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«Il Sud Italia come Sharm El Sheikh». Ma Farinetti pensa prima di parlare?

Il guru di Eataly sfodera una serie di banalità sul Mezzogiorno d’Italia e sulle mafie. Un dubbio assale: ma i fedelissimi della prim’ora di Renzi la pensano come lui?
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Ecco cosa succede quando si tramuta il proprietario di una specie di catena di ristoranti equo solidali in un "guru". Oscar Farinetti, il patron di Eataly, renziano della prim'ora, se ne esce (a "Reputescion" di Andrea Scanzi) con questa frase: «Nel Sud c'è da fare un unico grande Sharm El Sheikh dove ci va tutto il mondo in vacanza». E  poi una sequenza impressionante di banalità,  una visione lisergica del Mezzogiorno d'Italia e di eventuali strategie per il suo sviluppo: «Aprirei alle multinazionali che vengano a investire con enormi agevolazioni fiscali, non gli farei pagare le tasse per dieci anni. Il problema per cui non vengono ha un nome solo: la mafia». Il Sud come Sharm? Farinetti immagina dunque una parte d'Italia tramutata in un grande resort griffato dove, una volta fuori le dorate mura, a residenti e turisti non è garantito nulla? E poi, l'assioma mafia (o camorra, o ‘ndrangheta, o Sacra corona unita) – Sud, farebbe anche sorridere se non fosse tragico. S'informi, il signor Eataly: le mafie hanno varcato, ma da un pezzo, il Garigliano. Da imprenditore attento alla vita del Paese dovrebbe saperlo. Quello che mi preoccupa tuttavia non è l'opinione di Oscar Farinetti, ma quanto sia diffusa questa visione tra gli altri fedelissimi di Matteo Renzi. Temo che al governo qualcuno la pensi esattamente come mister Eataly. E la cosa non mi rassicura affatto.

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Giornalista professionista, capo cronaca Napoli a Fanpage.it. Insegna Etica e deontologia del giornalismo alla LUMSA. Ha una newsletter dal titolo "Saluti da Napoli". È co-autore dei libri "Il Casalese" (Edizioni Cento Autori, 2011); "Novantadue" (Castelvecchi, 2012); "Le mani nella città" e "L'Invisibile" (Round Robin, 2013-2014). Ha vinto il Premio giornalistico Giancarlo Siani nel 2007 e i premi Paolo Giuntella e Marcello Torre nel 2012.
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