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Le notizie sugli stupri al parco verde di Caivano

Che cosa c’è alla base degli stupri di Caivano e perché è necessario sradicare il fortino della violenza

Perché gli stupri di Caivano sono anche (e non solo) una conseguenza del degrado ambientale del Parco Verde.
A cura di Anna Vagli
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Lo stupro è stupro e la violenza è violenza. Si tratta di un assioma. Di un qualcosa di evidente che certamente, e per definizione, non ha bisogno di essere dimostrato. Ma i fatti di Caivano e quelli di Palermo, seppur lo specchio di una cultura prevaricatoria, non sono perfettamente sovrapponibili. I primi sono frutto di un degrado anche ambientale, i secondi riconducibili per lo più alla logica della mascolinità performativa.

Per questo, parlare di degrado ambientale con riferimento agli stupri delle due cuginette di dieci e dodici anni da parte di un gruppo di adolescenti nell'hinterland Nord di Napoli significa anzitutto parlare di sovranità. E vi dico subito perché. In uno Stato di diritto, quello che si è sviluppato in tutti i Paesi civilizzati nei secoli, la sovranità è un potere che i cittadini delegano ad un’autorità superiore. Allo Stato, appunto. Lo Stato, quindi, è titolare di un diritto esclusivo. Quello di prendere decisioni politiche, economiche e sociali. Dunque, capirete, senza sé e senza ma, i fatti del Parco Verde di Caivano ci mettono di fronte ad un problema che è anche costituzionale.

Questo perché uno stato sovrano ha l’autorità e la responsabilità di applicare la legge e di mantenere l’ordine all’interno dei propri confini. Incluse le aree in cui la stessa autorità statale è minacciata da organizzazioni criminali. Non è retorica o filosofia astratta, ma è l’evoluzione storica che ha portato alla nascita del concetto di sovranità. Altrimenti, il rischio è quello di tornare nello stato di natura di cui parlava il filosofo Thomas Hobbes. Dove ogni uomo è lupo per un altro uomo. Homo homini lupus, scriveva lo statista inglese.

Uno stato di natura che, con i recenti fatti del Parco Verde, sembra però mai essere stato eliminato alla periferia di Napoli. Dove, è evidente, è mancato un totale esercizio della sovranità statale. Lo sappiamo dalle cronache. La zona dell’hinterland napoletano, caratterizzata da palazzoni costruiti con i fondi statali dopo il terremoto del 1980, è nota non solo per essere una succursale dello spaccio di stupefacenti di Scampia e Secondigliano. Ma anche per le storie di abuso e violenza che hanno riguardato i piccoli Fortuna Loffredo e Antonio Giglio. Riusciranno i blitz delle ultime ore a sradicare le roccaforti come quella di Caivano?

Il problema è sicuramente multidimensionale e su di esso ha acceso i riflettori anche il New York Times: in un articolo dal titolo «Rape cases seize Italy’s attention and expose cultural rifts», oltre a fare cenno ai fatti di Palermo e Caivano, il Nyt parla dell’incapacità dell’Italia di sradicare veri e propri fortini della violenza. Come quello napoletano, appunto.

Che cosa c’è alla base degli stupri di Caivano?

Sulla base del ragionamento, quindi, è evidente come a Caivano il problema non sia solamente culturale. A differenza di quanto accaduto a Palermo. Nel primo caso, infatti, la questione è anche sociale ed ambientale. È frutto di uno Stato che non è stato in grado negli anni di affermare la propria sovranità, lasciando zone franche in mano alla criminalità. Fortini depravati che con gli stupri di fine agosto hanno toccato l’inimmaginabile.

Attenzione, non c’è nessuna legge universale che attribuisca la devianza sessuale esclusivamente ad un ambiente che nasce come criminoso. Ma è un dato inconfutabile che nella periferia partenopea la violenza è da anni all’ordine del giorno. Non è neppure questione di richiamarsi a teorie sociologiche, quindi. Ma allo stesso modo non è retorica riferirsi a certi comportamenti con l’espressione “è questione di dove nasci”.

Perché se un bambino sviluppa la propria personalità in quartieri dove la cultura criminale è pervasiva, è sicuramente più incentivato e spinto ad assumere comportamenti deviati. Inclusi quelli di natura sessuale. Certi atteggiamenti si apprendono attraverso l’osservazione e l’interazione proprio con il contesto sociale in cui si vive. Qui si inserisce anche la questione del cosiddetto rinforzo positivo tra i pari, inteso come la ricerca di accettazione da parte degli altri.

In altre parole, in ambienti come quello di Parco Verde, i giovani cercano di guadagnare il rispetto e la protezione della comunità attraverso il coinvolgimento in comportamenti devianti. Creando così un contesto in cui la devianza sessuale finisce con l’essere valorizzata come parte dell’identità di uno o più individui all’interno dello stesso ambiente. La ricerca di un senso di identità, quindi, diventa causa di ribellione e mezzo per ottenere ed affermare un controllo. Di qualunque natura esso sia. E che quindi va ben oltre il solo impulso di natura sessuale.

Stupro come affermazione di potere, come volontà di porsi e imporsi al di sopra della società. Quasi si trattasse di una guerra tra bande, dove l’agnello sacrificale può addirittura rispondere all’identità di due bambine di dieci e dodici anni. Non vittime, ma solo oggetti e mezzi per affermare la propria autorità. Niente a che fare con la volontà di consumare un rapporto o di placare un impulso sessuale.

Perché gli stupri di Caivano non sono sovrapponibili a quelli di Palermo?

Totalmente differenti sono gli input alla base degli stupri di Palermo. Dove anzitutto i carnefici provengono tutti da famiglie benestanti ed hanno agito per un vezzo, per spirito del branco. Sulla base di una logica per la quale se una preda viene selezionata da un gruppo di pari, ogni membro ha diritto ad assaggiarne almeno un pezzo.

Anche in questo caso il sesso e il porno non c’entrano. C’entra la violenza di genere. Certamente diversa da quella “in” genere. E come già più volte ho evidenziato il discrimine non risiede solamente nell’uso di una preposizione semplice rispetto ad un’altra. Una violenza, quella perpetrata dal branco di Palermo, contraddistinta dal desiderio di possedere la donna prescelta e irretita.

Non è stato il desiderio sessuale il collante, ma le logiche prevaricatorie e stereotipate. Volontà e potere riconducibili ad una visione distorta e patriarcale, ma non certamente frutto di crescite e ambienti criminali come quelli di Caivano. Dove il problema, ormai è evidente, è anche di natura strutturale.

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