“Siamo carne da lavoro. Lo Stato ci ha abbandonato”: la lettera del fratello di Emanuele Pisano, morto in cantiere

"Non ci hanno dato nemmeno un colpevole. Nemmeno una verità. Nemmeno un segnale di giustizia. Vi sembra normale? Vi sembra umano? Siamo cittadini o carne da lavoro?". È quello che si chiede Martino, il fratello di Emanuele Pisano, morto il 9 giugno 2023 in un incidente sul lavoro mentre era in un cantiere di Altavilla Irpina, in provincia di Avellino. Il 34enne, padre di una bimba che oggi ha 6 anni, era stato travolto da una trave trasportata da una gru; per lui non c'è stato nulla da fare.
A distanza di un anno, il fratello ha inviato una lettera a Fanpage.it per raccontare la sua amarezza, comune a tutti quelli che si sono trovati ad affrontare un lutto simile e si sono poi visti abbandonati dalla istituzioni. Un dolore che si è rinnovato con l'ultimo incidente avvenuto a Napoli, in cui sono morti tre operai, precipitati perché il cestello in cui si trovavano ha ceduto.
A Napoli, tre uomini sono precipitati da venti metri. Morti sul lavoro. Un’altra strage silenziosa. Un altro giorno maledetto che finisce senza un nome, senza una colpa, senza uno Stato che si prenda responsabilità. Io mi chiamo Martino Pisano. Il 9 giugno 2023 ho perso mio fratello, Emanuele Pisano, 34 anni, una figlia di 6. Anche lui è morto lavorando. Anche lui è caduto nel silenzio. Anche noi, come le famiglie di ieri, siamo rimasti soli con una bara chiusa e mille domande senza risposta.
La morte di Emanuele ci ha devastati. Ma la cosa più insopportabile è quello che è venuto dopo: l’indifferenza. Il disinteresse. Il peso di dover elemosinare giustizia.
In Italia morire sul lavoro è diventato normale. Fa più scalpore una buca in strada che un uomo schiacciato sotto una trave. Ogni settimana seppelliamo padri, figli, fratelli… e poi? Niente. Tutto riparte, tutto continua. Come se fossero morti per colpa loro.
Ma Emanuele non è caduto da solo. L’hanno fatto cadere. Con ogni casco non indossato. Con ogni controllo mai fatto. Con ogni sicurezza ignorata per guadagnare di più.È morto perché qualcuno ha scelto di risparmiare sulla sua vita. E oggi, a più di un anno dalla sua morte, non ci hanno dato nemmeno un colpevole. Nemmeno una verità. Nemmeno un segnale di giustizia. Vi sembra normale?Vi sembra umano?Siamo cittadini o carne da lavoro?
Io ve lo dico con tutto il cuore: non mi sento più parte di questo Paese. Perché uno Stato che lascia morire così i suoi lavoratori, e poi abbandona le famiglie nel buio, non è uno Stato. È un complice. Noi non vogliamo lacrime. Vogliamo rabbia. Vogliamo che chi legge questa lettera si senta in colpa. Sì, in colpa. Perché ognuno che tace, ognuno che si abitua, ognuno che dice “capita”, è parte del problema.
Guardate la foto di Emanuele. Guardate negli occhi sua figlia. E provate a dire che era solo “un incidente”. Provate a dormire sereni. Io no. Io non dormo. Io non mi fermo. Io lotto ogni giorno.Perché mio fratello non è morto per caso. È stato tradito da un sistema marcio, che ora finge di non conoscerlo.
Ma noi non ci dimentichiamo. Non perdoniamo. Non taceremo.
Emanuele Pisano aveva 34 anni. Era mio fratello. E in questo Paese la sua vita è stata trattata come se non valesse nulla.