
Ciao!
Apriamo la newsletter di questa settimana prima di tutto con una vicenda che ha colpito tutti noi, la tragica morte del quindicenne bersagliato per anni dai bulli, che si è suicidato. Non è possibile considerare questa storia di solitudine un caso isolato. Ed è ora che il Governo intervenga.
Ma ci siamo anche fatti una domanda: come è andato il ritorno in classe alle superiori con le nuove norme che vietano l'utilizzo dei cellulari, banditi durante le lezioni e anche nei cambi d'ora e a ricreazione? Abbiamo raccolto le testimonianze dei diretti interessati, gli studenti, per capire cosa è cambiato concretamente a scuola rispetto all'anno scorso. Da quello che ci hanno raccontato, in molte scuole la norma introdotta dal ministro Valditara – che può comportare anche una sospensione per chi non la rispetta – non ha prodotto una rivoluzione: come era stato ampiamente previsto, molti docenti non ritirano i cellulari all'inizio della lezione, sia per non assumersi la responsabilità di eventuali danni agli smartphone, sia per l'assenza di armadietti o altri luoghi idonei a conservare i telefoni. Con la conseguenza che molti ragazzi tengono i telefoni in tasca, utilizzandoli magari nei corridoi o nei bagni. Nessuna disconnessione quindi dai dispositivi digitali, e nessuna disintossicazione. Tanto rumore per nulla, verrebbe da dire.
IL TEMA DEL GIORNO
Paolo, morto suicida il giorno prima di tornare in classe: il governo investa presto su prevenzione e salute mentale
Avrai sicuramente sentito parlare in questi giorni di Paolo, il ragazzino di neanche 15 anni della provincia di Latina che l’11 settembre scorso ha deciso di togliersi la vita nella sua cameretta, impiccandosi con la cordicella di uno strummolo, alla vigilia del ritorno a scuola.
Avrebbe dovuto frequentare il secondo anno delle superiori, suonava il basso e la batteria e amava andare a pesca col papà. Aveva anche i capelli biondi e lunghi, motivo per cui veniva chiamato dai compagni “Nino D’Angelo”. Proprio il bullismo, secondo la famiglia, potrebbe essere alla base del gesto di Paolo. Già alle medie era stato costretto a cambiare scuola, poi alle superiori la situazione non è migliorata. Ai funerali, ha raccontato la mamma, avrebbe partecipato solo un compagno.
La dirigente scolastica della scuola da lui frequentata ha fatto sapere che l’istituto aveva “sempre attivato, come misura di sistema, gli incontri con la polizia per il contrasto al bullismo”, specificando anche di non “aver mai ricevuto denunce”. E mentre la Procura di Cassino ha aperto un fascicolo per istigazione al suicidio per fare luce su eventuali responsabilità, ci si interroga sul ruolo della scuola come sistema. Cosa avrebbe potuto fare per evitare che Paolo prendesse quella decisione poche ore prima di tornare in classe? Perché non è stato protetto?
Il ministro Valditara ha disposto ispezioni immediate nelle scuole frequentate dal ragazzo per verificare se siano state rispettate le norme della legge 70/2024 sul bullismo, che impone ai dirigenti scolastici di convocare i genitori dei bulli, attivare percorsi educativi e, nei casi gravi, denunciare alle autorità.
A lui si è rivolto anche il fratello maggiore del 15enne, che in una lettera indirizzata anche alla premier Giorgia Meloni ha denunciato: “Mio fratello si è ucciso per colpa dei bulli che lo perseguitavano. Chiedo che vengano adottati con urgenza provvedimenti incisivi e concreti per contrastare il fenomeno del bullismo nelle scuole. È indispensabile promuovere una cultura della prevenzione, del rispetto e delle responsabilità”.
Prevenzione, rispetto e responsabilità: un appello che in realtà non avrebbe neanche ragione d’essere se la legge sul bullismo prevedesse investimenti anche e soprattutto su questo. Come ha ribadito anche Fiorella Zabatta, co-portavoce di Europa Verde ed esponente di Alleanza Verdi e Sinistra, “non c'è traccia di stanziamenti adeguati per il supporto psicologico permanente nelle scuole, né per la formazione obbligatoria dei docenti. Senza fondi, la prevenzione resta uno slogan”.
Eppure, sembra necessario. E lo dice non solo la storia di Paolo, ma lo dicono anche i numeri: secondo l’ultima indagine Istat pubblicata nel giugno 2025, oltre il 68% dei ragazzi tra gli 11 e i 19 anni ha subito almeno un episodio di bullismo, fisico, verbale, sociale o virtuale. Un fenomeno che nasce fuori dalle aule scolastiche, ma che cresce al loro interno, alimentandosi delle paure tipiche di quella fase della vita contorta e bellissima che è l’adolescenza. È venuto il momento che il Governo metta mano al portafoglio: non possiamo più permettere che decisioni come quella di Paolo vengano prese di nuovo dai nostri amici, figli, parenti e conoscenti.
