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Violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta)

Violenze a Santa Maria, inchiesta chiusa: 120 indagati, tra accuse tortura e omicidio colposo

Si chiude con 120 indagati la fase preliminare dell’inchiesta sulle violenze avvenute nell’aprile 2020 nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta). Dodici persone sono accusate di cooperazione in omicidio per la morte di un detenuto, morto in isolamento; tra loro l’allora capo della Penitenziaria Manganelli e l’ex provveditore campano Fullone.
A cura di Nico Falco
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Sono 120, tra poliziotti della Penitenziaria e funzionari del Dap, i nomi finiti nel registro degli indagati per l'inchiesta sulle violenze in carcere commesse dagli agenti sui detenuti il 6 aprile 2020 nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta). Oggi la Procura sammaritana, diretta da Maria Antonietta Troncone, ha depositato l'avviso di conclusione delle indagini preliminari. Le accuse, a vario titolo, sono di tortura, lesioni, abuso di autorità, falso in atto pubblico e cooperazione nell'omicidio colposo di un detenuto algerino.

Per la morte del detenuto extracomunitario, tra le vittime delle violenze, l'accusa coinvolge 12 indagati. Lamine Hakimi era deceduto il 4 maggio 2020, dal giorno dei pestaggi era stato tenuto in isolamento. La causa del decesso era stato un arresto cardiocircolatorio, conseguente a un edema polmonare acuto, causato da una grossa quantità di farmaci (tra oppiacei, neurolettici e benzodiazepine) assunti "in rapida successione e senza controllo sanitario". Tra gli indagati che rispondono di cooperazione in omicidio ci sono Gaetano Manganelli, al tempo comandante della Polizia Penitenziaria del carcere sammaritano, Antonio Fullone, ex provveditore regionale del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria e gli agenti che erano nel reparto di isolamento.

L'inchiesta aveva portato all'emissione di 52 misure cautelari il 28 giugno scorso. Inizialmente il decesso di Hakimi era stato classificato come "morte come conseguenza di altro reato", ma il gip Sergio Enea aveva bocciato l'impostazione ritenendo che, invece, si fosse trattato di suicidio. La Procura ha impugnato la decisione e ha aggiunto quindi un'altra grave contestazione al compendio accusatorio. Secondo la Procura il detenuto sarebbe stato prelevato dalla cella, picchiato selvaggiamente e portato in isolamento, dove avrebbe assunto i farmaci che ne avrebbero provocato la morte circa un mese dopo.

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