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La vera storia del brigante Sparviero: Giuseppe Schiavone è raccontato nella serie Netflix

La vera storia di Giuseppe Schiavone, detto lo Sparviero, il brigante che fece parte della banda di Carmine Crocco che imperverserò tra Puglia e Campania. Il suo personaggio è tornato popolare dopo la serie tv “Briganti” di Netflix, liberamente ispirata a quel periodo storico.
A cura di Giuseppe Cozzolino
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Giuseppe Schiavone, detto lo Sparviero
Giuseppe Schiavone, detto lo Sparviero

Giuseppe Schiavone, detto lo Sparviero, è uno dei nomi più noti del brigantaggio post-unitario nel Meridione. Pugliese di nascita, agì con la sua banda soprattutto nell'allora provincia di Capitanata, che comprendeva oltre a Foggia anche parti di Irpinia e Sannio. Proprio qui, avrebbe conosciuto Filomena Pennacchio, sua compagna che gli avrebbe dato un figlio e nata a San Sossio Baronia. E a Bisaccia trovò rifugio quando, tradito dall'ex amante e braccato dai militari, cercava rifugio.

Anche lui appare nella recente serie tv Netflix intitolata "Briganti", liberamente ispirata proprio al periodo del brigantaggio e dove molti personaggi sono di pure fantasia, con poche eccezioni tra cui Michelina Di Cesare e lo stesso Sparviero, che nella serie è interpretato da Marlon Joubert. Serie tv che, nonostante non sia una fedele ricostruzione storica ma un'opera di fantasia ispirata a quel periodo, ha riscosso molto successo negli ambienti neoborbonici.

Schiavone, da contadino a disertore

Era nato il 19 dicembre 1838 a Sant'Agata di Puglia, nel Foggiano (che all'epoca si chiamava provincia di Capitanata e comprendeva anche zone degli attuali Irpinia e Sannio). Apparteneva al mondo rurale, ma la sua famiglia non era indigente: coltivavano la terra, vivendone dei frutti. Ma non commerciavano, né facevano altre attività. Nel 1860, da semplice contadino fu inglobato nell'esercito del Regno delle Due Sicilie, ma vi restò poco: dopo la resa di Gaeta, nel febbraio 1861 rientrò a casa con il grado di sergente per poi rendersi irreperibile. Di lì a poco, agli ex soldati duosiciliano venne offerto l'arruolamento nell'esercito non più sabaudo, ma italiano. In molti aderirono: altri invece, preferirono disertare, come scelse di fare Giuseppe Schiavone.

Sparviero nella serie tv "Briganti" sul Netflix
Sparviero nella serie tv "Briganti" sul Netflix

I primi massacri con altri briganti

Una diserzione che spaccò anche la famiglia, che invece gli consigliava di aderire all'esercito del Regno d'Italia e giurare fedeltà al nuovo Stato: fu la strada che seguì il fratello Domenico, ma non Giuseppe Schiavone, che invece si abbandonò alla delinquenza e, poco dopo, si unì al brigantaggio. Era accaduto infatti che Schiavone avesse mandato del denaro al padre tramite un compaesano il quale, approfittando delle comunicazioni praticamente assenti, si era impossessato della somma.

Fu però scoperto e Schiavone, dopo averlo rapito, gli tagliò il lobo dell'orecchio destro per poi unirsi alle bande di briganti di Carmine Crocco. Nel 1862, come risulta da alcuni attestati del Comune di Sant'Agata, si era già reso responsabile di "riunione in banda di malfattori, grassazione e sequestro di persona in danno dei fratelli Granato di S. Agata" e di "furto di un cavallo in danno di Di Rienzo di S. Agata".

Un anno dopo, si erano aggiunte anche "attacco e resistenza alla forza pubblica; uccisione di quattro buoi e due muli, incendio della masseria di Lorenzo Mazzo di S. Agata", ed altro ancora.

Uno degli episodi più noti è riportato in un fascicolo dell'Archivio di Stato di Avellino:

Nel mattino del 23 gennaio 1863 la banda brigantesca capitanata dal masnadiero Giuseppe Schiavone, forte di 30 malfattori a cavallo ed armati, si diresse alla masseria dei fratelli Cristino a Montecalvo.

Nelle ore pomeridiane lo Schiavone, con Filomena Pennacchio ed altri due briganti, trasse alla masseria D'Agostino e richiese a lui un cavallo e del denaro, minacciandolo di sequestro.

I malfattori intanto, per esser sicuri, sequestrarono il figlio del D'Agostino e lo condussero nell'altra masseria dove stava il resto della banda [..] Verso le due della sera, mentre il messo spedito dal D'Agostino ritornava col cavallo per portarlo allo Schiavone, un drappello di Guardie Nazionali se ne impadroniva.

Immantinente due briganti Tedesco Fedele e Piccinno Antonio corsero ad affrontare la forza e sostennero per più tempo il fuoco contro la stessa, ma poi raggiunsero la banda dello Schiavone, cui narravano l'accaduto. Costui tratteneva ancora il sequestrato. Sopraggiunto il messo, che assicurò di esser caduto il cavallo nelle mani della forza, il sequestrato fu lasciato libero.

Poco innanzi che la Guardia Nazionale si impegnasse nell'attacco coi briganti Tedesco e Piccinno, i coniugi Angelo Maria Marra e Nicoletta Vergaro, si fermarono lunga pezza a discorrere coi medesimi; dimandati sui nomi dei briganti, dissero di non averli riconosciuti, e la forza li ritenne in criminosa corrispondenza coi briganti.

Gli ultimi anni di vita del brigante Sparviero

Non ci fu solo guerra nella sua vita: ebbe anche una compagna in Filomena Pennacchio, di San Sossio Baronia. E proprio in Irpinia continuarono le sue scorribande, fin quando l'esercito italiano non iniziò ad usare le maniere forti per reprimere il brigantaggio. A uno a uno, le bande finirono o arrestate o fucilate.

I briganti risposero con altrettanto ferocia: sebbene lo Sparviero passasse come uno dei più miti, partecipò al massacro di 20 soldati a Orsara di Puglia, ma anche a quella di 17 soldati a Francavilla in Sinni. Ma gli anni del brigantaggio erano ormai al tramonto: il 26 luglio 1864, grazie ad alcuni informatori, la sua banda venne intercettata da bersaglieri e cavalleggeri. Giuseppe Schiavone riuscì a scappare a Bisaccia, in Irpinia, nascondendosi presso l'abitazione di alcuni nostalgici neoborbonici che gli offrirono ospitalità.

Ma Rosa Giuliani, sua amante, lo tradì dopo che Schiavone l'aveva "messa da parte": fu lei a informare i militari che Giuseppe Schiavone si stava spostando verso Melfi, e dove fosse la masseria dove aveva appuntamento con altri briganti. La trappola scattò al suo arrivo nella masseria di Posta Vassalli: circondato e costretto ad arrendersi, depose le armi. Il Tribunale Militare Straordinario lo condannò a morte per fucilazione, da eseguirsi entro 24 ore.

Prima però, si racconta, chiese di vedere per l'ultima volta la sua compagna Filomena Pennacchio, che attendeva la nascita del figlio: gli fu concesso, e alla sua vista le avrebbe quindi chiesto perdono, abbracciandola per l'ultima volta. Il giorno successivo, il 28 novembre 1864, a pochi giorni dal compimento del suo 26esimo compleanno.

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