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Samuele Freddi morto a 21 anni dopo una serata in discoteca: assolto l’amico che gli diede uno schiaffo

La Corte di Assise di Appello di Brescia ha assolto il ragazzo di 20anni imputato per la morte dell’amico Samuele Freddi, il 21enne deceduto dopo una serata in discoteca. Prima di accompagnarlo a casa, il 20enne avrebbe avuto un diverbio con Freddi durante il quale gli avrebbe tirato uno schiaffo. I giudici, tuttavia, hanno stabilito che non c’è un nesso causale tra questo evento e la morte del ragazzo, avvenuta dopo poche ore.
A cura di Alice De Luca
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Samuele Freddi (foto da Facebook - Basket Più)
Samuele Freddi (foto da Facebook – Basket Più)

La morte di Samuele Freddi, avvenuta nell'estate del 2021 dopo una serata trascorsa in discoteca a Manerba del Garda (Brescia), non è imputabile all'amico 20enne. A stabilirlo, per la seconda volta, è il tribunale di Brescia che ha assolto anche in appello il ragazzo, accusato di omicidio preterintenzionale. 

I fatti contestati risalgono alla sera del 21 luglio 2021: Freddi, all'epoca 21enne, stava tornando a casa in macchina con l'amico dopo una serata in discoteca, quando uno pneumatico dell'auto si bucò. L'incidente degenerò in un litigio tra i due ragazzi, durante il quale il 20enne diede uno schiaffo a Freddi. Tornato a casa, il 21enne cominciò a lamentare dolori forti alla testa, tanto da spingere il padre ad accompagnarlo al pronto soccorso di Garvado, dal quale uscì poco dopo firmando le dimissioni volontarie. Le condizioni del ragazzo, però, peggiorarono nel corso della notte fino alla morte.

Il 20enne finì quindi a processo per omicidio preterintenzionale e i pm chiesero per lui in primo grado una condanna a 3 anni e 4 mesi, sulla base del fatto che, secondo le loro indagini,  lo schiaffo avrebbe fatto cadere a terra Freddi facendogli sbattere la testa e provocandogli l'emorragia cerebrale che lo uccise. Questa ricostruzione, tuttavia, non avrebbe avuto nessun fondamento secondo i giudici della corte di Assise, che nel marzo del 2024 hanno assolto l'imputato "perché il fatto non costituisce reato". Una sentenza che ora è stata confermata anche in appello.

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