La camorra aveva creato un call center per vendere la droga a Milano: 2.500 clienti, 100mila euro al mese

Lo spaccio di droga era organizzato come un call center: centralinisti che prendevano le prenotazioni e le giravano ai corrieri, che provvedevano alla consegna a domicilio da Marcianise, nel Casertano, fino a Milano. È uno dei particolari che emerge dalle indagini sul clan Belforte di Marcianise e che ha portato all'emissione di una ordinanza nei confronti di 28 persone (16 in carcere, 7 ai domiciliari e 8 raggiunte da obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria). Il provvedimento, emesso dal gip di Napoli su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, è stato eseguito oggi dai carabinieri della Compagnia di Marcianise. Le persone indagate sono in totale 71.
Cocaina a domicilio da Caserta a Milano
Gli indagati, secondo la ricostruzione degli investigatori che ha portato all'ordinanza, avevano allestito i call center in appartamenti appositamente affittati. Il clan Belforte, alleato al cartello dei Casalesi, oltre a spacciare a Marcianise e nei comuni limitrofi, avrebbe allestito un giro di droga anche a Milano, che sarebbe stato gestito dal gruppo che farebbe capo al 42enne Giovanni Buonanno: un affare che valeva 100mila euro al mese e che poteva contare su 2.500 clienti.
La vendita avveniva tramite i call center: il centralinista inviava, in codice, l'ordine per la consegna al pusher, che si occupava della consegna a domicilio. Nel corso delle indagini diversi spacciatori sono stati arrestati in flagranza nel capoluogo lombardo. La cocaina veniva acquistata a Crispano, in provincia di Napoli: il fornitore individuato è un affiliato al clan Castaldo.
Il finto matrimonio per il permesso di soggiorno
Dalle indagini è emerso che alcuni degli indagati avrebbero anche organizzato un falso matrimonio, previo pagamento, tra un cittadino italiano e una donna straniera, al fine di far ottenere a lei il permesso di soggiorno e successivamente la cittadinanza italiana. Buonanno avrebbe infine minacciato un collaboratore di giustizia, Claudio Buttone, per fargli rendere false dichiarazioni durante il processo per l'omicidio di Andrea Biancur, nel quale è imputato, e che è in corso alla Corte di Assise di Appello di Napoli.