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Il Quirinale ha un piano segreto per fermare Giorgia Meloni, impedirle di vincere le prossime Elezioni Politiche e, soprattutto, di salire al Colle una volta terminato il secondo settennato di Sergio Mattarella. È questa la tesi di una serie di pezzi pubblicati da La Verità, che in qualche modo ha messo nero su bianco quella che da qualche tempo è diventata la nuova teoria del complotto preferita dalla destra italiana e dai suoi giornali. E che mescola una serie di elementi di grande impatto presso l'opinione pubblica: le trame oscure delle eminenze grigie, i giudici politicamente impegnati, il lavoro dei poteri forti e dei burocrati europei, la grande finanza internazionale, tutti impegnati nel tentativo di sovvertire la volontà popolare. Gli ingredienti di un format di sicuro successo, dunque.

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Per impedire al centrodestra di rivincere nel 2027 ed eleggere il presidente della Repubblica, al Colle lavorerebbero a un’ammucchiata ulivista”, scrive il direttore Belpietro, aggiungendo alcuni dettagli decisamente interessanti:

L’operazione, a prescindere da chi la debba guidare, passerebbe però dalla rottura della coalizione di centrodestra (come nel 1994), per portare una parte centrista in braccio ai compagni. Obiettivo, impedire non solo una vittoria di Giorgia Meloni, ma che una maggioranza non di sinistra nella prossima legislatura possa decidere il sostituto di Sergio Mattarella. A quanto pare si ragiona di una ‘grande lista civica nazionale’, una specie di riedizione dell'Ulivo, con dentro tutti. Un'ammucchiata centrista per togliere voti alla Meloni. Ma forse questo potrebbe non essere sufficiente e allora il consigliere di Mattarella, Francesco Saverio Garofani, tre legislature come parlamentare del Pd, invoca la provvidenza. «Un anno e mezzo di tempo forse non basta per trovare qualcuno che batta il centrodestra: ci vorrebbe un provvidenziale scossone», sussurra l'uomo del Colle. In che cosa consista lo scossone non è noto, ma lo si può immaginare. Un no al referendum sulla giustizia potrebbe aiutare. La Corte dei Conti e altri giudici impegnati a mettere i bastoni fra le ruote all'esecutivo darebbero una mano. E magari, perché no, anche una bella crisi finanziaria come ai tempi di Berlusconi, con lo spread alle stelle”.

La base apparentemente documentale di questo retroscena è costituita da un altro pezzo, firmato con la pseudonimo Ignazio Mangrano, in cui si racconta di dichiarazioni (immaginiamo carpite in un colloquio privato, o certamente non destinato alla pubblicazione sui giornali), di uno dei consiglieri di Sergio Mattarella. L’autore riporta le preoccupazioni di Francesco Saverio Garofani, uomo vicinissimo a Mattarella, con delega alla difesa, circa la possibilità che Meloni vinca anche le politiche del 2027 e sia in grado di indicare al prossimo Parlamento il nome del nuovo Capo dello Stato (probabilmente il suo, come da mesi si vocifera nei corridoi dei palazzi della politica). Preoccupazioni che si tradurrebbero in un lavoro sottotraccia per favorire la nascita di “una grande lista civica nazionale”, una sorta di “nuovo Ulivo”, che possa contrastare il centrodestra a trazione meloniana. Ma non solo, perché il consigliere parlerebbe anche della leadership di questa lista, soffermandosi sulla figura di Ernesto Ruffini, ex capo dell’Agenzia delle Entrate e animatore di un nuovo movimento civico-politico. Il tutto auspicando “uno scossone” e dicendo di “credere nella provvidenza”.

Da retroscena a caso politico, il passo è stato breve. La ricostruzione de La Verità è stata infatti rilanciata da Galeazzo Bignami, capogruppo di Fratelli d'Italia alla Camera dei deputati, con un comunicato piuttosto improvvido, nel quale auspicava una non meglio precisata "smentita", attaccando nemmeno troppo velatamente i consiglieri del Quirinale. La risposta del Colle è stata immediata e durissima, al punto che sono dovuti intervenire Fazzolari e i maggiorenti di Fdi, per confermare la loro fiducia nei confronti di Mattarell.. Le opposizioni, intanto, avevano già chiesto chiarimenti a Giorgia Meloni, sottolineando che la gravità dell'attacco alla massima istituzione dello Stato non arrivava da un parlamentare qualunque, ma da un big con un ruolo di primissimo piano. Per quanto Bignami non sia nuovo a uscite improvvide, ecco.

