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Ricevi la rassegna speciale a cura di Adriano Biondi

La catena di eventi più o meno la conoscete tutti. Fratelli d’Italia invita Elly Schlein e Giuseppe Conte alla consueta kermesse del partito, Atreju (quest’anno si svolgerà dal 6 al 14 ottobre a Castel Sant’Angelo); la segretaria del Partito democratico dice di essere disponibile a patto di potersi confrontare in un faccia a faccia con Giorgia Meloni; il leader del Movimento 5 stelle, nel ricordare di aver già partecipato in passato, rilancia a sua volta la proposta di confrontarsi direttamente con la presidente del Consiglio. A questo punto, Giorgia Meloni fa la mossa più intelligente politicamente, dicendosi disponibile a un confronto in contemporanea con entrambi: “Non spetta a me stabilire chi debba essere il leader dell’opposizione, quando il campo avverso non ne ha ancora scelto uno”. Una provocazione che Schlein respinge al mittente provando a contrattaccare: “Porti anche Salvini e facciamo il confronto di coppia, oppure anche Tajani e noi portiamo Fratoianni e Bonelli per un confronto di coalizione”. Conte, invece, la raccoglie: “Non mi sono mai sottratto al confronto, e certamente non lo farò adesso. Già lo scorso anno in occasione di Atreju avrei voluto confrontarmi con Meloni, ma non fu possibile: bene che si faccia quest'anno”.
Al di là del fatto che appare piuttosto probabile che il confronto a tre alla fine non si farà, siamo in presenza di un vero e proprio caso politico, che si inserisce in un momento piuttosto complesso. È una fase particolarmente delicata per la maggioranza, che non riesce a trovare una quadra in Parlamento sulla manovra, non ha ancora avviato la campagna referendaria sulla giustizia, dovrà far digerire all’opinione pubblica il tentativo di cambiare la legge elettorale per ragioni puramente di parte e rischia di essere travolta dall’inchiesta sull’operazione Mps-Mediobanca. Immaginate la sorpresa e la soddisfazione di Giorgia Meloni per aver ricevuto un assist del genere da quelli che dovrebbero essere i suoi avversari.
Perché, in effetti, di regalo si tratta. Basta leggere i giornali della destra per capirne i motivi e individuare la strategia presente e futura della presidente del Consiglio. Il suo ex portavoce, ora direttore di Libero Mario Sechi, gongola:
Il gioco degli scacchi prevede che immagini la prima mossa, la seconda, la terza, la quarta e così via per un numero di volte che all'inizio della partita, in ogni frangente, è indefinito e sempre più insidioso. Quando Elly Schlein all'invito di Meloni a partecipare alla festa di Atreju ha posto come condizione un confronto con la premier, ha dimenticato di pensare alle mosse successive, le sue e quelle dell'avversario. Credendo di aver fatto scacco matto, ha sottovalutato la possibilità di un ribaltamento dello scenario, così ieri è arrivata la sorpresa di Meloni: cara Elly, sono pronta a confrontarmi con te, ma non essendo ancora chiaro chi guiderà la sinistra alle elezioni politiche, mi pare giusto estendere il confronto a Giuseppe Conte. Un lampo deve aver attraversato il cervello dei geni che hanno consigliato a Schlein la mossa, il loro sguardo uguale a quello di chi vede sfumare la partita, qui c'è un alfiere, là una regina, a destra una torre, il Re non si può muovere, siamo in trappola!
Tommaso Cerno, su Il Tempo, addirittura titola con lo spin fatto filtrare da Fdi nelle chat con i giornalisti: “Se le primarie si fanno ad Atreju”. E attacca:
Nell'Italia dove lo sport nazionale non è il tennis ma il tiro alla Meloni capita pure che nell'ossessione di trovare il centro del campo i leader di Pd e M5s, Elly Schlein e Giuseppe Conte, provino a mettere in scena le primarie di coalizione nella trasferta di Atreju. Non amandosi fra loro devono trovare a casa del nemico terzo la gravitas politica per dare un senso all'unica sfida reale che il centrosinistra stia lanciando all'Italia. Che non è l'alternativa di governo ma l'alternativa di opposizione. Si tratta di scegliere il leader del campo largo fra un Pd che ritiene naturale che sia Schlein e Conte che ritiene naturale guidare la coalizione che lo vide premier. Peccato che senza Giorgia Meloni nessuno se li filerebbe.
Se è vero che si tratta di una versione parziale, allo stesso modo è innegabile che ancora una volta a dettare tempi e regole del dibattito politico sia stata Giorgia Meloni. Il punto, per l’opposizione è come uscire dall’impasse. È innegabile che Conte e Schlein stiano giocando due partite diverse e che le loro strade spesso finiscano per incrociarsi pericolosamente, danneggiando le campagne dell’opposizione e rafforzando Meloni. È esattamente quello che è accaduto nel caso di cui stiamo parlando.
La segretaria del Pd aveva lanciato l’ipotesi del confronto proprio conoscendo la ritrosia della presidente del Consiglio ai confronti, alle domande, alle interviste, al contraddittorio in generale. Aspettandosi qualche arrampicata sugli specchi, una “fuga” (come peraltro in parte è avvenuto), una dichiarazione sbagliata, per poi incalzarla. Per inciso, Schlein avrebbe avuto degli ottimi motivi per non prendere nemmeno in considerazione l'invito ad Atreju (qualcuno lo potete leggere anche voi qui), smascherando l'ipocrisia della "gentilezza tra avversari" e probabilmente acquisendo consenso tra i suoi militanti. Ha scelto di provare l'affondo.
