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Stefano, infermiere dell’ospedale Pellegrini preso a calci: “Tornerò, ma ho avuto paura”

Stefano, infermiere 31enne napoletano in forza all’ospedale Pellegrini di Napoli, racconta l’aggressione subita al pronto soccorso, durante il suo orario di lavoro. 21 giorni di prognosi e l’amarezza di non poter aiutare i suoi colleghi in un periodo così delicato.
A cura di Gaia Martignetti
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«Quando mi riprenderò? Tornerò al pronto soccorso, perché è quello il mio posto». Stefano Napolano è ancora scosso quando racconta a Fanpage.it l'aggressione subita ieri all'ospedale Pellegrini di Napoli. 21 giorni di prognosi che non sono di più, racconta, perché i suoi colleghi l'hanno letteralmente salvato. Nonostante la paura però, sa di aver svolto solo il suo dovere, senza risparmiarsi come da due anni a questa parte.  All'esterno dell'ospedale oggi hanno manifestato gli infermieri che tutti i giorni lavorano accanto a lui, con un cartello: "Noi siamo Stefano".

Stefano, cosa è successo ieri?

«Stavo facendo il mio turno, dalle 8 alle 14, ero al triage, il mio compito era assegnare la priorità con cui entrare al pronto soccorso. Arriva un paziente che si fa registrare per stato d'ansia reattivo, è un codice verde, i parametri erano normalissimi. Gli chiedo se voleva qualcosa per calmarsi, ma ha rifiutato. Poi dopo un'ora viene a chiedere quando sarebbe entrato. Gli spiego che non sarebbe avvenuto a breve perché c'erano molti codici gialli, patologie più "importanti". Il pronto soccorso era saturo di persone, siamo in un periodo storico particolare, il Covid ha aumentato ancora di più i tempi di attesa in pronto soccorso»

E poi cosa succede?

«Mi dice "se non entro tra dieci minuti faccio succedere il casino". Allerto le guardie giurate che valutano la situazione, vedono che era tranquilla e tornano al loro posto. Il paziente dopo una mezz'ora si avvicina di nuovo e chiede di entrare, ma gli dico che deve aspettare. Apre la porta e dice "adesso ti prendi le conseguenze delle tue azioni". Mi prende di peso e mi scaraventa a terra. Cado come una pera cotta, perché non ero pronto. Inizia a prendermi a calci. I miei colleghi vedono questa scena e lo bloccano. Sono stati dieci, quindici minuti di caos, poi è arrivata la polizia chiamata dai miei colleghi. Sono stato visitato, mi hanno dato 21 giorni di prognosi. Ho escoriazioni lungo tutto il lato destro del corpo, braccia e gambe. La cosa che mi fa più male è che siamo sempre visti come la valvola di sfogo. In quel momento mi sono trovato io, ma poteva esserci chiunque altro»

Per 21 giorni non potrai aiutare i tuoi colleghi in un momento così delicato, quindi.

«Adesso il pronto soccorso è ancora di più in affanno, perché non solo non ci sono io come unità, ma ci sono altri colleghi che si stanno contagiando per il Covid. Questa persona ha fatto un danno alla comunità intera non solo a me. Il Covid già ci sta decimando, poi ci si mettono anche le aggressioni»

Stamattina i tuoi colleghi hanno manifestato per te.

«Mi ha fatto piacere la solidarietà dei miei colleghi. Poteva essere chiunque di noi. Quando si tocca un operatore sanitario, si toccano tutti gli operatori sanitari. La paura c'è stata, ho una famiglia, una bimba di 2 mesi. E se avesse avuto un coltello? Che facevo? Con chi me la prendevo? Non è la prima aggressione che riceviamo e purtroppo non sarà l'ultima. Ma siamo stanchi, tutti, siamo arrivati a un punto di rottura»

Tornerai in pronto soccorso o hai paura?

«Prima ho lavorato nel 118, tornerò sicuramente al pronto soccorso, è la mia aspirazione più grande. L'emergenza è il mio lavoro».

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