Cosa può esserci di vero nella tesi del complotto

Ora, proviamo a ragionare con calma. Non c'è dubbio che La Verità faccia una grandissima confusione e sovrapponga piani diversi, per scelta editoriale, s'intende. Evocare lo spettro del complotto, disegnare i contorni di un vero e proprio piano eversivo cui dovrebbero prendere parte soggetti istituzionali e gruppi di interesse transnazionali, a partire dalle confidenze di un consigliere del Colle, appare decisamente eccessivo. Di più, non è credibile spacciare per eversione la considerazione secondo cui senza "uno scossone" Giorgia Meloni sarebbe la favorita alle prossime elezioni. Così come non è legittimo attribuire al Quirinale (addirittura in prima!) gli orientamenti e i pensieri privati di uno dei consiglieri del presidente Mattarella. Tant'è che persino Fratelli d'Italia, probabilmente dopo aver usato Bignami come trial balloon, ha dovuto alzare il piede dall'acceleratore. O almeno, tenere separate le due questioni: l'inopportunità delle parole del consigliere di Mattarella e l'integrità del Colle. L'incontro tra Meloni e il Presidente, al di là delle roboanti ricostruzioni fatte filtrare da Chigi, sarà servito a questo: a chiarire che non possono esserci ombre nei rapporti tra chi governa il Paese e chi lo rappresenta al massimo livello. Da entrambe le parti.

Ma c'è una cosa che va riconosciuta, con grande onestà intellettuale. Questo non è un nuovo caso "Arianna Meloni – Sallusti", ovvero l'invenzione dal nulla di un inesistente complotto contro la sorella della presidente del Consiglio, che di lì a poco si sarebbe concretizzato con un'indagine per traffico di influenze. Né, allo stato, appare sensata la ricostruzione opposta: quella della polpetta avvelenata (magari di matrice russa, come lascia intendere sia pur velatamente la vicepresidente del Parlamento Europeo Pina Picierno, parlando di "tempistica quantomeno curiosa"), o del dossieraggio ai fini di destabilizzare il quadro politico italiano.

Il giornale di Belpietro fa un'operazione legittima, ugualmente discutibile, ma con principi e obiettivi diversi. Perché il tema c'è eccome. Se ne parla da mesi, praticamente ovunque. Tiene impegnate le segreterie di partito, gli ambienti istituzionali, i gruppi di interesse, le lobby internazionali. E trova tutti d'accordo: le elezioni del 2027 disegneranno gli equilibri politici del Paese per i prossimi anni e avranno un impatto enorme anche oltre i confini nazionali.

Ve ne ho parlato più volte, davvero si tratterà di un turning point, per una serie di ragioni, ma soprattutto perché sceglieremo il Parlamento che avrà il compito di eleggere il nuovo Presidente della Repubblica, in un quadro internazionale mutato e nel pieno di quello che sarà il “massimo sforzo” della destra per cambiare radicalmente la costruzione europea.

La portata della sfida è chiara a tutti, anche ai consiglieri di Mattarella. Che, naturalmente, sono liberissimi di avere le proprie opinioni e persino i loro desiderata. È opportuno che li professino in pubblico, sia pure in occasioni informali (come pare essere il caso delle parole di Garofani), creando sovrapposizioni e zone di ambiguità, dato il loro ruolo e funzione? Garofani sostiene che non si ponga in alcun modo la questione, poiché si trattava di “chiacchiere tra amici”, cosa ben diversa dal suo integerrimo servizio nelle istituzioni al fianco di Sergio Mattarella. E, in effetti, non ha tutti i torti nel dire che dalle dichiarazioni riportate non è ravvisabile alcun complotto, né alcuna attività specifica contro la presidente del Consiglio.

Ma le sue parole, ancorché raccolte in un momento privato, non sono di poco conto e vanno inserite appunto in una riflessione più ampia sull’evoluzione del quadro politico italiano e su come partiti e movimenti si stiano riorganizzando per la partita più importante. Detto in altri termini, se è vero che l’unica lente per valutare le scelte e i comportamenti dei leader politici italiani (in tema di candidature, alleanze, attività parlamentare o di governo) è quella che porta inciso l'appuntamento delle Politiche del 2027, ciò vale anche per il Colle.

È indubbio, infatti, che nel percorso di avvicinamento all'appuntamento elettorale la pressione sul Quirinale salirà enormemente. Perché Mattarella è il garante della stabilità politica del Paese, prima di tutto. Ma anche perché è forse uno degli ultimi veri punti di riferimento per i cittadini. Criticabile, certamente, come sapete bene voi che seguite questo spazio, ma sul piano dell'etica, del rigore e della lealtà al Paese sostanzialmente intoccabile. Un garante che ha dimostrato di sapersi muovere con grande cautela ed equilibrio, costruendo una relazione importante con la presidente del Consiglio e intervenendo con misura nel dibattito pubblico, spesso anche fuori dai confini nazionali.

