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Questa settimana voglio tornare a parlare di potere e privilegio maschile. Si tratta di un argomento complesso, che merita ben più di un approfondimento, in modo da capire realmente cosa sta accadendo nella società e perché diversi uomini provano un forte astio verso le donne. In questa newsletter troverete un'intervista alla docente di psicologia sociale Chiara Volpato, esperta di violenza di genere e dominio maschile. È a lei che ho chiesto di spiegare cosa c'è alla base dell'odio di (solo alcuni, tranquilli!) uomini verso le donne.
Qualche tempo fa parlavo con un’amica che insegna in una scuola superiore. Mi raccontava, con un certo stupore, delle forti tensioni che osserva ogni giorno tra ragazzi e ragazze. Non si tratta semplicemente dei classici gruppetti separati tra maschi e femmine (uso consapevolmente questa distinzione binaria, seppur semplicistica, per chiarire subito il contesto), ma di un vero e proprio clima di ostilità che talvolta sfocia nel disprezzo. Un risentimento profondo che rende i rapporti tesi, generando recriminazioni e reazioni sproporzionate, ben oltre le consuete dinamiche adolescenziali.
Ci sono ragazzi che faticano ad accettare un rifiuto, che reagiscono con un’aggressività eccessiva ogni volta che si sentono messi in discussione. Alcuni tendono a isolarsi, maturando l’idea di essere in conflitto con l’altro genere. E, quando le cose non vanno come vorrebbero, non è escluso che queste tensioni si traducano anche in comportamenti violenti.
Non ve la faccio troppo lunga. In sostanza, le ragazze sembrano aver fatto proprie le istanze portate avanti dal movimento femminista: vogliono essere padrone della loro vita, rifiutano l’idea di un presunto dominio maschile, rivendicano il proprio spazio. Dall’altro lato ci sono i ragazzi. Spesso criticati per i loro comportamenti, fanno fatica non solo a comprendere appieno cosa stia accadendo, ma anche ad accettare il cambiamento in atto. Le certezze su cui sono stati educati sin dall’infanzia si stanno pian piano sgretolando sotto i loro piedi. I punti di riferimento diventano altri, la società si sta trasformando e loro non la capiscono.
Ormai è sotto gli occhi di tuttə: viviamo in un tempo di tensioni profonde, dove i cambiamenti sociali in atto mettono in discussione equilibri di potere, identità e ruoli consolidati da secoli. La cosiddetta ‘mascolinità tradizionale’, che fino a oggi è stata considerata l’unico modello socialmente accettabile, è oggi visto per quello che è: un costrutto storico e culturale, in cui il dominio maschile è stato legittimato e portato avanti da istituzioni, narrazioni collettive e codici comportamentali. Questo modello è oggi apertamente sfidato e messo in dubbio. Siamo ben oltre una crisi passeggera: tutto il sistema di potere basato sul dominio maschile sta traballando. E a farlo traballare sono le donne.
Come al solito voglio aprire una parentesi: l’obiettivo non è ‘condannare gli uomini’, anzi. Vogliamo immaginare nuovi rapporti tra i generi, nuove forme di relazione che non si basino su presunte gerarchie, ma che permettano alle persone di esprimersi liberamente, senza condizionamenti o ruoli predefiniti.
Per questo nuovo articolo di Streghe ho voluto intervistare Chiara Volpato, psicoterapeuta, docente di Psicologia sociale all’Università di Milano Bicocca, e autrice di diversi libri che parlano proprio di dominio maschile e violenza di genere. Le ho chiesto innanzitutto, proprio per inquadrare il discorso, il motivo per cui vari uomini nutrono un profondo rancore verso le donne.
“Ovviamente dobbiamo stare attente a non generalizzare – mi spiega Volpato -. Secondo me la spiegazione più convincente è di tipo sociostrutturale. In altre parole, nella società tradizionale – o, se vogliamo, nel sistema patriarcale – gli uomini occupavano una posizione privilegiata. Avevano un accesso prioritario a molti ambiti: l’istruzione, il lavoro, il prestigio sociale, politico ed economico. Con il tempo, con i cambiamenti in atto, e con l’affermarsi progressivo del femminismo, questa posizione di privilegio è stata messa in discussione, e questo può generare insicurezza, frustrazione, oppure reazioni di rifiuto o ostilità. Non hanno ancora perso tutti i loro privilegi, come sappiamo: la situazione varia molto da paese a paese, da società a società. Tuttavia, nel complesso, le donne hanno fatto grandi passi avanti. E questo, considerando che partivano da una posizione meno privilegiata, significa che oggi stanno occupando un ruolo più centrale. Sono attive, sono energiche. In un certo senso, stanno vivendo un movimento di mobilità sociale verso una condizione migliore rispetto al passato. E da questo percorso deriva anche un certo ottimismo, una spinta positiva. Al contrario, i ragazzi stanno vivendo – o percepiscono di vivere – un movimento inverso. Vedono i propri privilegi progressivamente erosi. Non sono più gli unici ad avere accesso a posizioni riconosciute nella società, e questi spazi devono ora guadagnarseli. Per questo, è abbastanza comprensibile – anche se non giustificabile – che tendano a prendersela con chi, ai loro occhi, è responsabile di questa perdita di status e di privilegio: cioè, appunto, le donne”.
