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Elsa e noi: la complicità degli indifferenti dietro il dramma della bimba con braccia e gambe spezzate

Elsa, ma anche i suoi fratelli, andranno incontro a ripercussioni psicologiche in conseguenza dei maltrattamenti subìti nell’indifferenza generale.
A cura di Anna Vagli
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Elsa, nome di fantasia, ha nove anni, non parla e non cammina. Invisibile per la sua famiglia e, fino a qualche giorno fa, anche per la società. Dimenticata da tutti, tranne dai fratelli che saltuariamente la nutrivano con latte e biscotti. Una bambina che non ha mai conosciuto il significato della parola accudimento e che, in tutta la sua vita, non ha ricevuto alcun tipo di assistenza. Nonostante la richiedessero i segni di fratture scomposte di braccia e gambe, conseguenza probabilmente di violenze ancora da accertare. Elsa ha la spina dorsale deformata perché neppure ha mai dormito in un letto. Fino all’intervento dei servizi sociali avvenuto solo una manciata di giorni fa.

Gli interrogativi oggi sono troppi. Così come le conclusioni da trarre.  Partiamo, però, con l'affermare che l’assuefazione sociale alla violenza non ci deresponsabilizza. E, dunque, come corollario, consideriamo anche la possibilità di attribuire all’indifferenza lo stesso mandato espiatorio di chi decide deliberatamente di abusare dei diritti di genitore per coercizzare quelli dei propri figli.

Che cosa ne sarà di Elsa?

Da quando si trova presso l'associazione "La Casa di Matteo", Elsa sta imparando a sorridere. Dopo aver iniziato a mangiare gli omogenizzati, negli ultimi giorni è passata allo svezzamento. A nove anni non ha mai mangiato in un piatto e non ha imparato ad esprimersi con le parole. I danni e le inabilità fisiche subite, dunque, sono sotto gli occhi di tutti e refertate dai medici. Ma la bambina è stata totalmente annientata anche nella sfera psichica. È terrificante anche solo provare ad immaginare la trascuratezza nella quale è cresciuta. Colpita dal più atroce e colpevole degli abbandoni: quello a sé stessa. Una storia di degrado sociale e di pericolosa trasformazione della famiglia.

Che, da luogo più sicuro per un bambino, si trasforma sempre più spesso nel posto più pericoloso. Le condizioni di rifiuto genitoriale – ormai acclarate –  nelle quali ha vissuto Elsa avranno ripercussioni incontrovertibili sulla sua sfera psicosociale. Esponendola all’elevato rischio di sviluppare un disturbo post traumatico da stress. Quest’ultimo sarebbe in grado di condannarla per tutta la vita a fare i conti con i turbamenti e le atrocità patite. Ci vorrà tempo perché la piccola è una teste vittima. Ma con un adeguato sostegno psicologico la sua testimonianza sarà dirimente per ricostruire in maniera certosina i profili di responsabilità dei suoi genitori.

I fratelli di Elsa, vittime secondarie

È verosimile ipotizzare che anche i suoi fratelli abbiano inevitabilmente subito dei gravi pregiudizi dal punto di vista emozionale. Sicuramente in una scala minore rispetto ad Elsa, ma con conseguenze non meno impattanti sul loro normale sviluppo psicofisico.Difatti, un bambino che cresce in un ambiente nel quale i comportamenti ingiusti e i maltrattamenti si verificano con una certa regolarità tende a normalizzarli. Per questo, di tanto in tanto, erano i fratelli a nutrire Elsa con latte e biscotti. E, quindi, a farsi carico della situazione Più nel dettaglio, le famiglie disfunzionali, come quella in cui hanno vissuto, creano un contesto tossico che intellettualmente ed emotivamente è destinato ad invalidare tutti i suoi componenti. Non soltanto chi ha subito l’abuso in prima persona. Pertanto, anche i fratelli di Elsa sono rimaste vittime della tossicità familiare e, come tali, dovranno essere debitamente seguiti e supportati.

La complicità degli indifferenti e l’inerzia delle istituzioni

La nostra società è ormai anestetizzata rispetto al dolore reale degli altri. O, almeno, lo resta fino a quando la sofferenza non si palesa su scala nazionale grazie all’informazione. Solo allora, come in questo caso, subentra l’indignazione. Ma dove ha vissuto Elsa fino ad una settimana fa?  Dove erano le istituzioni? L’elenco è corposo e chiama in causa l’intero sistema. Dalla totale mancanza di efficienza da parte del servizio sanitario nazionale passando per il pediatra ed il relativo controllo sulle vaccinazioni. Mai fatte. Per non parlare degli insegnanti e della scuola che Elsa non ha mai frequentato.

Possibile che lo Stato intervenga soltanto quando le conseguenze sono irreparabili? La cronaca degli ultimi anni – soltanto qualche mese fa l’opinione pubblica era rimasta attonita di fronte alla vicenda della ragazza di Aiello del Sabato segregata da quattro anni – denuncia come sempre più spesso si verifichino mutamenti pericolosi delle famiglie. Interi nuclei familiari che si ripiegano su sé stessi in danno dei loro componenti più deboli e fragili: i figli. Essere genitori è indubbiamente faticoso. Richiede sacrifici e rinunce, ma soprattutto necessita di padri e di madri che sappiano esserlo. Di vicini che non si riducano a spettatori ciechi e sordi, ma che si impegnino ad essere più vigili. Per non raccontare più storie di questo tipo. Per non lasciare che altri bambini sfortunati cadano vittima di una trascuratezza che, col tempo, può essergli fatale.

È forse azzardato parlare di “complicità degli indifferenti”? Sicuramente non è più tollerabile nascondersi dietro canoni inopportuni di perdonismo. I danni subiti da Elsa, e indirettamente anche dai suoi fratelli, sono destinati ad essere incancellabili. Tale dovrà essere anche la condanna.

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