Proprio per questo, sbaglieremmo a pensare che il Capo dello Stato possa avere una funzione meramente di contorno nello scenario che si andrà a delineare nei prossimi mesi. Come ha già dimostrato negli ultimi anni, Mattarella ha chiaro che la stabilità e la correttezza dei processi democratici sono sue precise responsabilità. E, c'è da scommetterci, non esiterà a intervenire, nei limiti delle sue facoltà, se dovessero delinearsi minacce o insidie alla tenuta democratica del Paese. Ipotizzare che rientrino in questa casistica la vittoria elettorale del centrodestra nel 2027 o la vittoria del Sì al referendum sulla riforma della Giustizia è piuttosto ardito. Immaginare addirittura che a questi obiettivi stiano concorrendo soggetti diversi ed entità oscure è, allo stato, una vera sciocchezza. Suggerire agli elettori che i "poteri forti" vogliano impedire che Meloni abbia successo, infine, è addirittura controfattuale.

Cosa ben diversa è raccontare cosa si muove nel campo dell'opposizione alla destra, nel Paese e nella politica. E quanto tutto ruoti intorno alle scelte che farà il Partito democratico, unico soggetto politico, per storia, agganci e capacità di mobilitazione, in grado di costruire un'alternativa in così breve tempo. In tal senso, la data è sempre quella e l'obiettivo è addirittura esistenziale: rendere contendibile la partita, sia per provare a impedire che al Quirinale vada un big di Fratelli d'Italia (la stessa Meloni?), sia per contrastare il tentativo della destra mondiale di ridefinire completamente il progetto dell'Unione Europea.

La strategia del Pd per le Politiche del 2027

Ed è per questa data che si sta preparando anche Elly Schlein, appunto. Tutto ciò che sta facendo e ha fatto in questi mesi la segretaria del Partito democratico va analizzato con questa prospettiva.

Prima di tutto sul piano interno al partito. La convergenza con il suo ex avversario Bonaccini, la scelta di non forzare la mano e imporre propri candidati alle Regionali, il processo di riorganizzazione delle correnti a lei vicine (quasi tutti i giornali che si occupano di questioni interne ai partiti hanno rilanciato l’ipotesi della nascita di una “super-corrente” di orientamento schleiniano, proprio mentre quel che resta dei riformisti cerca di riorganizzarsi), le tante concessioni alla minoranza e una certa timidezza nel perseguire quel programma di rinnovamento radicale con cui si era presentata alla base: scelte non casuali, che rimandano alla necessità di rafforzarsi internamente e creare un legame più solido sui territori, dopo aver vinto a sorpresa le primarie. Sullo sfondo, la possibilità di anticipare il Congresso (previsto a ridosso delle politiche), sfruttando la debolezza della minoranza, ancora priva di un nome che abbia un certo appeal tra i militanti democratici.

Non in subordine, il lavoro in Parlamento, inteso come una grande vetrina per provare a parlare all'opinione pubblica. Sul punto, l'area che fa riferimento alla segretaria ha da tempo fatto una scelta chiara: privilegiare temi di grande impatto per la vita quotidiana degli italiani, dunque lavoro, sanità, salari, scuola; limitarsi al minimo indispensabile su materia decisamente più controverse e di minore impatto "pop" (politica estera, politiche industriali, concorrenza).

Infine, la mission più difficile: tenere insieme la coalizione, il campo larghissimo, contro tutto e malgrado tutto. Il ragionamento è semplice e si basa su calcoli matematici che prendono in considerazione l'ipotetica distribuzione del voto con questa legge elettorale. "Se si votasse col sistema del 2022" – spiegano da ambienti vicini alla segretaria – "noi possiamo vincere se teniamo tutti dentro, da Conte a Renzi, da Fratoianni agli altri gruppetti centristi". Anche se il centrodestra si mantenesse su questi volumi di consenso, ribadiscono: "Nelle città del Nord teniamo, al Centro ce la giochiamo ovunque e al Sud vinciamo tutti gli uninominali. È l'unica alternativa che abbiamo, non ci sono altri scenari in cui siamo competitivi, non ci sono altre alleanze possibili, non c'è all'orizzonte neanche la possibilità che loro si spacchino, perché Meloni è egemone, Salvini è ormai marginale e Tajani non romperà mai, almeno senza indicazioni dalla famiglia Berlusconi".

È questa una linea concordata con il Quirinale? Difficile. È questa una strategia che troverebbe il favore di diversi consiglieri del presidente Mattarella, il cui orientamento politico è peraltro noto da sempre? Certamente. È questa un'operazione segreta, che si pone al di fuori del normale gioco politico? Ovviamente no.

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