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Per i pm Cappato e Welby devono essere processati per aver istigato al suicidio un malato terminale

Nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, la procura di Massa ipotizza che Marco Cappato e Mina Welby, agevolando la morte volontaria di Davide Trentini, il 53enne toscano malato di sclerosi multipla deceduto in una clinica Svizzera mediante suicidio assistito lo scorso aprile, abbiano in qualche modo istigato l’uomo rafforzandone il proposito di suicidio.
A cura di Charlotte Matteini
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Da mesi Marco Cappato e Mina Welby sono indagati dalla procura di Massa per aver aiutato Davide Trentini, il 53enne toscano malato di sclerosi multipla deceduto il 13 aprile in una clinica Svizzera, a ottenere il suicidio assistito. Istigazione o aiuto al suicidio, l'ipotesi di reato su cui per mesi hanno indagato gli inquirenti in seguito all'autodenuncia presentata ai carabinieri di Massa dagli stessi Marco Cappato e Mina Welby, reato che secondo l'articolo 580 del codice penale si configura nel momento in cui si determini "altri al suicidio" o si rafforzi "l’altrui proposito di suicidio", ovvero se ne agevoli "in qualsiasi modo l’esecuzione" e prevede, se il suicidio avviene, "la reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene, la reclusione da uno a cinque anni, sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima". Per il procuratore di Massa, Aldo Giubilaro, nel caso della morte di Trentini, Cappato e Welby non avrebbero solamente aiutato Trentini a ottenere il suicidio assistito in una clinica svizzera, ma agevolandolo avrebbero in qualche modo "rafforzato il proposito di suicidio dell'uomo", configurandosi dunque come istigatori. Un'accusa molto forte, quella ipotizzata nell'avviso di conclusione delle indagini preliminari a carico di Cappato e Welby:

"Indagati per il reato di cui agli artt. 110 e 580 comma 1 del c.p. perché, in concorso tra loro, agendo anche rispettivamente quali segretario e legale responsabile il Cappato, presidente la Schett della Associazione no profit denominata ‘Soccorso civile', rafforzavano l'altrui proposito di suicidio e ne agevolavano l'esecuzione: in particolare, dopo aver appreso che Trentini Davide, dal 1993 affetto da Sclerosi multipla a decorso cronico progressivo, ormai invalido con permanente inabilità lavorativa (100%) e con necessità di assistenza continua non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani, era intenzionato a togliersi la vita e a tal fine recarsi in Svizzera presso un centro specializzato nel perfezionamento della procedura di morte volontaria, ma con difficoltà da un lato economica a raggiungere la cifra necessaria e dall'altro materiale per mancanza di un accompagnatore idoneo, della possibilità di esprimersi in tedesco e della apposita documentazione che non era in grado di procurarsi, dopo averlo contattato e fornito la disponibilità personale e della propria associazione ad aiutarlo concretamente a realizzare il suo proposito suicidario, raccoglievano euro 1.200,00 e, agendo materialmente la Schett, si procuravano la documentazione necessaria […]". 

Nero su bianco, dunque, il titolare delle indagini preliminari ipotizza che Marco Cappato e Mina Welby non avrebbero solamente aiutato Davide Trentini, ma l'avrebbero istigato al suicidio, rafforzandone i propositi suicidari mediante gli aiuti a lui concessi. Raggiunto da Fanpage.it, Marco Cappato non commenta le scelte della procura di Massa e spiega: "Ogni caso è diverso, però, diciamo che il caso Trentini e il caso di Dj Fabo hanno in comune – per il Gip di Milano e la procura di Massa – il fatto che si ipotizza ci sia stato un rafforzamento della volontà nell'intento suicidario per il fatto stesso di averla agevolata. Ci sarà ovviamente un processo e io non commento le scelte della giustizia, quello che noi abbiamo sempre rivendicato è che sicuramente ci siamo autodenunciati per l'ipotesi di agevolazione, ma abbiamo agevolato delle persone che comunque vivevano in condizioni di sofferenza insopportabile e nella nostra convinzione abbiamo adempiuto alla volontà ferma, convinta e reiterata di queste persone. Questo però chiaramente andrà appurato durante il processo, serve anche a ciò. Noi ci siamo autodenunciati, rispettiamo qualsiasi passaggio della giustizia, ma comunque andiamo avanti. Il sito di Sos Eutanasia è ancora attivo, continuiamo a ricevere richieste di aiuto e quindi non ci stiamo fermando, questo deve essere chiaro". 

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