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Il vitalizio destinato alle vittime di camorra finiva nelle tasche dei parenti del boss

Il vitalizio destinato ai familiari delle vittime di camorra era percepito anche da moglie e suocera di un boss del clan Gionta di Torre Annunziata. Il padre e marito delle due donne era rimasto ucciso nella Strage di Torre Annunziata del 26 agosto 1984, ma poi le due donne si erano imparentate proprio con un boss del clan Gionta, nascondendolo per percepire l’indenizzo.
A cura di Giuseppe Cozzolino
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Hanno ricevuto oltre 160mila euro dallo Stato come familiari di vittime della camorra. Ma in realtà le due donne, entrambe oggi indagate, sono risultate essere moglie e suocera di un affiliato al clan Gionta. La vicenda è emersa dopo lunghe indagini, ed affonda le sue radici addirittura nella strage di Sant'Alessandro del 26 agosto del 1984 a Torre Annunziata. Le due donne, madre e figlia, sono ora indagata per indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, mentre la cifra sequestrata è pari a 166.174,84 euro, ovvero il vitalizio ricevuto dalle due donne senza averne il diritto.

La vicenda, come detto, risale a diversi anni fa: il 26 agosto del 1984, a Torre Annunziata, ebbe luogo la cosiddetta strage di Sant'Alessandro (conosciuta anche come strage del Circolo dei pescatori), che qualche anno fa venne ricostruita anche nel film "Fortapàsc", dedicato alla memoria del giornalista Giancarlo Siani. Una strage che aveva come obiettivo colpire al cuore il clan Gionta di Torre Annunziata ed il suo massimo esponente: Valentino Gionta. Il boss riuscì a sfuggire per un soffio ai sicari (giunti nascosti su un autobus rubato pochi giorni prima, che passò davanti al circolo con il cartello "Gita Turistica"), ma sul selciato rimasero otto morti e sette feriti, alcuni dei quali totalmente estranei ai fatti di camorra.

Tra le vittime c'era anche A.F., per la cui moglie e figlia lo Stato italiano aveva dato accesso al vitalizio riservato alle vittime di camorra, che hanno iniziato a percepire dal febbraio 2002. Ma in realtà la figlia della vittima, già dal 1999, si era sposata con un esponente del clan Gionta, che dal 2017 è già in carcere per vari reati. Matrimonio che, spiega la Guardia di Finanza, era stato "taciuto" per evitare appunto di perdere il vitalizio. Nel 2009, la Prefettura aveva sollecitato le due donne ad aggiornare le proprie situazioni familiari, affinché confermassero di aver diritto al vitalizio. Ma loro non avevano risposto ed anzi, pochi mesi dopo la donna aveva simulato una separazione consensuale, proprio per continuare ad incassare il vitalizio.

Ma le indagini hanno evidenziato che il rapporto delle due con l'uomo del clan Gionta fosse saldo e duraturo: non solo la separazione era risultata di fatto fittizia, ma anzi i due avevano avuto anche un'altra figlia nel periodo di "separazione". Inoltre, moglie e figlia della vittima della strage del 1984, avevano continuano ad avere colloqui anche in carcere con l'uomo. E così, una volta raccolte tutte le prove, sono scattati i sequestri da parte della Guardia di Finanza, su mandato della Procura della Repubblica di Torre Annunziata.

"Nell'apprendere del vitalizio per vittime di camorra ricevuto da moglie e suocera di un affiliato al clan Gionta", si legge in una nota di don Tonino Palmese, "il nostro primo e unico pensiero va ai familiari di tutte le vittime innocenti della criminalità che non hanno mai goduto dei benefici previsti dalla legge per via di parentele o affinità con persone coinvolte in fatti criminali di cui spesso le stesse vittime ignoravano persino l'esistenza. Da anni portiamo avanti una battaglia finalizzata a un duplice obiettivo", ha spiegato il presidente della Fondazione Polis della Regione Campania. "da un lato, fare in modo che tutte le vittime innocenti dei reati intenzionali violenti abbiano pari dignità giuridica, sulla base di quanto ci viene prescritto dalla normativa europea; dall'altro, garantire i benefici previsti dalla legge a tutte le vittime innocenti della violenza criminale. Quanto appurato in merito al vitalizio ai familiari di un boss ci lascia senza parole, ma nello stesso tempo ci da' la spinta a proseguire il nostro impegno con rinnovato vigore. Lo dobbiamo", ha concluso don Tonino Palmese, "alle tante vittime innocenti della criminalità della Campania. E in modo particolare a quelle che non hanno ottenuto ancora giustizia".

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