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Chi era Michelina Di Cesare: storia vera della brigantessa raccontata nella serie Briganti su Netflix

Michelina Di Cesare, una delle briganti più note di sempre, torna a far parlare di sé dopo l’uscita della serie “Briganti” su Neflix, ispirata a quella fase storica.
A cura di Giuseppe Cozzolino
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Michelina Di Cesare
Michelina Di Cesare

Michelina Di Cesare è, da sempre, uno dei nomi più noti legati al fenomeno del brigantaggio. Tornata popolare con l'uscita della miniserie Netflix intitolata "Briganti", liberamente ispirata al fenomeno del brigantaggio (i personaggi sono tutti inventati, così come parte della storia, eccezion fatta per la presenza non da protagonista della stessa Michelina Di Cesare, interpretata da Matilda Lutz), e particolarmente apprezzata dai nostalgici borbonici, la sua storia è una delle più popolari anche per la decisione, ancora oggi oggetto di dibattito, di esporne il cadavere denudato nella piazza del paese, nei pressi della chiesa, come monito per la popolazione.

Un episodio confermato anche da alcune fotografie che fecero il giro della stampa italiana già all'epoca dei fatti, che mostravano il volto della 27enne casertana tumefatto, svestito e con segni riconducibili forse a pestaggi e torture. Michelina Di Cesare, classe 1841, venne uccisa in un conflitto a fuoco a fine agosto del 1868, a soli 27 anni, gran parte dei quali trascorsi tra furti e rapine, finché non divenne la compagna di Francesco Guerra, ex soldato borbonico che si unì con altri uomini alle bande di briganti che già infestavano i boschi del Matese.

Il brigantaggio, un fenomeno pre-Unitario

Il fenomeno del brigantaggio è da sempre uno degli argomenti più delicati da trattare: ma l'errore più comune è quello che ne fa coincidere la sua nascita con la fine del Regno delle Due Sicilie. In realtà, il brigantaggio era già ben presente sia in Italia sia nel Meridione.

Già nel 1821, quindi ben 40 anni prima della fine dello stato duosiciliano, lo stesso Ferdinando I di Borbone aveva varato leggi per reprimere il fenomeno in maniera brutale: vennero nominati quattro corti marziali per i territori continentali del Regno, (la Campania fu affidata al maresciallo Saluzzi; l'Abruzzo, il Molise e la Terra di Lavoro al maresciallo Mari; la Basilicata e la Puglia al maresciallo Roth; la Calabria al maresciallo Pastore), e vennero diramate "liste" pubbliche con i nomi dei briganti. E non si procedeva all'arresto: andavano uccisi a visti, e anche i privati cittadini potevano farlo. In cambio, si ricevevano 200 ducati se si uccideva il capobanda, 100 per il semplice brigante. E per "banda" si intendevano anche gruppi formati da soli tre uomini, di cui uno solo fosse armato.

La serie tv Briganti su Netflix
La serie tv Briganti su Netflix

La dissoluzione del Regno delle Due Sicilie e l'arrivo tra i briganti di ex soldati

Con la fine del Regno delle Due Sicilie, il fenomeno entrò in una fase nuova: se prima i briganti erano solo persone appartenenti per lo più alle classi rurali, quelle condannate ad una vita di stenti e sopravvivenza difficile, ad essi si aggiunsero finanziamenti cospicui da parte in primis dal governo borbonico in esilio, in secundis dagli ex murattiani indipendentisti. Entrambi avevano uno scopo comune, ovvero rendere il Sud ingovernabile: i primi, però, per favorire il ritorno dei Borbone, i secondi affinché tornasse al potere la dinastia di Gioacchino Murat, morto fucilato pochi decenni prima.

Entrambi, inoltre, godevano dell'appoggio clericale, che temeva che prima o poi il movimento unitario italiano si sarebbe rivolto anche contro Roma e dunque il Sommo Pontefice. Insomma, più che una guerra "di resistenza" come qualcuno ha provato a sostenere, il brigantaggio fu l'inasprirsi di un problema endemico nel Meridione d'Italia, che tuttavia venne amplificato da una gestione in molti casi brutale da parte del neo nato Regno d'Italia, che decise di combattere il problema quasi esclusivamente con la forza, finendo così per ampliare le "riserve" dei briganti, che molto spesso avevano l'appoggio della popolazione essendo persone del posto, e che dunque potevano "sparire" dalle ricerche sabaude con facilità, mettendo a loro volta in pericolo anche i cittadini inermi, come nel caso di alcuni eccidi avvenuti proprio durante la durissima repressione sabauda del fenomeno.

