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“Mio marito stava morendo, i medici mi hanno impedito di abbracciarlo per l’ultima volta”

Una donna ha scritto una lettera aperta e raccontato le ultime ore di vita del marito: “I medici mi hanno impedito di abbracciarlo un’ultima volta. Perché una persona non può essere vicina al proprio compagno o alla propria compagna mentre sta morendo?”.
A cura di Davide Falcioni
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La morte di un marito è certamente uno dei dolori più intensi che si possa provare: un male che solo in piccola parte può essere mitigato se si ha la certezza di aver fatto di tutto per salvare la sua vita oppure per accompagnarlo più serenamente possibile alla morte. Per questo una donna pugliese – moglie di Alcibiade Parise – ha deciso di raccontare, in una lettera aperta al quotidiano Repubblica, gli ultimi istanti di vita di suo marito al Policlinico di Bari. Ore difficili in cui – sostiene – le sarebbe stata negata la possibilità di restare accanto al suo uomo, affetto da una gravissima forma tumorale.

"Quella mattina – racconta la donna –  il professore che lo seguiva mi chiede di ricoverarlo nella clinica in cui era stato altre volte e di prendere contatti. Il posto stava per essere liberato, ma bisognava passare per il pronto soccorso. Qui mi fanno uscire immediatamente. Poco dopo esce anche mio marito, sempre sulla lettiga dell’ambulanza, con una flebo per i dolori (vi risparmio l’odissea per la flebo), e lo mettono in una stanzetta in attesa di andare in reparto".

Quello che accade dopo è estremamente doloroso: Alcibiade ha due crisi, viene trasportato in una sala d'emergenza a cui la moglie non ha nessun accesso. "La cosa che voglio denunciare è che nella sala di emergenza i parenti non possono entrare, mentre in tanti lo fanno. Accanto alla barella di mio marito, sbirciando, ho visto un collaboratore scientifico vestito normalmente, senza alcuna protezione, intrattenersi per circa un’ora". La donna aggiunge: "Lo scandalo è nel fatto che io non ho potuto tenergli la mano mentre stava morendo". Non solo: a quanto pare durante le operazioni di soccorso dell'uomo alla moglie sarebbero state raccontate cose fortemente contraddittorie: prima che il marito era in stato precomatoso, quindi che non soffriva, poi che invece era molto agitato e voleva togliersi la maschera dell'ossigeno, poi ancora "che dovevano sottoporlo a una tac per vedere se aveva un emorragia cerebrale o un edema. Quindi mi dicono che la tac è rotta devo avere pazienza. Arriva di nuovo la dottoressa e mi chiede se voglio farlo rianimare e intubare, ma mi sconsiglia perché i rianimatori si sarebbero rifiutati vista la gravità del caso: cosa è successo che io non so? La dottoressa non risponde e rientra nella sala in cui non posso accedere".

"Siamo alle 13,30 circa. Alle 14 – racconta la donna – la tac viene riparata e mi si dice che di lì a poco sarà il turno di mio marito. Alle 14,15, però, la dottoressa esce e dice che mio marito è «clinicamente morto» e che la tac è inutile, ma io non posso vederlo e mi darà conferma. Un quarto d’ora più tardi la dottoressa torna e dopo aver tergiversato un’altra volta, cosa che ancora oggi mi lascia incredula e stupefatta, dice testualmente che «il cuore di suo marito non batte più da un po’», che ha avuto due infarti, dopo il primo lo hanno massaggiato, si era ripreso ma poi ne ha avuto un altro. A questo punto le chiedo: allora è morto? «Sì, è morto, tra poco lo preparano e lo potrà vedere». Lo vedrò dopo due ore di attesa. Non mi è stato dato alcun verbale o relazione della giornata: so soltanto che nel momento più delicato gli è mancata la mia presenza. È morto solo e forse disperato, perché mi voleva sempre accanto a sé. Chiedo a voi di aiutarmi. Perché una persona non può essere vicina al proprio compagno o alla propria compagna mentre sta morendo?"

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