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Opinioni

Appalti di Stato e camorra, la scalata dei Casalesi ai lavori di Rete Ferroviaria Italiana

La scalata dei Casalesi ai lavori di Rfi. Il collegamento con il clan Magliulo di Afragola e il ruolo di mediatore del sedicente avvocato Della Corte. In settimana via al Riesame.
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L’uno si dice avvocato ma non si è mai neppure laureato. L’altro è chiamato “ingegnere” ma al titolo di geometra acquisito in età adulta ha aggiunto soltanto una laurea honoris causa in scienze politiche, titolo accademico rilasciato da una chiacchieratissima università americana. Si sono conosciuti una quarantina di anni fa e, tra alterne vicende, non si sono più lasciati: entrambi con la passione per le ferrovie, tutti e due con un piede nella Nuova Famiglia e l’altro nella massoneria, uno con la fama (in parte millantata, in parte vera) di aggiustaprocessi, l’altro di facilitatore di appalti e commesse pubblici. La storia del primo, Elio Della Corte, è raccontata in decine di processi, prevalentemente svaniti come bolle di sapone, per truffa, millantato credito, corruzione. Quella dell’altro, Nicola Schiavone, è alla base dell’ultima inchiesta della Dda di Napoli che racconta della scalata dei Casalesi agli appalti di Rfi, la Rete Ferroviaria Italiana.

Indagine che sinora ha portato a trentaquattro misure cautelari (tra carcere e domiciliari) per associazione mafiosa, concorso esterno, corruzione, riciclaggio intestazione fittizia di beni e che questa settimana sarà sottoposta, posizione per posizione, alla prima verifica del Riesame. Ma, vicenda giudiziaria a parte, e non sapendo se il trascorrere degli anni consentirà di trasformare in prova processuale ciò che è emerso sinora (soprattutto l’esistenza di una rete affaristica di natura lobbistica, finanziata con la corruzione), vale la pena di ricostruire e raccontare come la camorra casalese e afragolese abbia utilizzato per quasi mezzo secolo una colonna di faccendieri apparentemente sganciata dalle faide e dalle stragi ma che è riuscita a infiltrarsi nei palazzi romani: nei ministeri che contano e, forse, anche a piazza Cavour. Una struttura di potere parallela a quella ufficiale ma che ha condizionato, avvantaggiandosene, le politiche dei trasporti e degli appalti di Stato. Quasi mezzo secolo di affari e di sostanziale impunità, al sicuro nella Capitale mentre i sodali (o, se si vuole, i committenti) vedevano lievitare il pane alla cui fattura avevano collaborato con finanziamenti in nero, e pagavano con il carcere il prezzo del sangue versato. Un migliaio di morti alla luce del sole per consentire al denaro di viaggiare nell’ombra.

Elio Della Corte e Nicola Schiavone, dunque. E’ il primo, titolare della “Efeso Editoriale Ferrovie dello Stato spa”, una società di comunicazioni, per un periodo (negli Anni Novanta) collaboratore dell’allora amministratore di Ferrovie dello Stato, Lorenzo Necci, a introdurre nel settore Nicola Schiavone. A quel tempo, i primissimi Anni Ottanta, era socio della Scen, ditta specializzata nell’edilizia, assieme a Francesco Schiavone, suo coetaneo e lontano parente, non ancora diventato il capo del clan dei Casalesi con il nome di “Sandokan”. Erano i tempi della guerra tra Nuova Famiglia e a Nco di Raffaele Cutolo. Erano i tempi della ricostruzione post-sisma e i capi del cartello anticutoliano ( tra i quali Antonio Bardellino e le famiglie Moccia e Magliulo di Afragola) avevano ordinato di partecipare alle gare d’appalto con ditte pulite, rinunciando a soci ingombranti. Heureca, la nuova società di Nicola Schiavone, nasce a gennaio del 1984, due mesi prima del maxiblitz contro Nuova Famiglia. E nella compagine societaria non ci sono più nomi imbarazzanti. Zio Nicola, come lo chiamavano a Casal di Principe, si sposta a Roma e non si muove più. Grazie ai buoni uffici di Elio Della Corte, legatissimo sia a Bardellino, sia ai Magliulo, mette un piede nelle Ferrovie, poi anche l’altro. E, di società in società, fino all’ultima nata (la Bcs, società di consulenza con sede a piazza dei Martiri, a Napoli), non ne uscirà più. Fino alle perquisizioni del 2019. Fino all’arresto dei primi di maggio scorso. Riuscendo, tra l’uno e l’atro evento, a strappare a Rfi ancora un favore: l’assunzione del figlio.

