
Questa settimana abbiamo visto scendere in piazza tanti insegnanti e studenti, che hanno partecipato, per la maggior parte pacificamente, allo sciopero di lunedì 22 settembre per Gaza, e a sostegno della Global Sumud Flotilla, in questo momento in navigazione verso la Striscia. Ci ha colpito in particolare uno slogan lanciato da un liceo palermitano, scritto in uno dei tanti bellissimi striscioni, che riassume secondo noi il messaggio che in tanti hanno voluto lanciare al governo Meloni: ‘Si vis pacem, para pacem'. Un modo efficace per contraddire le affermazioni della presidente del Consiglio, che in un discorso sul riarmo a giugno, aveva richiamato in Parlamento la locuzione latina: ‘Si vis pacem, para bellum'. Dopo gli ultimi gravissimi attacchi subiti dalla Flotilla la notte scorsa, con bombe sonore e gas urticanti, i ragazzi di un liceo romano, il Rossellini, hanno occupato la succursale della scuola. Mentre la Rete degli Studenti Medi ha annunciato che la mobilitazione continua. L'autunno caldo è già cominciato.
Negli ultimi giorni sono successe altre cose importanti, che riguardano cambiamenti decisivi che potrebbero verificarsi a scuola nei prossimi anni. La prima notizia è che Alleanza Verdi Sinistra ha depositato in Cassazione una proposta di legge popolare per ridurre a 20 il numero di alunni per classe, per contrastare il fenomeno delle aule sovraffollate, le cosiddette ‘classi pollaio'. La seconda è che il Consiglio di Stato ha sospeso l'espressione del parere sullo schema di regolamento delle nuove Indicazioni Nazionali per la scuola dell'infanzia e il primo ciclo d'istruzione, quelle su cui dovranno basarsi i nuovi programmi scolastici e i libri di testo. Il Consiglio di Stato ha evidenziato alcune carenze e rilevato diverse problematiche. Il ministero si è affrettato a dire che non si tratta di una bocciatura, ma di un "consueto confronto istituzionale". Ma i punti sollevati sono sostanziali, non meramente formali.
Il TEMA DEL GIORNO
Il Consiglio di Stato sospende il parere sulle nuove Indicazioni nazionali per i programmi. I sindacati: "Avevamo ragione, ora si apra il confronto"
Le criticità segnalate giovedì scorso dal Consiglio di Stato sulle nuove Indicazioni nazionali per i nuovi programmi entrano nel merito del testo e non sono semplici richieste di "integrazioni tecniche", come ha detto il ministero guidato da Valditara. Confermano gli stessi dubbi che avevano già messo in luce in questi mesi anche sindacati e associazioni. A partire dall'assenza di una spiegazione oggettiva che giustifichi la necessità di cambiare le attuali Indicazioni: "Non emergono le ragioni specifiche delle modifiche introdotte e risultano assenti indicatori quantitativi per misurare l'efficacia degli interventi proposti", scrivono i giudici. Altro problema è la presunta neutralità finanziaria dell'intervento, solo dichiarata e non verificata, perché non è chiaro se si potranno raggiungere gli obiettivi programmati senza l'impiego di nuove risorse. I giudici di Palazzo Spada hanno poi espresso perplessità sull'insegnamento del Latino, introdotto come disciplina facoltativa nelle scuole medie. Questo non solo rischia di aumentare il divario tra studenti, ma rischia di produrre anche problemi organizzativi: i docenti di lettere potrebbero non possedere i requisiti necessari per l'insegnamento del latino, mentre un docente della classe di concorso specifica potrebbe teoricamente insegnare in diciotto classi diverse. "Le motivazioni della sospensione coincidono con quanto la Uil Scuola Rua aveva già espresso negli scorsi mesi al Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione. Siamo di fronte a un impianto fragile e distante dalla realtà delle scuole", ha detto il segretario generale della Uil Scuola Rua, Giuseppe D'Aprile.
Le Indicazioni nazionali per la scuola dell'infanzia, elementare e media sarebbero dovute entrare in vigore dal 2026-2027. Ora però, dopo questa sospensione, Viale Trastevere dovrà prendersi del tempo per rispondere al Consiglio di Stato, e non si sa quanto tempo ci vorrà. Il parere del Consiglio di Stato rappresentava infatti l'ultimo step dell'iter. Sicuramente questo stop ha dato nuova linfa alla battaglia delle associazioni, che si preparano a una grande mobilitazione per il prossimo 18 ottobre a Roma, una protesta organizzata dal Tavolo nazionale per la scuola democratica (una rete di 23 soggetti collettivi impegnati nel mondo dell’educazione), a cui aderiscono anche i sindacati, tra cui Flc Cgil. Viste le criticità sollevate, che hanno bloccato il parere, associazioni e sindacati chiedono a Valditara di avviare un vero dibattito per arrivare a una revisione del testo delle Indicazioni. "Ribadiamo la necessità di un vero percorso condiviso, che coinvolga docenti, famiglie, studenti e comunità scientifica", ha detto Giuseppe D'Aprile.
