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Strage di Paderno Dugnano

Uccise la famiglia con 108 coltellate, condannato a 20 anni: cosa dicono le motivazioni della sentenza

Il ragazzo che ha ucciso i genitori e il fratellino nella loro villetta di Paderno Dugnano a settembre 2024 è stato condannato a 20 anni di carcere dal Tribunale per minori di Milano. Nelle motivazioni della sentenza che Fanpage.it ha potuto visionare, il gup ha riconosciuto la piena capacità di intendere e di volere del giovane al momento dei fatti. Ecco le motivazioni.
A cura di Giulia Ghirardi
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Lo scorso 27 giugno il Tribunale per minori di Milano ha condannato in primo grado con rito abbreviato Riccardo C., maggiorenne dal 5 ottobre 2024, per l'omicidio pluriaggravato del fratello minore, della madre e del padre, avvenuto a Paderno Dugnano l'1 settembre 2024. Nelle motivazioni della sentenza che Fanpage.it ha potuto visionare, il gup ha riconosciuto la piena capacità di intendere e di volere del giovane al momento dei fatti, rigettando così la richiesta di assoluzione per vizio totale di mente che era stata avanzata dalla difesa. Ecco tutte le motivazioni.

L'aggravante della premeditazione

Tra le diverse aggravanti, il Tribunale ha riconosciuto quella della premeditazione sostenendo che l'imputato abbia maturato il "proposito di uccidere i familiari" già dal "giorno precedente ai fatti", pianificando l'azione. Alla base della tesi le dichiarazione rese dall'allora 17enne in sede di interrogatorio – "Già la sera prima era successo che… cioè avevo intenzione di farlo, dopo io… non l'ho fatto" – che hanno spinto il gup ha sostenere che la sera precedente non fosse "abbastanza convinto", e che il "permanere di quel pensiero" avrebbe poi consentito alla sua decisione di rafforzarsi tanto da "spingerlo a commettere gli omicidi".

Inoltre, la pianificazione del delitto sarebbe stata provata – secondo il Tribunale – dal fatto che quella notte il ragazzo  "si sarebbe tenuto sveglio in attesa del momento propizio per agire". E proprio in quel lasso di tempo, l'allora 17enne avrebbe deciso il modus agendi "più conveniente". Al giudice, infatti, il ragazzo ha ammesso di aver deciso di incolpare il padre "poco prima che facessi quello che ho fatto, mentre ero a letto, […] quando ho realizzato che avrei effettivamente voluto farlo, quindi ho elaborato il piano per avere le minime conseguenze, e ho pensato di incolpare lui". Dunque, secondo il gup, il ragazzo avrebbe studiato un vero e proprio "piano per minimizzare le conseguenze" – dall'"ordine degli omicidi" alla scelta di "dotarsi di una maglietta tagliata per non lasciare impronte sull'arma" – analizzando nel dettaglio "le modalità operative quanto le possibili conseguenze e difficoltà".

Le altre aggravanti

Oltre alla premeditazione, sono state riconosciute altre aggravanti legate al vincolo di parentela con le vittime e alla minorata difesa. Riguardo quest'ultima, la sentenza ha evidenziato che il triplice omicidio è avvenuto "in orario notturno, cogliendo il fratello nel sonno e i genitori ancora intorpiditi dal sonno". Questo avrebbe reso le vittime più vulnerabili, ostacolando la loro capacità di difendersi.

Inoltre, il Tribunale ha riconosciuto il "vincolo della continuazione" perché il ragazzo ha ucciso la madre, il padre e il fratello minore con lo stesso intento: "l'attuazione del suo progetto di ‘diventare immortale‘ eliminando gli affetti familiari".

La capacità di intendere e di volere

Il punto cruciale del processo ha, però, riguardato l'imputabilità dell'allora 17enne. La consulenza del pm ha escluso l'infermità mentale, sostenendo che la narrazione del ragazzo sul suo "progetto" di immortalità fosse "una fantasia e non un delirio". I consulenti hanno quindi rilevato tratti di personalità disfunzionali, come narcisismo e sociopatia, ma non patologie psichiatriche diagnosticabili, sottolineando la lucidità e la consapevolezza dell'imputato.

Al contrario, la consulenza della difesa ha concluso per un vizio totale di mente, diagnosticando una "psicosi paranoide o un disturbo delirante", sostenendo che il ragazzo non fosse in grado di comprendere il significato delle sue azioni. La perizia d'ufficio ha poi escluso la presenza di disturbi psicotici, ma ha identificato tratti disfunzionali della personalità, come "un'elevata alessitimia e un narcisismo difensivo", ritenendo che la capacità di volere fosse parzialmente compromessa, ma non quella di intendere.

Al netto dei risultati di tutte le consulenze, il Tribunale ha, infine, respinto la tesi della difesa, ritenendo che il "progetto di immortalità" non fosse un delirio, ma una "potente fantasia". La sentenza ha, dunque, concluso che, nonostante le peculiarità psichiche, il ragazzo avrebbe agito "in modo lucido e razionale": ha pianificato i delitti, ha usato una maglietta per non lasciare impronte e ha fornito versioni dei fatti diverse per sviare le indagini.

Da qui la condanna a vent'anni di reclusione è stata calcolata tenendo conto della gravità del fatto e delle aggravanti, ma anche della diminuente della minore età e delle attenuanti generiche concesse in virtù dei tratti disfunzionali della personalità che hanno contribuito a generare "un importante malessere che lo ha portato a trovare da sé la soluzione".

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