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Romina Vento morta annegata nel fiume Adda

Uccise la sua compagna lanciandosi con l’auto in un fiume: “Non riesco a credere a quello che ho fatto”

“Non riesco ancora a credere a quello che ho fatto”: a dirlo è staro Carlo Fumagalli, un uomo di 49 anni che è stato accusato dell’omicidio della moglie Romina Vento.
A cura di Ilaria Quattrone
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"Non riesco ancora a credere a quello che ho fatto, anche perché in trent’anni insieme non abbiamo mai litigato, mai alzato la voce, non ho mai avuto atteggiamenti violenti nei confronti di Romina, nemmeno a livello verbale": a dirlo è staro Carlo Fumagalli, un uomo di 49 anni che è stato accusato dell'omicidio della moglie Romina Vento, 44enne. La donna è stata ammazzata il 19 aprile 2022: il 49enne l'avrebbe caricata sulla sua automobile e poi si sarebbe lanciato nel fiume Adda.

Non appena l'abitacolo è stato invaso dall'acqua, l'uomo le avrebbe afferrato la testa della compagna e l'avrebbe annegata. Sarebbe poi scappato raggiungendo l'altra sponda. Nell'udienza di oggi, venerdì 10 marzo, l'uomo avrebbe rilasciato dichiarazioni spontanee. Con la voce rotta dal pianto, avrebbe affermato che da quella sera prova rimorso per il gesto che ha commesso. Per aver ucciso Romina, per il dolore che ha causato ai suoi figli e alla famiglia della 44enne.

Le dichiarazioni dell'uomo

"Ma mi sono accorto che negli ultimi anni davo tutto per scontato, forse non vedevo più i suoi bisogni. Già dall’estate mi ero accorto che c’era qualcosa di diverso, che i suoi sentimenti nei miei confronti erano cambiati. Così ho cercato di rimediare ma più io mi avvicinavo più lei si allontanava e io cadevo in depressione. Ero assillato dai dubbi, volevo recuperare il rapporto a tutti i costi ed ho iniziato a farmi aiutare da uno psicologo”.

L'uomo avrebbe raccontato che durante una seduta dallo psicologo, la compagna aveva ammesso "che mi voleva bene, ma la passione non c’era più. Io ho avuto un crollo. Da gennaio non dormivo più, avevo brutti pensieri, paranoici, pensavo ci fosse qualcuno che mi spiasse, che mi ascoltasse. Vedevo nero, senza di lei non avevo più speranze, mi immaginavo in un tunnel buio dal quale non riuscivo a riemergere".

"La assillavo cercando di riconquistarla, ma lei si sentiva soffocare, ho peggiorato la situazione con il mio atteggiamento. Lei aveva il diritto di essere felice e io gliel’ho tolto. Ora in carcere la sogno 8 notti su 10, è un pensiero fisso. Non parlo più, sto tutto il giorno in branda. Non mi perdonerò mai”. Ha raccontato di aver interrotto la terapia farmacologica e questa decisione avrebbe peggiorato e aggravato la sua condizione.

"Ora vedo le mille strade che si potevano percorrere, anche da separati. Potevamo essere più complici, più felici, anche se non stavamo più insieme. Ogni giorno il peso che mi porto dentro cresce sempre di più". La prossima udienza è per il 12 maggio.

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