L'APPROFONDIMENTO
"Insegnateci a difenderci dal cyberbullismo e a navigare in sicurezza, invece di toglierci gli smartphone in classe"
Ad attendere gli studenti al ritorno sui banchi quest'anno doveva esserci un'importante modifica del regolamento scolastico: stop all'uso del cellulare in qualsiasi momento della giornata. Ma come ci hanno raccontato diversi ragazzi della scuola secondaria di secondo grado, nessuno ha requisito il loro dispositivo, e in molti hanno continuato anche a utilizzarlo, aggirando il divieto. Nella maggior parte dei casi non sono stati acquistati armadietti ad hoc, per custodire i cellulari. Tranne qualche eccezione – come l'Istituto Tecnologico Volta di Tivoli, dove al secondo giorno di scuola è già scattata la prima sanzione, una sospensione per un giorno senza obbligo di frequenza – è difficile fare controlli: il risultato è che gli smartphone vengono sì riposti negli zaini, ma i ragazzi riescono comunque a utilizzarli durante l'orario scolastico, esattamente come facevano prima.
Fabio – "Al liceo scientifico Spallanzani di Tivoli, la mia scuola, è cambiato poco dall'inizio dell'anno. Semplicemente è stata pubblicata sul sito dell'istituto una circolare che ricordava il divieto introdotto dalla circolare ministeriale, misura tra l'altro già prevista nel nostro regolamento. Non sono state prese misure particolari: l'unica novità è che i professori a inizio lezione ci chiedono esplicitamente di mettere via il cellulare".
Luca – "Al liceo scientifico Cavour di Roma i telefoni, per volontà del preside, non vengono ritirati. Nessuna cassaforte o busta per conservare i nostri smartphone. La sorveglianza non è affatto serrata, c'è un clima sereno. Se qualcuno ha un telefono in mano a ricreazione, quasi tutti i docenti chiudono un occhio. Molti studenti del mio liceo sono attivi in politica, per cui il cellulare serve pure per organizzare diverse iniziative".
Ludovico – "Da noi è sempre stato vietato usare cellulari in classe, per evitare distrazioni. Nella circolare che è stata diffusa l'anno scorso all'Istituto Magistrale Giordano Bruno di Roma, è la stessa scuola a dichiarare che ‘non dispone di risorse e spazi adeguati alla custodia in sicurezza dei dispositivi elettronici personale, spesso di elevato valore economico'. Pertanto, scrive, declina ogni responsabilità in caso di furto smarrimento o danneggiamento. Eppure in alcuni casi è stato chiesto durante le lezioni di poggiare i telefoni sulla cattedra, in scatole di cartone semidistrutte, o sul davanzale della finestra".
Anita – "La preside della mia scuola, il liceo scientifico Plinio Seniore, ha adottato la normativa ministeriale. In alcune classi i professori si sono però rifiutati di prendersi la responsabilità di requisire i telefoni. Semplicemente ci chiedono di tenerli nella borsa, spenti. Ci sembra che il nostro istituto non sia interessato a spendere soldi per acquistare i famosi armadietti. Ma nel nuovo regolamento ci sono diverse criticità, soprattutto a livello didattico: molti docenti sono in disaccordo con le misure, perché gli smartphone venivano utilizzati per rendere più interattive le lezioni, ad esempio per fare ricerche, come avviene in altri Paesi. Di solito usavamo anche l'hotspot per navigare su Internet con i tablet. La scuola non ci offre strumenti alternativi. Vorrei sottolineare che la nostra generazione è nata e cresciuta con i telefoni, siamo soffocati da notizie sul cyberbullismo. Viviamo in un mondo completamente digitalizzato, che senso ha togliere gli smartphone, in modo radicale, invece di insegnare magari a navigare sui social in sicurezza? Significa tornare indietro a una scuola che non ci appartiene più".
L’EVIDENZIATORE
Il nostro spazio dedicato alle curiosità dal mondo della scuola oggi è occupato da INVALSI. Lo scorso agosto è stato infatti rinnovato il Consiglio di Amministrazione dell’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione. La novità degna di nota riguarda l’addio della professoressa Renata Maria Viganò, Ordinario di Pedagogia Sperimentale all’Università Cattolica del Sacro Cuore e Vice Presidente del CdA di INVALSI negli ultimi 4 anni, per scadenza naturale del mandato.
“Invalsi è un ente necessario più che mai al nostro Paese perché senza le sue rilevazioni – che non sostituiscono il lavoro valutativo dei docenti – non si disporrebbe di quel patrimonio di dati e informazioni che permettono di fare un lavoro di individuazione di situazioni problematiche e di aiutare chi deve prendere le decisioni politiche a farlo nel migliore dei modi”, ha spiegato Viganò a Fanpage.it, aggiungendo: “Ora si deve guardare avanti: quest’anno per la prima volta è stata fatta una rilevazione sulle competenze digitali degli studenti delle secondarie. Già lo scorso anno è stata aperta anche una linea di ricerca, sempre autofinanziata da INVALSI, sull’Intelligenza artificiale, destinata a cambiare la vita e che rappresenta un potenziale enorme. Va capita, studiata e poi applicata anche alle scuole”.
Probabilmente in continuità con questo obiettivo, è stato scelto dal Ministro Valditara come sostituto della professoressa Viganò Paolo Branchini, fisico dell’istituto nazionale di Fisica Nucleare, con un curriculum di tutto rispetto e molto vicino per idee politiche proprio al titolare del Dicastero di Viale Trastevere. “Non so perché la scelta sia ricaduta su di lui ma di certo la sua competenza è stata individuata con un obiettivo”, ha precisato Viganò. Ci chiediamo se sostituire un'esperta di pedagogia con un fisico nel direttivo di INVALSI sia stata una buona idea. E tu che ne pensi?
A cura di Ida Artiaco e Annalisa Cangemi