizzando la violenza in modo brutale e calcolato per punire e terrorizzare le donne e le ragazze”, ha affermato Hillary Margolis, ricercatrice di Hrw. “Le donne violentate devono vivere ogni giorno con le devastanti conseguenze dello stupro e la consapevolezza che i responsabili sono liberi, forse anche in posizioni di potere, e non pagheranno mai per i loro crimini”.  La violenza carnale è considerata un reato nella Repubblica Centrafricana ma, come fa notare il rapporto dell’organizzazione umanitaria, non esiste nessuna certezza per le donne abusate di ottenere giustizia. Nonostante gli stupri possano essere considerati dei veri e propri crimini di guerra, nessun responsabile è stato arrestato o giudicato per le violenze sessuali. Un’impunità totale per i carnefici che possono continuare a minacciare le loro vittime e i loro familiari in caso di denuncia.

La guerra “dimenticata” nella Repubblica Centroafricana

Nonostante i diversi accordi di pace siglati tra i gruppi armati negli ultimi anni – l’ultimo firmato lo scorso 19 giugno a Roma, con l'appoggio dalla comunità di Sant'Egidio, ha visto la presenza dei rappresentanti dell'Onu, dell’Unione Europea e del governo italiano – il Paese continua a essere teatro di scontri tra le milizie anti-Balaka e quelle islamiste degli ex-Séléka. Dall'inizio di settembre la situazione umanitaria è peggiorata nella parte occidentale della Repubblica Centrafricana. I combattimenti hanno costretto migliaia di persone a scappare e trovare riparo nelle foreste dove non possono arrivati gli aiuti. "La popolazione in fuga non è solo tagliata fuori dall'assistenza umanitaria – ha ricordato Najat Rochdi, la coordinatrice Onu nel Paese africano – ma è anche più vulnerabile agli abusi da parte dei gruppi armati e alla distruzione delle loro proprietà”. Dall'aprile 2014 nella Repubblica Centroafricana è presente anche una missione delle Nazioni Unite, la Minusca, con il mandato di facilitare il disarmo delle milizie e il rispetto dei diritti umani. Un’istituzione a cui anche Human Right Watch fa appello per assicurare alla giustizia gli autori delle violenze sessuali. “C'è bisogno di un messaggio forte: che lo stupro come arma da guerra è intollerabile; che i responsabili saranno puniti e che le vittime riceveranno tutto l’aiuto di cui hanno disperatamente bisogno”, ha concluso Margolis.

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