Mossa azzardata, dunque, ma in ogni caso vanificata dal posizionamento di Conte, che Meloni ha potuto utilizzare come exit strategy. Intendiamoci, entrambe le linee di condotta dei leader del centrosinistra sembrano legittime, ma la gestione è stata quantomeno rivedibile, proprio perché si è finito con l’enfatizzare i problemi che ci sono. O meglio, quel nodo di fondo di cui scrive Alessandro De Angelis su La Stampa:
A destra c'è un premier in carica, a sinistra la competizione sulla leadership è financo su chi sale sul palco, figuriamoci che succede se Meloni inserirà nella legge elettorale l'indicazione del premier. La sua risposta a Schlein, oltre alla volontà di non legittimarla, manifesta già questa intenzione tutta politica. Anche qui, giusta o sbagliata che sia (e magari è sbagliata perché non si cambiano le leggi elettorali secondo le proprie convenienze), è comunque destinata a creare scompiglio dall'altra parte.
E poi c'è il tema del profilo. Avrebbe detto Meloni: scusate, io ho Salvini che abbaia, ma vota tutto sulle armi, chi di voi mi sfiderà, che fa su Kiev? E da questo punto di vista chi sostiene che la premier fugge dal confronto non dovrebbe fuggire dal chiarimento. Anzi, accelerarlo.
Ma chi è leader del campo largo, Conte o Schlein?
È inutile girarci intorno, finché non si avrà una risposta a questa domanda permarrà sempre una debolezza di fondo. Fino a qualche mese fa, lo riconosciamo, si trattava di un argomento strumentale, buono solo per i retroscena dei quotidiani. Il tempo però è quasi finito, le Politiche sono sempre più vicine e, nel frattempo, ci sono altri appuntamenti chiave (il referendum, le amministrative, il tentativo della destra di cambiare le regole del gioco). La "testarda unità" del centrosinistra non è uno slogan, ma una vera necessità.
In questo contesto, però, va rilevato che entrambi i contendenti alla leadership hanno le loro buone ragioni e, in modo del tutto legittimo, perseguono le loro ambizioni. È evidente che l'azzardo di Schlein avesse come obiettivo quello di polarizzare lo scontro con Giorgia Meloni e ricevere indirettamente una sorta di incoronazione come leader in pectore del campo largo. La segretaria del Pd, del resto, è in cammino da tempo e, come vi raccontavo qui, ha già sacrificato poltrone e incarichi nel partito per mettere nel mirino l'appuntamento del 2027. Di più, ogni sua scelta di posizionamento e comunicazione sembra rimandare alla necessità di porsi come "alternativa possibile" a Meloni.
Ma una strategia di questo tipo ha senso senza una chiara indicazione dall'interno della sua coalizione o, meglio ancora, dai propri elettori?
Non ne è convinto Conte, il quale condivide la stessa ambizione di Schlein, quella di guidare un campo largo finalmente competitivo. E che, in questo momento, ha la necessità di tenere alta l'attenzione mediatica sul Movimento 5 stelle, caratterizzandosi ancora di più sul piano della radicalità delle proposte e dell'approccio. Per questo, nella sua lettura, assistere da spettatore al confronto fra le due leader non avrebbe avuto alcun senso. Tanto più perché si sarebbe trattato di avallare la fuga in avanti dell'alleata-rivale, delegandole la rappresentanza dell'intera opposizione e regalandole un indubbio vantaggio competitivo in una fase molto delicata. Una fuga in avanti peraltro nemmeno concordata, come riportano i bene informati.
Cosa avrebbero potuto fare di diverso? Andare a vedere il bluff di Meloni sul confronto a tre? Proporre insieme un confronto di diverso tipo? Difficile, soprattutto nella considerazione che appunto di bluff si trattava. Oppure uscire dalla trappola, smetterla di muoversi sempre all'interno di narrazioni dettate da altri.
Per cominciare, parlarsi e concordare sempre una strategia comune, per non trovarsi nell'impasse in cui sono adesso. Dare almeno l'impressione di non subire l'iniziativa di Meloni, di non essere sempre costretti a rincorrerla su terreni complicati. Soprattutto, lavorare finalmente a una piattaforma comune, in cui siano stemperate le diversità e accorciate le distanze, in modo da non essere vulnerabili sul piano della coerenza e dell'unità. Parlare a più persone con più voci, ma con un solo obiettivo.
Insomma, un grande classico della storia del centrosinistra italiano: quello in cui due ragioni fanno un torto e a rimetterci c'è l'immagine di una coalizione che ancora una volta appare divisa da personalismi e protagonismi. Un'opportunità insperata per Giorgia Meloni, che non solo sembra in grado di potersi scegliere l'avversario (poi la discussione su "quale" dei due preferirebbe non è così banale come state leggendo ovunque…), ma può tirare il fiato in uno dei momento cruciali della sua esperienza a Chigi. Con una crescita azzerata e l'ennesima manovra deludente, con il rischio che la tempesta dell'inchiesta Mps-Mediobanca si abbatta sul governo, con le tensioni col Colle, con l'imprevedibilità di un Salvini ormai disposto a tutto, non è mai stato così concreto il rischio che si sgretoli la sua intera costruzione. Poter contare su un'opposizione divisa e litigiosa è una manna dal cielo.