L’APPROFONDIMENTO
Classi pollaio, arriva la proposta di legge per smantellarle: “Tetto massimo di 20 alunni per organico per una didattica di qualità"
Tetto massimo di 20 alunni per classe, che diventa di 18 o 16 se ci sono uno o più studenti disabili. È questa la proposta di legge di iniziativa popolare depositata la scorsa settimana presso la Corte di Cassazione da Alleanza Verdi e Sinistra contro l’annoso problema della classi pollaio. In molte aree del Paese il sovraffollamento scolastico è all’ordine del giorno, in particolare in quelle densamente abitate, a scapito spesso del benessere dei ragazzi e della didattica di qualità.
Ne abbiamo parlato con Elisabetta Piccolotti, parlamentare di Alleanza Verdi Sinistra e promotrice dell'iniziativa, che ci ha spiegato perché è importante un provvedimento del genere.
Su quali dati avete basato la proposta di legge contro le classi pollaio?
“Abbiamo esaminato le proiezioni demografiche del Ministero per stabilire le coperture. Non ci sono numeri aggiornati ma eravamo convinti a prescindere che fosse necessario impedire la possibilità attualmente prevista di comporre classi da 26/28 alunni. Diciamo che il problema è parzialmente superato nei piccoli comuni e nelle aree interne dove ci sono pochi studenti complessivamente, ma non nelle grandi aree metropolitane e nelle scuole più scelte dagli studenti”.
Perché è importante combattere il sovraffollamento in classe?
“C’è sicuramente un tema di benessere psicologico degli studenti e della didattica di qualità. Con classi più piccole è possibile fare quella didattica inclusiva e individualizzata che va oltre la sola lezione frontale, che invece con le classi numerose diventa impossibile mettere in pratica”.
Cosa prevede il testo che avete depositato?
“La proposta è molto semplice: chiediamo di stabilire un tetto massimo di 20 alunni per classe, che diventano 18 se ce ne è uno disabile e 16 se ce ne sono di più, perché abbiamo saputo di casi in cui ci sono 23 o 24 studenti e 6 o 7 alunni con disabilità nella stessa classe. Situazioni che rischiano di trasformarsi in classi invivibili o classi ghetto. Nella proposta abbiamo anche aggiunto un nuovo dimensionamento, diverso da quello approvato dal Ministero, che impedirebbe la chiusura e l’accorpamento dei plessi, perché prevediamo un istituto autonomo ogni 400 studenti. Infine, abbiamo anche allargato gli organici del personale Ata perché in molte scuole la sorveglianza e l’assistenza non sono presenti in tutti i piani e le aree degli edifici scolastici”.
Meno classi pollaio significa anche maggior richiesta di insegnanti. Come si concilia questa proposta con il problema delle cattedre vuote di cui si è discusso a inizio anno scolastico?
“Le cattedre sono scoperte perché il Ministero utilizza i precari e quindi le procedure per l’assegnazione sono più lunghe. Noi in questo modo pensiamo di allargare gli organici e quindi di coprirne un numero maggiore, ma il tema dei posti vacanti non ha nulla a che vedere con il numero di alunni per classe”.
Ad ogni modo, per realizzare quanto chiedete avrete bisogno di fondi. Dove prenderete queste risorse?
“La riforma dovrebbe entrare a regime in cinque anni. Abbiamo stimato delle coperture che per il primo anno sono pari a 249 milioni di euro, per il secondo a 857. Al suo punto massimo – nel 2028 – serviranno oltre 900 milioni e poi si andrà a scendere. Pensiamo che in prospettiva, considerati i dati demografici, questa proposta sarà compatibile con le risorse attualmente stanziate per l’istruzione. Abbiamo coperto questi costi da un lato con 500 milioni che prevediamo di prelevare dal fondo per le scuole private e paritarie, in particolare quelle elementari, medie e superiori mentre abbiamo lasciato intatte le risorse per le scuole dell’infanzia e dell’accoglienza degli alunni disabili, dall’altro con le risorse del fondo per interventi strutturali di politica economica normalmente usato anche dal Governo”.
L'EVIDENZIATORE
Il nostro spazio dedicato alla curiosità della settimana riguarda il portafoglio di mamme e papà alle prese con il ritorno a scuola dei figli. Per loro, infatti, l'inizio dell'anno scolastico è stato un vero e proprio salasso. La conferma arriva è dall'Osservatorio Costi Scolastici del portale Skuola.net, che ha fatto i conti in tasca alle famiglie degli alunni di scuole medie e superiori, rilevando una spesa media di 812,50 euro a studente, comprensiva di libri di testo, dizionari, materiale di consumo e accessori tecnici.
Si tratta, comunque, di un +3,6% rispetto al 2024. Un dato che, se da un lato contraddice le previsioni più funeste degli esperti del settore, dall’altro conferma una tendenza purtroppo consolidata: l’istruzione continua a diventare sempre più costosa. A pesare maggiormente sulla cifra totale sono i libri di testo, spesa che si attesta intorno ai 304,50 euro di media, registrando peraltro l’aumento più significativo, con un +5% rispetto al 2024, consolidandosi come l’esborso più gravoso per i genitori. Puoi confermare anche tu questa tendenza?
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A cura di Ida Artiaco e Annalisa Cangemi