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Omicidio Yara, parla Marita Comi: “Bossetti innocente, lo dico sempre ai nostri figli”

Dopo la sentenza della Cassazione Marita Comi, moglie di Massimo Bossetti, rompe il silenzio e attraverso l’avvocato del marito continua a sostenere l’innocenza del muratore di Mapello condannato all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio: “È innocente, è quello che ripeto ai nostri figli, so che non mente”.
A cura di Susanna Picone
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Continua a difendere il marito e a essere convinta della sua innocenza Marita Comi, moglie di Massimo Giuseppe Bossetti e madre dei tre figli del muratore di Mapello condannato all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio, la tredicenne di Brembate Sopra scomparsa nel 2010 e ritrovata morta tre mesi dopo in un campo di Chignolo d’Isola. Marita Comi continua a credere che Bossetti sia estraneo alla vicenda della ragazzina uccisa nel Bergamasco anche dopo la sentenza della Cassazione, che ha confermato la condanna del muratore all’ergastolo. “Massimo è innocente, ed è quello che ripeto ai nostri figli. Lo conosco da quando eravamo ragazzi e so che non mente”, ha detto Marita Comi attraverso il suo avvocato Claudio Salvagni al quotidiano Libero. “Ho dei figli che stanno crescendo, se non fossi convinta della sua estraneità all’assassinio della piccola Yara, non sarei certo rimasta con lui”, ha aggiunto la moglie di Bossetti sottolineando che questo è un momento drammatico per il marito in carcere e per tutta la famiglia, che è rimasta delusa perché sperava “che gli fosse data la possibilità di ripetere la prova del Dna, invece nulla”. La prova del Dna che ha incastrato Bossetti è stata da sempre contestata dalla difesa del muratore, che si è vista respingere la richiesta di una super perizia.

Bossetti “è innocente e non accetta la privazione della sua libertà” – Massimo Bossetti è in carcere dal giorno del suo arresto avvenuto nel giugno del 2014 e spesso riceve le visite della moglie Marita: da Bergamo sarà trasferito nel penitenziario dove sconterà la pena, a Bollate od Opera, nel Milanese. “Osserva gli altri detenuti, e mi dice che molti di quelli colpevoli alla fine si rassegnano e iniziano un percorso di ricostruzione — ha raccontato la donna —. Invece Massimo non ci riesce, perché è innocente e quindi non accetta la privazione della sua libertà”. Dopo la sentenza della Cassazione il detenuto avrebbe chiesto di poter lavorare “per non impazzire”.

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