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due piccole curiosità, con cui spero tu non debba mai avere a che fare.Prima piccola curiosità: un processo, civile o penale che sia, in media, ci mette tre anni circa ad arrivare a sentenza. Dopo Croazia e Grecia siamo il terzo Paese con la giustizia più lenta in Europa. Quando si parla di giustizia in Italia, insomma, bisognerebbe partire da qui. Seconda piccola curiosità: dopo la riforma Cartabia del 2022, di fatto le carriere della magistratura requirente e quella della magistratura giudicante sono già di fatto separate. Piccola domanda che faccio io a te, adesso: qual è lo scopo di una riforma costituzionale della giustizia che non affronta il tema della sua lentezza e che separa carriere già separate? Comunque la pensi, in vista del referendum, la vera domanda da porsi è questa. E mi farebbe davvero piacere sapere quale sia la risposta che ti dai tu.

Cosa cambia con la riforma della giustizia appena approvata in Senato? E perché Meloni ha detto che è la risposta all’intollerabile ingerenza in politica?

Paola 

Cara Paola,

la riforma della giustizia contiene una novità, da cui ne derivano altre due. Il punto principale è la separazione delle carriere dei magistrati. Chi fa il pm in Procura non potrà mai passare a fare il giudice in Tribunale, e viceversa. Un cambiamento che in realtà avrebbe un effetto limitato: negli ultimi anni molto meno dell’1% dei magistrati ha scelto di fare un cambio di carriera. La legge già permette di farlo solo una volta, solo nei primi dieci anni di attività. Le due novità che ne derivano, però, potrebbero essere più significative. La prima: non ci sarebbe più un solo Consiglio superiore della magistratura, ma due (uno per i giudici e uno per i pm), con membri non più eletti dai magistrati ma estratti a sorte. La seconda: delle questioni disciplinari non si occuperebbe più il Csm, ma una nuova Corte disciplinare creata appositamente. Per sapere quali sono i rischi secondo i magistrati, ti rimando a un’intervista con Rossella Marro, giudice e presidente di Unicost, corrente moderata delle toghe.  La linea della presidente Meloni, del governo e del centrodestra, invece, è che questa riforma porterebbe a una magistratura più “imparziale”. Da una parte, perché giudici e pm sarebbero del tutto separati; dall’altra, perché sorteggiando i membri del Csm invece di farli eleggere si toglierebbe potere alle correnti che rappresentano orientamenti politici dei magistrati. Quindi – prosegue il ragionamento – le decisioni sarebbero meno “politicizzate”. Un’etichetta, quella di sentenze “politicizzate” o “ideologiche”, che Meloni e tutta la destra hanno usato spesso negli ultimi anni per attaccare provvedimenti che non gli piacevano, nonostante si trattasse semplicemente di giudici o pm che facevano il loro lavoro e applicavano le leggi.

Luca Pons, redattore area Politica Fanpage.it

2) Il vittimismo arrogante della pres. del Consiglio e il sottrarsi alle domande dei media è corretto ritenerli pericolosamente divisivi e velenoso?

Vilmer

Caro Vilmer, come giustamente fai notare il sottrarsi alle domande dei giornalisti, almeno quelli non allineati, e il vittimismo sono due pilastri della strategia comunicativa della nostra presidente del Consiglio. Sul primo punto, ormai non ci affidiamo più nemmeno alle impressioni: Giorgia Meloni non presenzia da mesi alle conferenze stampa post Consiglio dei ministri (dopo la manovra ha fatto una breve comparsata, prendendo due mezze domande e poi dileguandosi), si limita a qualche punto stampa all’estero, spesso in ambiente “protetto” e senza contraddittorio. Una condotta che ha sorpreso persino il suo mentore Donald Trump, non abituato all’idea che chi detiene il potere non debba rispondere alle domande della stampa. A questo sottrarsi a un vero e proprio dovere, Meloni abbina un approccio vittimista, di cui abbiamo parlato spesso su Fanpage.it. Nella sua comunicazione pubblica, si pone sempre come se fosse sotto assedio, indica nemici immaginari, costruisce dualismi in modo da polarizzare l’opinione pubblica, racconta un Paese sull’orlo del collasso prima del suo salvifico avvento, cerca con insistenza il conflitto, banalizza le posizioni degli avversari politici. Sono espedienti retorici, più o meno efficaci, che le consentono di controllare la narrazione pubblica e che spesso portano i suoi interlocutori a seguirla su un terreno da lei scelto, su cui diventa impossibile impostare qualunque discorso serio o critica efficace.  La cosa più triste, caro Vilmer, è che per ora questa tattica sembra funzionare.

Adriano Biondi, condirettore Fanpage.it

3) La guerra in Ucraina pare sia stata favorita dal mancato rispetto degli accordi di Minsk, ma da parte di chi?

Giuseppe

Caro Giuseppe,
prima di entrare nel merito della tua domanda, vale la pena ricordare cosa furono gli Accordi di Minsk. Nati nel 2014 e aggiornati nel 2015 sotto la mediazione di Francia, Germania e OSCE essi miravano a fermare la guerra nel Donbass tra le forze ucraine e i separatisti sostenuti da Mosca. Prevedevano quattro grandi capitoli: sicurezza (cessate il fuoco e ritiro delle armi pesanti), questioni umanitarie (scambio di prigionieri e ingresso degli aiuti), economia (ripresa dei normali rapporti economici tra Ucraina e Donbass) e politica (autonomia locale e riforma costituzionale in Ucraina). L’obiettivo era reintegrare pienamente Donetsk e Luhansk all’interno dell’Ucraina, concedendo però ai due oblast una forma speciale di autogoverno su questioni linguistiche, culturali, economiche e amministrative. Tuttavia, come spesso accade nelle guerre, il problema non fu la firma degli accordi, bensì la loro concreta attuazione. Le violazioni arrivarono da entrambe le parti, ma con motivazioni e pesi diversi. L’Ucraina non poté o non volle applicare le riforme politiche previste – come lo "status speciale" per il Donbass – perché il territorio era di fatto controllato da milizie separatiste armate e sostenute dalla Russia. Da parte sua, Mosca continuò a fornire armamenti, truppe e sostegno logistico ai separatisti, pur presentandosi all'esterno solo un mediatore "terzo" rispetto alle parti in conflitto. Il vero nodo fu la diversa interpretazione degli Accordi di Minsk: Kiev voleva prima la sicurezza, poi la politica; Mosca l’esatto opposto, puntando a legittimare i propri rappresentanti locali prima ancora del disarmo. In questo squilibrio, gli Accordi rimasero sospesi e inapplicati fino a morire definitivamente nel 2022, quando Putin riconobbe le "repubbliche popolari" di Donetsk e Luhansk. Occorre ricordare che, oltre alla Russia, solo Siria e Corea del Nord riconobbero l'indipendenza del Donbass. Il resto della comunità internazionale, nessuno escluso, ha continuato a considerare quelle due regioni parte integrante dell’Ucraina, definendo il riconoscimento russo una violazione del diritto internazionale e un atto preparatorio all’invasione, effettivamente iniziata il 24 febbraio 2022.


Davide Falcioni, redattore area Cronaca Fanpage.it

Direi che è tutto, anche per oggi.
Grazie per averci accompagnato fino a qua.

Francesco

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