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Violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta)

Pestaggi nel carcere di Santa Maria Capua Vetere: le mogli dei detenuti, prime a denunciare

Flavia è la moglie di un detenuto che racconta di aver subito violenze all’interno del carcere di Santa Maria Capua Vetere, il 6 aprile 2020. Lei ha sporto immediatamente denuncia. Oggi, racconta, che non vuole ritirarla, anche se i detenuti avrebbero ricevuto indicazioni in questo senso. «Non è giusto quello che hanno fatto».
A cura di Gaia Martignetti
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Flavia chiede perdono, gli occhi si fanno lucidi. «Quel video mi ha turbato, perché ho riconosciuto mio marito». Tra i detenuti picchiati nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, in quella che il gip Sergio Enea ha definito "un'orribile mattanza", c'era anche il compagno di Flavia. Le scene, riprese dalla videosorveglianza dell'istituto "Francesco Uccella", ora sono al vaglio della magistratura, che dovrà accertare, nei minimi dettagli, quanto accaduto. C'è una certezza, però, in questa storia: il ruolo centrale delle donne. Sono le mogli, le sorelle, le madri che per prime hanno protestato fuori l'istituto detentivo, dopo i fatti del 6 aprile 2020. Sono sempre loro le prime ad aver denunciato. Come Flavia, che ha scelto di rivolgersi ai garanti Pietro Ioia e Samuele Ciambriello, senza remore. Quando ci accoglie racconta che lei viene da una realtà diversa da quella del marito, che ha sempre lavorato e che non abbandonerà un uomo che sta pagando i suoi errori, "ma non così". Il video è servito a dare forma e immagine a storie ascoltate dalla voce del compagno, che ha raccontato la sua verità. «È come se lo stessi vivendo io, perché io e mio marito siamo un'unica persona». Poi si chiede: «Voi siete lo Stato dovreste esserci di aiuto e noi vi dovremmo prendere come esempio. ».

Flavia sottolinea come sia certa che non tutti gli agenti siano come quelli descritti dal marito e ripresi dalle telecamere della sorveglianza. Ma che sia giusto che la magistratura faccia il suo corso. Poi aggiunge: «Dopo 15, 20 giorni volevano far ritirare le denunce, io non l'ho mai fatto. Lo chiedevano ai detenuti, di tornare in una situazione di pace tra di loro e ritirare le denunce». Alla domanda su chi fossero le persone che sostiene spingessero i detenuti a ritirare le denunce, risponde senza esitazione: «Gli agenti». Ma lei quella denuncia, una delle prime denunce, non l'ha mai ritirata «perché non è giusto quello che hanno fatto». E cosa avrebbero fatto, secondo il racconto restituito a Flavia dal marito? «L'hanno preso dalla stanza, sette, otto agenti, l'hanno massacrato. È stato portato giù alle celle, perché non era in condizioni di muoversi né di alzarsi, nulla. Come lui, altri detenuti, tutti quelli che stavano giù alle celle, erano quelli che erano conciati in maniera molto più pesante rispetto agli altri. Ha avuto manganellate, calci. Io infatti per i primi giorni non avevo notizie di mio marito e dopo 4 giorni ho sporto denuncia ai carabinieri di competenza della mia zona, contro il carcere di Santa Maria, perché non mi davano informazioni su mio marito nonostante le mie continue telefonate. E dopo sette, otto giorni l'ho visto, mi ha raccontato in videochiamata quello che aveva subito».

Ora il marito di Flavia si trova nel carcere di Secondigliano. È provato, traumatizzato, racconta la moglie. «Si porta ancora dietro i segni, infatti gli hanno aumentato gli psicofarmaci, sta male. Se vede due o tre agenti insieme ha paura». Ora vorrebbero riuscire a portarlo in una comunità, perché in carcere ha paura.

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