L’aggiustaprocessi

I rapporti strettissimi tra “zio Nicola” ed Elio Della Corte fanno parte della memoria di quanti, in quel lontano periodo, frequentavano le aule giudiziarie sammaritane. In tempi più recenti ne ha parlato Nicola Schiavone jr, il figlio del capo dei Casalesi, condannato all’ergastolo e da quasi quattro anni collaboratore di giustizia. Racconto nel quale descrive il parente, suo padrino di battesimo, come “un facilitatore, come Bisignani”. Un uomo capace di grandi relazioni, legato alla massoneria e, almeno fino al 2016, fedelissimo della sua famiglia. Del sedicente avvocato Della Corte, titolare a Roma di uno studio di consulenze assieme a figli e nipoti, coinvolto in tempi recenti a Firenze nell’ennesima inchiesta per truffa, millantato credito e corruzione, aveva parlato nel lontano 1994 anche Alfonso Martucci, avvocato penalista, parlamentare per una legislatura eletto nella lista de partito liberale, indagato per corruzione elettorale (patteggiò la pena), difensore dello stesso Della Corte “in grado di pilotare gli esiti giudiziari attraverso la corruzione di magistrati, grazie ad una spiccata capacità di coltivare “entrature” nell’alta società napoletana.

Pasquale Galasso, importantissimo collaboratore di giustizia, aveva aggiunto: “E’ un sedicente avvocato e faccendiere che io conoscevo da più di 10 anni e cioè da quando trascorrevo il periodo di latitanza al Grand Hotel Miramare di Formia nei primi anni Ottanta: Elio Della Corte mi fu presentato da Luigi e Angelo Magliulo di Afragola, dei quali già all'epoca curava gli interessi giudiziari fungendo da tramite per la corruzione di magistrati”. Non sappiamo se l’attività di aggiustaprocessi sia reale, è un fatto che questa nomea è durata fino ai giorni nostri. E che le variegate entrature romane sono state merce pagata a peso d’oro da chi si è servito (convinto di comprare servizi reali e non millanterie) dell’attività di consulenza di Della Corte e di Schiavone.

I soldi alla camorra

Chiariamo un punto. Il nome di Elio Della Corte è più volte richiamato negli atti dell’inchiesta su Rfi ma lui non è indagato di nulla. Nicola Schiavone invece è in carcere, come il fratello Vincenzo. Entrambi finiti nel processo Spartacus, il primo assolto l’altro condannato in primo grado, con reato prescritto in appello, hanno lavorato sempre per committenti pubblici, dalle Ferrovie alle telecomunicazioni. Nicola legatissimo a “Sandokan” e alla sua famiglia, Vincenzo a Walter (fratello del capoclan, condannato all’ergastolo) e alla di lui moglie, hanno contribuito alle loro fortune con sostanziosi contributi che si sono interrotti in tempi recentissimi. Ne fanno fede la conversazione, intercettata in carcere nel 2016, tra il boss e una delle figlie, con Schiavone che si lamenta per il regalo (tremila euro) insufficiente e inadeguato; e tra lo stesso e la moglie, due anni dopo, quando le dice che “se fosse uscito pazzo”, cioè se avesse iniziato a collaborare, il primo di cui avrebbe parlato sarebbe stato proprio di lui “al riparo a Roma”. E’ Nicola Schiavone jr, invece, a fare il nome dello zio omonimo e padrino nel primo verbale illustrativo.

