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Suicidio di Seid Visin, il padre: “Fu razzismo, porteremo la sua lettera nelle scuole”

Il padre di Seid Visin, il giovane ventenne eritreo suicidatosi a inizio giugno, rompe il silenzio e per la prima volta ammette: “Fu anche per il razzismo”. E annuncia che la lettera-sfogo del ragazzo, diventata virale e che risale al gennaio 2019, verrà letta nelle scuole e nei campi di calcio.
A cura di Giuseppe Cozzolino
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Il suicidio di Seid Visin fu causato anche dal razzismo. Lo ha spiegato il padre adottivo del giovane, Walter, a distanza di un mese e mezzo da quel tragico 3 giugno in cui il ragazzo decise di farla finita. Finora la famiglia aveva sempre negato che potesse essere stato il razzismo uno dei motivi che lo spinsero al suicidio, e come la lettera di Seid scritta su Facebook e in cui si sfogava proprio contro il problema del razzismo stesso risalisse al 2019, due anni prima di togliersi la vita.

Walter Visin ha però fatto un passo indietro e, per la prima volta, ammette che tra le cause del suicidio del giovane vi potesse essere anche il razzismo. Lo ha fatto in una intervista rilasciata al Corriere, nella quale spiega anche che "io e mia moglie abbiamo deciso che daremo voce al suo pensiero, porteremo avanti la sua lotta contro il razzismo e contro ogni tipo di discriminazione. Lo faremo a partire dalla sua lettera, la leggeremo e la discuteremo nelle scuole, nei campi di calcio, nelle conferenze. Lo faremo per lui e per ogni Seid che si sente fuori posto per il colore della sua pelle".

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Seid era nato in Etiopia, ma a sette anni era stato adottato dai Visin, a Nocera Inferiore, nel Salernitano. Aveva giocato nelle giovanili del Milan, dove era stato anche compagno di squadra di Gigio Donnarumma, poi in quelle del Benevento. Poi aveva smetto, era tornato a Nocera a studiare ed aveva continuato a dare calci ad un pallone nell'Atletico Vitale, squadra locale del calcio a cinque. In mezzo, le tante delusioni dovute anche al razzismo, come quando aveva iniziato a lavorare come cameriere ma aveva poi smesso subito, dopo che un uomo si era rifiutato di farsi servire da lui perché nero. E poi quella lettera, del gennaio 2019: "Ovunque io vada, ovunque io sia, sento sulle mie spalle come un macigno il peso degli sguardi scettici, prevenuti, schifati e impauriti delle persone". Una sorta di testamento che la famiglia del giovane, ora, vuole portare nelle scuole e nei campi di calcio, per combattere il razzismo in prima linea.

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