“Mare Fuori racconta dolore e riscatto, a me piace” parla il direttore del carcere di Nisida

“A me ‘Mare fuori' piace, perché è un teen drama che racconta con forza storie e dinamiche di dolore e di riscatto proprie di certa adolescenza (e credo sia esattamente questo il motivo del suo meritato successo). È evidente a tutti che non è una docufiction e che non vuole raccontare il carcere minorile. Parliamo di una fiction”. Ne è convinto Gianluca Guida, direttore dell'Istituto Penale per i Minorenni di Nisida, al quale è ispirata la serie di successo, prodotta da Rai Fiction e Picomedia.
Il dirigente del Ministero della Giustizia interviene dopo l'intervista rilasciata a Fanpage.it dalla giovane Dragana, oggi lavoratrice di una cooperativa, libera e consapevole, la quale da minorenne era stata all’Ipm di Nisida.
“Sono felice per la donna che Dragana è diventata”
In un lungo post su Facebook, il direttore dell'Ipm di Nisida, Gianluca Guida, scrive:
Molti mi chiedono se sono a disagio per l'intervista rilasciata dalla giovane Dragana. No. Ho conosciuto Dragana quando è entrata a Nisida, ne ho seguito i percorsi di riscatto e di crescita, che ha fatto con noi e dopo di noi; sono felice per lei, per la donna che lei è oggi.
Sono dispiaciuto per ciò che il suo pensiero, così come riportato dalla testata giornalistica e condiviso da alcuni, esprime. La paura che se il carcere non viene raccontato per i suoi aspetti negativi, che sicuramente la privazione della libertà porta con sé, non esprima più la sua efficacia deterrente.
Come a dire che se nel carcere minorile i ragazzi e le ragazze possono avere delle opportunità, interagire con personale in grado di costruire relazioni empatiche e con una amministrazione che sa essere altro dalla burocrazia, tutto questo incentivi i ragazzi a delinquere.

“A me ‘Mare fuori' piace”
Poi, Guida aggiunge:
Ribadisco che a me "Mare fuori" piace perché è un teen drama che racconta con forza storie e dinamiche di dolore e di riscatto proprie di certa adolescenza ( e credo sia esattamente questo il motivo del suo meritato successo).
È evidente a tutti (tranne ad alcuni) che non è una docufiction e che non vuole raccontare il carcere minorile. Premesso quindi che parliamo di una fiction, veramente pensate che il numero di credenti sia aumentato grazie a personaggi forti e simpatici come i protagonisti di don Matteo o di che dio ci aiuti, o che la criminalità sia cresciuta perché Carabinieri e Polizia siano sempre raccontati come eroi buoni dal volto umano?
È evidente a tutti che tanti prodotti TV e cinematografici che fino ad ora hanno raccontato il carcere come dolore, sofferenza, prevaricazione non hanno certo inciso sulla funzione general preventiva o dissuasiva della pena. Eppure difronte a quel modo, non corretto e spesso lesivo della professionalità di chi in carcere ci lavora, di raccontare la pena non ho sentito analoghe critiche analisi.
E conclude:
Mi consola osservare che questi temi siano un assillo solo di alcuni adulti, mentre i ragazzi hanno saputo cogliere la verità di storie intense e forse amano Rosa Ricci perché è una ragazza oppressa dalla cultura familiare che trova il suo riscatto in un sentimento vero, Carmine perché ha la forza di dire NO, cardiotrap perché vive intensamente i suoi sentimenti, ed il comandante Massimo e la direttrice perché sono adulti che non si voltano dall'altra parte e si sporcano le mani nel cercare soluzioni ai bisogni degli altri. Come talvolta succede nella vita vera!