Fino a che non si accetterà che la società, e con essa i ruoli di genere, stanno cambiando, la situazione migliorerà con fatica. “È evidente – continua infatti Volpato – che ci troviamo di fronte anche a un problema di ignoranza, o comunque di difficoltà nell'accettare un cambiamento sociale in atto. La posizione maschile tradizionale, infatti, è una posizione che guarda al passato, non al futuro. Si tratta di un atteggiamento di autodifesa, ma di una autodifesa sterile, incapace di produrre un reale adattamento. Forse, per favorire un cambiamento, sarebbe importante che gli uomini arrivassero a comprendere che anche loro hanno qualcosa da guadagnare da questa trasformazione. Perché la posizione tradizionale non è una posizione solo vantaggiosa: è anche una condizione che ha generato stress, che ha limitato l’espressione affettiva, che ha imposto rigidità emotive. Sappiamo che nella mascolinità tradizionale si annidano diversi problemi. Gli uomini, ad esempio, muoiono in media prima delle donne, hanno spesso una vita affettiva più complicata, relazioni amicali meno profonde, meno basate sulla confidenza. E questo fa sì che, nel momento in cui si rompe un legame importante – ad esempio con una partner – si trovino spesso più soli. Questa solitudine può generare sofferenza, sia psicologica sia fisica. Accettare il cambiamento, quindi, significa anche aprirsi a nuove possibilità: una maggiore condivisione affettiva, un ruolo diverso all’interno delle relazioni, nella famiglia, nella società. Tuttavia, il cambiamento spaventa sempre, e non è mai un processo semplice”.
Ho chiesto a Volpato se – nonostante le difficoltà – la situazione migliorerà prima o poi. “I segnali, secondo me, ci sono. La strada è certamente in salita, su questo non ci sono dubbi, però alcuni segnali positivi esistono. Ad esempio, il rapporto con i figli è cambiato: non è più quello tipico della società tradizionale. Oggi molti padri sono felici di avere una figlia anziché un figlio, cosa che in passato difficilmente sarebbe accaduta. C’è anche una maggiore accettazione della propria emotività, una capacità diversa di affrontare i propri sentimenti rispetto a quanto accadeva una volta. Il fatto di creare relazioni più paritarie, a mio avviso, fa bene a tutti – fa bene anche agli uomini. Tuttavia, c’è una parte dei giovani, e della società in generale, che non riesce a cogliere il valore positivo di questo cambiamento. Ne percepisce solo gli aspetti negativi. Ed è da lì che nascono certe reazioni”.
Agire sull’educazione e sulla scuola serve, ma non basta. “L’educazione è sempre un elemento fondamentale in questi ambiti – continua Volpato -. Serve un’educazione che sappia mostrare il lato positivo della parità, non quello negativo. E anche il valore positivo della diversità, purché legata a una scelta individuale e autonoma. Sì, sicuramente può servire. Sicuramente è la strada giusta da percorrere. Tuttavia, gli stereotipi di genere restano ancora molto forti, anche all’interno delle scuole. C’è ancora molto lavoro da fare in questo senso. E direi che contano molto anche altri ambienti, oltre alla scuola. Penso, ad esempio, a tutti i luoghi di aggregazione, alle associazioni sportive, che sono spazi fondamentali per bambini e ragazzi. Anche lì c’è molto lavoro da fare, perché in questi contesti è ancora presente un forte maschilismo. Inoltre, credo che sarebbe importante dare ai giovani accesso a un certo tipo di narrativa, a film, serie televisive, insomma a prodotti culturali capaci di trasmettere messaggi diversi. Le narrazioni, anche quelle cinematografiche o seriali, hanno un grande impatto sull’atteggiamento delle persone. Perché c’è identificazione con i protagonisti, con le storie. E se l’identificazione è con figure che veicolano un modello più aperto, più paritario, questo può davvero fare la differenza”.
La politica, chiaramente, non è esente da tutto questo, ma è direttamente chiamata in causa. “Un altro aspetto importante riguarda anche la politica – conclude infatti Volpato -, perché ci sono gruppi politici che, a mio avviso, in questo momento – non solo in Italia, ma anche a livello internazionale – valorizzano una mascolinità tradizionale, o addirittura stanno riportando in auge un modello di mascolinità di tipo tradizionale. Per questo motivo, credo sia necessario intervenire da più fronti, agendo in modo coordinato e complessivo”.
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