La lista del tassista

Soldi, vacanze, regali. E chissà cos’altro. E quali favori, e quali garanzie, anche processuali, che da una certa data in poi non è stato più possibile mantenere. E’ così che è covato a lungo il risentimento del clan, è così che è crollato il potere romano di Schiavone “l’ingegnere”. Potere vero e concreto, come le sue amicizie ai vertici di Rfi, e le frequentazioni, indifferenti ai partiti e alle maggioranze, nei palazzi della politica.

Se mai Nicola Schiavone, conosciuto come l’ingegnere, avesse avuto un valletto, si sarebbe chiamato Ferdinando. Un Jeeves in sedicesimo, riservato e disponibile con il datore di lavoro, loquace con gli amici del circolo e, all’occorrenza, con i carabinieri. Di pari passo con il racconto della vicenda giudiziaria e processuale (i pm Antonello Ardituro e Graziella Arlomede che hanno coordinato l’inchiesta dei carabinieri hanno già chiuso le indagini), nelle carte dell’inchiesta, avviata agli inizi del 2019 dal procuratore distrettuale di Napoli Giovanni Melillo, c’è la ricostruzione deprimente di uno spaccato d’Italia che viaggia su binari paralleli, al di fuori e al di sopra del codice degli appalti e del mercato. Una struttura lobbistica, per la verità non la sola, che ha governato fino a pochi mesi fa appalti e forniture commissionati da Rfi. Una rete solidissima della quale Nicola Schiavone era uomo di raccordo, l’intermediario tra le Ferrovie e le imprese che rappresentava attraverso la Bcs (Business Consulting Services).

Ma torniamo al nostro Jeeves, il tassista romano reclutato per caso e cooptato per la sua disponibilità, ovviamente retribuita. Convocato nella caserma di via Laviano, ha aperto il quadernetto degli appunti e snocciolato nomi, cognomi, indirizzi, numeri di telefono. Sono gli uomini e le donne che ha incontrato durante il suo servizio di accompagnatore o di fattorino dei pacchi-regalo. Con meticolosità anglosassone ha riferito di ministri, sottosegretari, parlamentari, segretarie, amministratori delegati. Nella sua pedanteria cronachistica, il resoconto della sua testimonianza che è parte integrante degli atti d’indagine, il racconto facile facile, a mezza strada tra il grottesco e l’umoristico, di come si costruisce e si fa crescere una rete di relazioni istituzionali, affaristiche, paramassoniche, clientelari. Tra i cioccolattini e le mozzarelle consegnati a segretarie e impiegati di Rfi, ecco che spuntano i manager delle Ferrovie (come Massimo Iorani, Paolo Grassi, Giulio Del Vasto, Giuseppe Russo, tutti indagati nella stessa inchiesta) e parlamentari.

Il nostro “ingegner” Schiavone, dunque, a sentire il tassista Ferdinando, era stato amico dell’ex ministro delle infrastrutture Altero Matteoli, poi presidente della commissione Trasporti al Senato, al punto di essere andato ai suoi funerali in Toscana e alla commemorazione a Palazzo Madama; del senatore Salvatore Margiotta, attuale sottosegretario, ex componente della stessa commissione; dell’ex sottosegretario Umberto del Basso De Caro deputato, avvocato penalista, suo difensore in quest’ultimo procedimento. Nulla di illecito, per carità, solo la prova dell’immensa capacità di Schiavone di tessere contatti con chiunque potesse servirgli e potesse servire ai suoi amici (da Rfi erano pressanti le richieste di avanzamenti di carriera), accreditando esponenzialmente quelle frequentazioni in altri ambienti e allargando, così, a dismisura, la sua rete di contatti. Che fino alla fine del 2018 hanno eseguito bene il compitino. Poi, cambiata la maggioranza di governo, anche in Rfi hanno deciso di cambiare cavallo. Quarant’anni dopo, alla vigilia delle prime perquisizioni.

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Rosaria Capacchione, giornalista. Il suo lavoro di cronista giudiziaria e le inchieste sul clan dei Casalesi le sono costate minacce a causa delle quali è costretta a vivere sotto scorta. È stata senatrice della Repubblica e componente della Commissione parlamentare antimafia.
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