Michelina Di Cesare, la "regina" dei Briganti

Michelina Di Cesare, come detto, era nata il 28 ottobre 1841 a Caspoli, frazione di Mignano Monte Lungo. Non ebbe un'infanzia facile: figlia di braccianti della Terra di Lavoro, fin da piccola commise piccoli reati legati alle condizioni di estrema povertà in cui viveva, come gran parte dell'intero Meridione, tanto da essere stata denunciata per furtarelli ed abigeato (il furto di bestiame). A vent'anni si sposò, ma rimase vedova pochi mesi dopo. Nel mentre, avvenne l'Unità d'Italia, con i resti dell'esercito borbonico cui fu concesso di entrare nel nuovo esercito, quello italiano: Francesco Guerra fu tra i soldati che rifiutò il giuramento e scappò, diventando disertore e rifugiandosi in zona. Fu qui che conobbe Michelina, che ne divenne la compagna e lo seguì nelle sue scorribande nell'Alto Matese, assieme agli altri briganti.

L'assalto a Galluccio vestiti da carabinieri

Tra gli episodi più noti, ci fu l'assalto al paese di Galluccio: una parte della banda si vestì da carabinieri, fingendo di star portando briganti arrestati. In realtà lo erano tutti, ma con questo trucco riuscirono ad entrare in paese senza problemi, assaltando la casa di tutti coloro che in paese possedevano beni di valore (in particolare, l'abitazione di un liberale di nome Cordecchia, dove entrarono in possesso di 10mila ducati), e risparmiando solo la chiesa. Nel 1865, il fenomeno del brigantaggio era già entrato nella fase calante: tra defezioni e fucilazioni, in pochi continuarono lungo la strada del brigantaggio.

E per questi "irriducibili", lo Stato centrale mandò il generale ligure Emilio Pallavicini di Priola, uno degli uomini più noti dell'esercito: aveva partecipato a tutte le guerre di indipendenza italiane fin dal 1848, compresa la liberazione del Veneto dagli austriaci nel 1866, due anni prima che venisse mandato "con pieni poteri" al Sud per combattere gli ultimi briganti. Pallavicini usò metodi spesso al di sopra delle leggi per reprimere il fenomeno del brigantaggio: l'obiettivo principale, Carmine Crocco, fu l'unico che gli sfuggì perché cercò asilo a Roma (ma qui venne comunque catturato, perché Pallavicini prese parte nel 1870 anche alla guerra contro il Pontefice che portò alla conquista di Roma). Ma negli altri casi, Pallavicini fece letteralmente tabula rasa: arresti e fucilazioni nella Terra di Lavoro portarono all'annientamento totale del brigantaggio. E anche Michelina Di Cesare fu tra questi.

Il 30 agosto del 1868 e la morte della brigantessa

Tutto avvenne il 30 agosto del 1868, quando un informatore del posto, fece sapere che in zona c'era la banda di Francesco Guerra, tra i pochi scampati alle battaglie campali avvenute tra marzo ed aprile che avevano ridotto i briganti a pochi resti nel territorio casertano. La cronaca di quello che accade è riportata negli atti del  Comando Generale delle Truppe per la Repressione del Brigantaggio nelle Provincie di Terra di Lavoro, Aquila, Molise e Benevento intitolato "Distruzione della Banda Guerra", del 6 settembre 1868:

Erano le 10 di sera, pioveva a dirotto ed un violentissimo temporale accompagnato da forte vento, da tuoni e lampi, favoriva maggiormente l'operazione, permettendo ai soldati di potersi avvicinare inosservati al luogo sospetto; da qualche tempo si stavano perlustrando quei luoghi accidentati e malagevoli perché coperti da strade infossate, burroni ed altri incagli naturali, già si perdeva la speranza di rinvenire i briganti, quando alla guida [Giovanni De Cesare, cugino di Michelina] venne in mente di avvicinarsi a talune querce che egli sapeva alquanto incavate, ed entro le quali poteva benissimo nascondersi una persona. […]

Dopo aver scorto due briganti appoggiati agli alberi secolari, il capitano Cazzaniga si gettò all'attacco: afferratone uno pel collo, lo stramazza al suolo e con lui addiviene ad una lotta a corpo a corpo, finché venne dato ad un soldato di appuntare il suo fucile contro il brigante e di renderlo cadavere […]

Quel brigante fu subito riconosciuto pel capobanda Francesco Guerra, ed il compagno che con lui s'intratteneva, appena visto l'attaccò, tentò di fuggire; una fucilata sparatagli dietro dal medico di Battaglione Pizzorno lo feriva, ma non al punto di farlo cadere, che continuando invece la sua fuga, s'imbatteva poi in altri soldati per opera dei quali venne freddato. Esaminatone il corpo, fu riconosciuto per donna e quindi per Michelina De Cesare, druda del Guerra […]

Il giorno dopo, i cadaveri dei quattro briganti vennero esposti nella piazza di Mignano, guardati da soldati armati. Quello di Michelina Di Cesare presentava ferite compatibili, forse, con un violento pestaggio cui era stata sottoposta probabilmente dopo la cattura. Il suo corpo, denudato, fu esposto davanti alla chiesa, a monito per la popolazione così come quelli degli altri. Le fotografie del corpo della donna, che aveva 47 anni, fecero il giro della stampa italiana. Il Generale Pallavicini fu descritto come "gongolante di gioia", commentando la cattura e l'uccisione della banda con "Ecco i merli, li abbiamo presi".

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